Capire l'importanza di Mediaset per questo paese, oggi, è impossibile a chi è molto giovane o molto anziano. Io, che, ahimè, non appartengo più alla prima categoria ma neanche alla seconda, Mediaset l'ho vista in pieno e posso provare a dire, ai più giovani, perché questa televisione è stata così importante per noi e perché la svolta radical-chic e buonista rischia di ammazzarla per sempre. Prima di Mediaset, le reti si chiamavano Fininvest e prima della Fininvest, la TV commerciale praticamente non esisteva. E dico "praticamente" perché in realtà qualche traccia di TV commerciale c'era ma veniva intanto sistematicamente sabotata, ma soprattutto gravavano su di esse tante di quelle norme vessatorie che fondamentalmente chiunque provasse a sfidare il monopolio statale RAI, falliva. Nell'impresa della TV commerciale si lanciarono Rusconi, Mondadori e la famiglia Agnelli: fallirono miseramente. Ci si lanciò invece Berlusconi che vinse, capendo la vera regola che purtroppo anima il sistema italiano: per poter lavorare in santa pace o ti fai un partito politico che difenda a suon di leggi ad personam i tuoi interessi, oppure ti trovi un padrino politico. Fin quando il padrino politico italiano era Craxi e, in generale, il pentapartito, Berlusconi visse tranquillo, quando Tangentopoli fece fuori il CAF, Berlusconi capì che l'alternativa al partito personale sarebbe stata la fine di Rizzoli o di Gardini oppure scapparsene all'estero per godersi le ricchezze fin lì accumulate come fece - forse saggiamente - Cefis.

Ora, chi parla di TV privata e commerciale in riferimento a Mediaset, e di Berlusconi come alfiere del liberalismo e del capitalismo, probabilmente fornisce una visione molto edulcorata del berlusconismo, proprio per le premesse di cui sopra. Il punto non è capire come dovrebbe essere il sistema televisivo ideale dopo Berlusconi, ma cos'era la televisione prima di Berlusconi. La TV di un tempo cacciò una grandissima cantante come Mina perché si permise di fare un figlio fuori dal matrimonio, proibiva di dire "piedi" o "membro del Parlamento", perché altrimenti i cattobigotti della DC si offendevano, e altre analoghe scemità. E, va da sé che, anche quando debuttò Raitre, non è che le cose andassero meglio, perché se la DC era il ritrovo dei cattobigotti, il PCI era il tempio dei maobigotti, una sorta di colonia dell'URSS e della Cina. L'unica TV con qualche traccia di avanguardia e di sperimentazione era Raidue, ma soltanto durante il periodo craxiano, perché prima di Craxi, i socialisti erano sostanzialmente i cugini timidi e spauriti dei comunisti. Del resto, erano gli stessi socialisti che si sperticarono in laudi post mortem per Stalin. In breve sintesi, la RAI del tempo era una repubblica iraniana dove si poteva stare solo se si piaceva alla politica e dove i programmi televisivi erano composti quasi esclusivamente da professori convinti di avere il messianico compito di educare la nazione, con alcune rare eccezioni, da Mike Bongiorno a Corrado, fino al povero Enzo Tortora che, sottopagati e costretti a fare le estati per mettere il pane sotto i denti, alla prima occasione se ne andarono dalla RAI proprio in direzione Fininvest. E non solo. Quando le spese iniziarono a gonfiarsi e si capì che si sarebbe dovuti ricorrere alla pubblicità, a partire dal Carosello - dopo il quale i bravi bambini dovevano andare a dormire perché rischiavano di imbattersi in qualche pornografico programma tipo Rischiatutto dove si vedevano cose da far corrompere i giovinetti come la minigonna della Ciuffini - qualsiasi impresa che investisse in pubblicità doveva non soltanto spendere una barca di denari ma soprattutto doveva appaltarsi alla politica, col Colonnello Fiore che, plenipotenziario della raccolta pubblicitaria, decideva chi poteva sponsorizzarsi e chi no. Queste sono cose che vi può confermare chiunque a quel tempo facesse già impresa e sia ancora in vita. Telefonare a Giovanni Rana, ad Amadori per conferme.

Ecco che invece arrivano le reti Fininvest che rappresentano una rottura sia finanziaria che contenutistica con quel sistema e che sono esattamente lo specchio del loro capo. Allergiche alle leggi al punto da farsi tutelare attraverso leggi palesemente ad personam, ma nel contempo creative e ribelli rispetto al paludamento RAI. Ed è, naturalmente, un trionfo, contro il quale la politica, con le sue ganasce ed i suoi tromboni peripatetici, mette in campo tutti i propri mezzi, dalle manovre politiche agli editoriali dei sepolcri imbiancati, i quali iniziano subito a spolverare termini come "televisione spazzatura", "trash" e tutto il campionario di invidia sociale. Ora il punto non è se la Fininvest facesse sempre e soltanto TV di qualità. Il punto è che una TV commerciale ha un solo scopo: farsi guardare, così da guadagnarsi più abbonamenti oppure, se gratis, più pubblicità. Non ha alcuno scopo educativo, che casomai dovrebbe spettare ai genitori e, con le dovute riserve, alle scuole. Certo, poi col tempo sono iniziati ad arrivare i telegiornali, i programmi di approfondimento, ma la base è sempre stata di puro e semplice intrattenimento. E anche la stessa informazione, vedasi Striscia la Notizia o Le Iene, ma anche il Maurizio Costanzo Show o anche i primi programmi di Cecchi Paone - quando ancora non si era messo a fare il propagandista LGBT - si è sempre basata sul concetto oraziano "castigat ridendo mores". L'idea che una televisione debba diventare una cattedra da cui, col ditino alzato, spiegare agli ascoltatori la Verità, è esattamente ciò che fece scappare a gambe levate dalla RAI telespettatori e professionisti, facendoli approdare alla Fininvest. Ma la grande verità che nessun critico televisivo ha mai avuto il coraggio di dire è che una televisione non è trash se mostra tette e culi, ma se fa cose diverse rispetto a quelle che promette di fare. Io non sono un simpatizzante dei programmi della D'Urso e men che meno lo sono dei reality. Credo di non aver mai visto né l'uno né l'altro, si tratta di un genere che non mi piace e di cui so qualcosa soltanto perché mi arrivano spizzichi e bocconi dell'una o dell'altra. La D'Urso poi non l'ho mai potuta soffrire, da suo concittadino lei l'ho sempre ritenuta la classica "vrenzola napoletana". Semplicemente parto da un semplice presupposto: ho il telecomando e dunque decido cosa guardare e magari anche di spegnere la TV e dirigermi verso altri mezzi, non mi affaccio a Palazzo Venezia a dire che "Berlusconi rincoglionisce i telespettatori". Quelli sono programmi dichiaratamente trash che piacciono ad un pubblico che vuole palesemente cose trash e dunque c'è una coerenza tra i desideri dei telespettatori e la programmazione delle TV, e dunque tra la domanda e l'offerta. Dunque, c'è rispetto del cliente. Trovo molto più trash le tribune politiche condotte da presentatori grigi che confondono la serietà con lo sguardo accigliato, con la mutria, la spocchia e che soprattutto non fanno informazione ma propaganda. E' molto più trash la televisione che ambirebbe a fare cultura ma che non sa andare il solito leone che insegue la gazzella o il solito scientismo o storicismo da strapazzo. Il trash dichiaratamente trash non è trash: è intrattenimento. Il vero trash è fingere di condurre un programma di approfondimento e invece pretendere di trasformare il telespettatore in un propagandista politico, dietro la promessa che se guarda il tal programma, otterrà per osmosi la patente di intellettuale saggio e impegnato.

Da anni Mediaset, bisogna dirlo con franchezza, non è più una TV che fa la differenza. I suoi programmi non sono eventi come lo erano una ventina d'anni fa, anche perché frattanto a fare da avanguardia sono arrivate nuove realtà televisive - e, mi duole dirlo, straniere. Una Mediaset proiettata ad oggi si butterebbe su programmi come "Primo appuntamento" oppure i tanti programmi di D-Max, o i programmi di cucina, di dieta, la dottoressa Lee, il dottor Nowzaradan, le grandi serie televisive. Invece, Piersilvio Berlusconi ha annunziato una svolta reazionaria dicendo chiaramente che nella nuova Mediaset "non vuole" concorrenti reduci da Onlyfans o che siano influencer. E qui siamo all'apoteosi del radicalscicchismo. Anzitutto, gli influencer non sono tutti uguali. Accanto alla deficiente che fa il video mentre si butta dal barcone e si rompe l'osso del collo o la zoccola che vende le sue foto a disperati maschi gamma, ci sono anche tantissimi bravi ragazzi che producono contenuti che piacciono alla gente. Che senso ha etichettarli a priori come gente indegna di essere invitata a partecipare a certi programmi? Ma poi, cos'è Mediaset se non la storia di un uomo che, importando l'american way, la cultura del pionerismo, ha creato un impero contro tutte le corporazioni che lo avrebbero voluto far fuori?

E allora mi è chiaro il problema di Mediaset. E' invecchiata. E non è nulla di strano. Anche le aziende invecchiano. E come tutti i vecchi, ragiona con schemi obsoleti, si fa turlupinare dal pedagogismo di un sistema italiano in netta contrapposizione rispetto alla tradizione libertaria proposta dal Cavaliere. Oppure, come qualcuno sostiene, a Mediaset serve l'appoggio del progressismo partitico, che però può sempre tornare utile per tutelarsi dalle scalate ostili da parte di Bolloré.
Se Mediaset fosse quella che abbiamo conosciuto, cercherebbe di coagulare le forze del dissenso, di scovare autori sconosciuti, di investire su nuovi nomi, mentre finora tutto ciò che si vede è la trasformazione del Biscione in una dependance di La7 o della RAI, contraddicendo quel felice avanguardismo che aveva fatto di Mediaset la TV più libera che ci fosse e mettendosi al servizio, più che al rimorchio, del totalitario progressismo psichiatrico che sta fuffizzando l'intero Occidente. Forse è davvero finita un'epoca, forse Mediaset si avvia al viale del tramonto. Forse il berlusconismo è davvero finito. Chissà.
Ma mi sento di poter dire una cosa, con certezza: mille volte meglio Barbara D'Urso di Myrta Merlino. Mille volte meglio Il Grande Fratello di Quark o di Piazzapulita. Mille volte meglio il trash della propaganda spacciata per cultura e approfondimento.

Comments

È anche stata la prima a trasmettere programmi h24.
Ho cominciato a guardare i programmi Mediaset con Bim Bum Bam e ho smesso di guardarli con Brindisi.
Adesso, sinceramente, me ne importa poco.
Ormai...
 
Hai colto il punto: chiudendo la porta ai giovani (più o meno talentuosi) e a un certo spirito anticonformista, Mediaset tradisce la propria filosofia aziendale e sceglie di affidarsi a un manipolo di bolliti e di oche deliranti. Checco Zalone ha talento, ma è già un artista affermato.
 
Come sai, sono d'accordo solo in parte. Non riuscirò mai a vedere i lati "meno peggio" dei programmi della D'Urso, perché sono convinta che non ne abbiano.
 

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Franco Marino
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