Sono andato a vedere il già celeberrimo film sulla bambola più famosa del mondo. Non chiedetemi i motivi, sono stati i più banali del mondo: per divertirmi. Al cinema vado per svagarmi, difficilmente scelgo film impegnati o drammatici, e oscillo fra gli horror, i supereroi e le commedie (escludendo gli scempi che, ormai regolarmente, produce la Disney). Così avevo deciso da tempo di non perdermi quella che mi sembrava una commedia surreale a cavallo fra realtà e fantasia. Al peggio, mi sarei beccato una nuova “Corazzata Potemkin” (quella di Fantozzi, non quella di Ėjzenštejn). Sono invece rimasto testimone di una delle più agghiaccianti e scoperte operazioni di indottrinamento degli ultimi tempi, e man mano che il tempo che mi separa dai titoli di coda si dilata, la coscienza di aver assistito ad una delle puntate più feroci della propaganda globale si fa sempre più forte. Cercherò di essere chiaro.

Il film inizia con la genesi di Barbie, presentata come la nemesi dei bambolotti a forma di bimbo o neonato, che torme di bambine infuriate fanno a pezzi sulla falsariga della scena madre di “2001-Odissea nello spazio” (quella col “Così parlò Zarathustra” di Strauss, per intenderci) come un gran bel gesto di liberazione, dato che la voce narrante spiega come giocare a fare la mamma sia, alla lunga noioso (“Chiedete a vostra madre”, fa furbescamente, e disonestamente: le bimbe dalla Preistoria ad oggi non hanno sofferto poi molto la presenza di bambolotti-neonato, anche perché il tempo per giocarci non arrivava certo all'età adulta, mentre una mamma sana di mente e di morale difficilmente capirebbe la congruenza dell'accostamento fra gioco e crescere un figlio). Dopo questa prima, scoperta calunnia della maternità (e non sarà l'ultima), sullo schermo viene presentata la società del mondo di Barbie, Barbieland: è un posto dove le donne hanno tutto (case, auto, vestiti, soldi, prestigio, lavori ben retribuiti, e soprattutto il potere decisionale: il presidente è una Barbie negra, la Corte Suprema è fatta di Barbie e solo le Barbie vincono i premi Nobel), mentre i maschi, ossia i Ken, sono ridotti ad un ruolo puramente decorativo. Non lavorano, non sanno lavorare, non sono capaci di nulla ed esistono in funzione delle femmine, limitando le loro apparizioni al ronzare attorno alle Barbie nella speranza che queste prestino loro una qualsivoglia attenzione. È un mondo in cui non esiste ovviamente il sesso, chiaro, ma è meno chiaro perché non esista nemmeno l'amore (ma sarà chiaro in seguito): le Barbie tengono sulla corda i maschi negando loro persino un bacio sulle labbra, e i party sono immancabilmente “serate delle ragazze”. Ogni sera, “per sempre e per tutta l'eternità”. Non esiste ovviamente neppure la maternità: c'è un solo esemplare di Barbie incinta, ma è vergognosamente liquidata come un insuccesso commerciale, una malriuscita ritirata dagli scaffali.

Se il quadro non è ancora abbastanza eloquente, aggiungiamo che cotanta distopia è presentata come il mondo ideale agli occhi delle prime umane che lo visitano. Sì, delle donne che provengono dalla California, dagli USA di oggi hanno, secondo questa narrazione, tutti i motivi per trovare una vera Utopia un mondo in cui gli uomini non contano niente, le donne hanno tutto, fanno tutto e passano il tempo a premiarsi e farsi i complimenti, senza figlifamiglia. E ovviamente senza fare alcuna fatica per tutto questo ben di Dio (si fa per dire) in plastica.

Certo, non mancano le situazioni divertenti e anche esilaranti, soprattutto quando Barbie e Ken sbarcano nel mondo “reale” (se Los Angeles possa definirsi una buona rappresentazione del mondo reale). Divertenti come quando la Barbie, vedendo da lontano un cantiere edile, corre per salutare le donne che, ne è certa, vi staranno lavorando, e invece si trova di fronte l'epitome del macho, un gruppo di operai grossi, grassi, sporchi e anche un tantino prodighi di complimenti salaci: già, perché nella realtà non ci sono Barbie-operaia-edile, ma coriacei maschi che si spaccano la schiena e apprezzano le belle donne. Impagabile quando Barbie si becca della fascista da una mocciosetta supponente, boriosa e imbottita di femminismo. O come quando Ken si gonfia di orgoglio quando una signora gli chiede l'ora per strada. Perché nel suo mondo il maschio è in una posizione tanto spregevole che una donna non si degnerebbe di considerarlo neppure per sapere l'ora. Ma anche in questi episodi, lo si nota facilmente, è celato un messaggio velenoso. Come in altri episodi più risibili che da ridere per la loro forzatura: che una donna rischi una pacca sul culo mentre passeggia per Venice Beach non è credibile (se non in un film dei Vanzina), così come non è credibile che l'intero Consiglio di Amministrazione della Mattel venga presentato come composto di soli uomini. E però sono strumentali per arrivare al dunque: Barbie e Ken scoprono che il nostro mondo è dominato dal Patriarcato. Udite udite!

Odo Michela Murgia far festa, e la Boldrina,

tornata in su la via,
che ripete il suo verso.


Proprio così, caro pubblico. Non Kabul, né il Bangladesh o, che so io, il Niger. La patria del Patriarcato è la California del XXI secolo. E da qui Ken lo esporta in Barbieland, con risultati estremamente minacciosi, una sorta di ascesa del Nazismo nel mondo dei giocattoli. Che poi l'unica cosa che i bambolotti maschi aspirano a realizzare è possedere una casa, una macchina, e vivere con una bella Barbie che li ascolti e gli faccia qualche coccola. Ma per i produttori è questa l'immagine del fascismo. Che le Barbie riescono a sventare facendo leva sulla fiducia dei loro compagni, quindi mostrandosi flirtare con gli altri per scatenare la gelosia e dividerli, approfittando di quando faranno tutti a botte per riprendersi il potere. Perché la morale è questa: le donne devono comandare. Senza meriti, fatica né talenti: sono donne, e questo basta. Se la stessa cosa accadesse nel nostro mondo, sarebbe forse la fine della società umana, dato che persino nel film a Ken spiegano che non può fare neppure il bagnino senza un certificato ed esperienza. E poi fingere sentimenti per ingannare e manipolare il prossimo, magari affinché si scanni col vicino per approfittarsene, sarebbe qualcosa di moralmente spregevole, ma forse questo era valido nel Medioevo ed ora vigono altre etiche. Perché nel Mondo Ideale di Barbie, invece, è così che deve andare. Ed è giusto che sia.

Il messaggio non si limita a questo. La riduzione della donna ideale alla bambola di plastica, cosa che si suppone debba far cadere nell'isteria le femministe contemporanee, e che invece è presentato come l'ideale dell'emancipazione femminile (e femminista) non è infatti tutto. È quel che si vede, ma conta secondo me ancor più quel che non si vede. Come facevo notare all'inizio, la Donna Ideale vive in un mondo in cui non è più madre, né sposa, né amante. Al massimo amata, e a patto che non degni di alcun favore, né fisico né emotivo, i suoi inutili adoratori maschi. Una sorta di freddo e sorridente robot che punta solo alla massimizzazione della propria posizione sociale e dell'apparire, e si capisce anche che razza di messaggio sia così rivolto alle bambine e alle ragazze che costituiscono la maggior parte del pubblico in sala, ossia le donne di domani. Al confronto, Ken, povero Fantozzi che soffre per uno sguardo, attende pazientemente ogni sera per un bacio che non ci sarà e finisce per venir respinto definitivamente, è molto più umano e comprensibile di quella creatura bionda, venale ed arrivista, che quando confessa di non essere innamorata di Ken, in realtà ci dice di non amare nessun uomo, né ora né mai.

Altri momenti sono platealmente ideologici, e non solo per il condizionamento femminista che contengono. È ormai banale la difesa delle Barbie come di un esempio, rivolto alle bambine, su come esse possono “essere tutto ciò che vogliono”, che è una mostruosità tale da dover essere proibito per legge. Quante vite rovinate, quanti animi preda della depressione e quante delusioni fatali aspettano chi si convincerà di poter diventare tutto quello che gli passerà per la testa, e poi, prevedibilmente, fallirà? Perché solo un idiota, o una persona sotto ipnosi, può davvero credere che chiunque possa diventare, se lo vuole, ricco come Bill Gates, donnaiolo come Bilzerian o talentuoso come Messi. I vincenti sono eccezioni, e per uno che arriva in vetta milioni sono condannati a vite anonime e lontano da ricchezza e fama. Vite che potrebbero trovare pienezza e ricchezza interiore immense grazie ai tesori della cultura, alla luce della spiritualità e alle gioie dell'amore e degli affetti familiari. Tutte cose che, però, non sono contemplate nel mondo ideale che questa ideologia iper-femminista porge alle bambine di tutto il mondo: potrai essere un chirurgo di fama mondiale, un Nobel per la letteratura o la presidente degli USA solo che tu lo voglia. E se poi proprio fallirai, ci sono interi hangar di antidepressivi che ti aspettano per consolartene.

E infine la mappa del mondo secondo Barbie. L'ho usata come immagine al posto dei dipinti o delle opere d'arte che di solito accompagno ai miei articoli, intanto perché non avrei saputo cosa accostare a Barbie, e poi perché è un altro pezzo di impagabile educazione su come i padroni del denaro e della propaganda mondiale concepiscono il mondo. In parte non si vede, ma ve la illustro io. Nella parte occidentale ci sono i due continenti americani, con a nord un Nordamerica denominato “USA”, con tanto di bandierina (Canada e Messico sono come Ken, non contano nulla e potrebbero anche non esistere), mentre a sud l'intero continente non ha nome. Tutta l'America del Sud non ha neppure un nome. Più ad est, la geografia è stravolta, non c'è un paese al suo posto, l'Asia è messa in verticale, l'Africa è minuscola, l'Europa non c'è, e gli unici due paesi che meritano di venir denominati sono l'Inghilterra e l'Australia (ovvio, si parla inglese: gli altri chi sono?). Come esempio di arroganza e crassa ignoranza era quanto mi sarei aspettato io, niente di più.

C'è una sola caduta, in tutto il film, e intendo “caduta” rispetto a ciò che chi ha concepito questa mostruosità si proponeva, e accade proprio nell'ultima battuta. Barbie decide di voler diventare una donna in carne ed ossa. Novella Pinocchio del XXI secolo, sbarca in California (e dove sennò?), e sapete qual'è il primo posto in cui va? Dal ginecologo.

In sintesi, questa donna ideale di un mondo ideale che ha cancellato l'amore, il sesso, la maternità e la famiglia, per sincerarsi di essere una donna vera che fa? Non si reca nella sede di una multinazionale per assumerne la dirigenza, né a ritirare il premio Nobel, ma a farsi controllare gli organi della generazione e della vita. Quelli che rendono una donna, e tutte le donne, uniche e differenti e speciali rispetto all'altra metà del genere umano.

Chissà quante fra il pubblico hanno colto il messaggio involontariamente dato.

Comments

L'ho visto anch'io per curiosità, potenza della pubblicità, l'ho trovato noiosamente stupido ed essendomi annoiata non ho colto tutti i messaggi subliminali descritti. Tuttavia...alla fine..uscendo...ho visto un gruppetto di ragazzine...con i capelli a coda di cavallo, vestite di rosa barbie...
 
È nella natura dei messaggi subliminali non essere colti subito. Io ho dovuto riflettere durante la notte e il giorno successivo per cogliere tutto il veleno distillato sapientemente fra i colori pastello e le casette di plastica.
 

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Friedrich von Tannenberg
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