Ho la fortuna di fare un lavoro, quello di informatico, che, per come lo svolgo, si adatta alla mia indole variopinta e contraddittoria di uomo pigro e indolente al punto di voler saldamente rimanere ancorato alle proprie radici come una cozza sullo scoglio e pur tuttavia provvisto di grande curiosità, al punto di voler immergersi nelle culture altrui.
Così, pur col sedere ancorato sulla mia poltrona, nel mio studio alla periferia orientale di Napoli, da remoto ho costruito un team di gente che non si è mai vista ma che lavora assieme da oltre dieci anni. Buona parte dei miei collaboratori non sono solo stranieri ma vengono addirittura da culture antitetiche alla nostra. E non di rado ci ritroviamo a conversare su Skype o su Telegram. Pensavo proprio a questo, a fine Gennaio, quando un bel pezzo della mia squadra, composto da alcuni vietnamiti, si è preso i suoi giorni per festeggiare il TET, il capodanno lunare, forse la festa più importante di quel meraviglioso paese. Ai collaboratori vietnamiti si affiancano francesi, russi, ucraini, egiziani, indiani, americani, che se qualcuno dicesse che sono un alfiere del nazionalismo italiano, o non ci crederebbe o mi direbbe “Ma chi te lo fa fare?”. Una babele di questo tipo in realtà non ha nulla di contrario alla rivendicazione della propria identità nazionale perché proprio la consapevolezza della varietà del mondo e di quanto sia bello essere diversi, mi rende profondamente desideroso di difendere la mia identità di italiano. Scoprendo tante cose. Che siamo un paese pieno di pregi e di difetti. Che non siamo il paese più bello del mondo come una certa retorica patriottarda vorrebbe dare ad intenderci ma che abbiamo tante cose che vale la pena difendere e per cui valga la pena difendere la sovranità e identità italiana. Basta appunto confrontarsi con culture antitetiche, senza né la spocchia dei cosmopoliti che, solo per aver fatto l’Erasmus con i soldi di babbo, in paesi fondamentalmente molto simili al nostro, si sentono cittadini del mondo e dunque traducono tutto ciò in una sorta di costante automortificazione esterofila, né essere spocchiosi noi e vantare eccellenze, unicità e specificità, nelle quali non sempre siamo davvero eccellenti, unici e specifici. A volte sì. Non sempre. E questo vale per ogni paese del globo terracqueo.

Tutto questo mi ha reso molto più agevole capire altri punti di vista, scoprendo popoli con categorie di pensiero di cui noi occidentali non sospetteremmo neanche l’esistenza. Quando, per dire, Oriana Fallaci sosteneva che solo l’Occidente abbia avuto filosofi e artisti e che gli arabi al massimo possono annoverare Averroè (riducendolo per giunta ad un banale studioso), diceva un'eresia non degna della sua portentosa intelligenza e della sua scintillante penna. Soprattutto, esiste una parte di mondo che rivendica il proprio diritto di esistere. Che può certamente diventare conflittuale col nostro ma così come analogamente loro percepiscono pericoloso l’Occidente.
Tutto questo mi ha permesso non solo di capire Putin, il vero protagonista della mia epoca, arrivato sul proscenio del mondo nel 1999 quando avevo appena compiuto diciotto anni e ancora lì oggi dopo ventitré anni. Ma anche di capire la Russia. Ebbene Putin e la Russia non sono e non saranno mai niente di ciò che i democratici di sinistra occidentali si aspettavano quando l’Unione Sovietica crollò nel 1991, quando si illusero che le istituzioni e i valori russi si allineassero a quelli occidentali. Per varie ragioni.
Anzitutto, la Russia è fondamentalmente diversa, geograficamente, dal resto dell’Europa. E la geografia, materia brutalizzata e invece di fondamentale importanza, spiega la cultura di un popolo come nient’altro. Se l’Italia per esempio non teme i migranti ed è sempre stata esterofila, si deve alla presenza di catene montuose molto elevate e migliaia di chilometri di coste, che hanno sempre reso improbabile qualsiasi invasione. Dunque lo straniero non si presenta mai ai suoi occhi sotto forma di milioni di persone pronti ad invaderci. Ma sempre con gli occhi imploranti di un migrante o pieno di soldi da qualche paese più ricco.
Viceversa, la Russia ha una geografia infame. Tanto per cominciare, è priva di sbocchi su mari caldi. I porti dell’Oceano Artico sono frequentemente ghiacciati e i porti del Mar Nero e del Mar Baltico potrebbero avere il loro accesso agli oceani bloccato da nemici che controllano gli angusti stretti. Tutti questi porti sono distanti dalla maggior parte della Russia. Non a caso, Tucidide distingueva Atene, potenza marittima che viveva nella ricchezza e aveva tempo per filosofeggiare, e Sparta, territorio privo di sbocchi sul mare il cui popolo viveva una vita di stenti con poche possibilità di autoindulgenza ma era capace di sopravvivere in condizioni che avrebbero annientato gli ateniesi. Infatti l’espressione “vivere in maniera spartana” è divenuta proverbiale. Ambedue i popoli erano greci, ma erano molto diversi. E lo stesso può dirsi della Russia e dell’Europa. In quanto potenza senza sbocchi sul mare, le occasioni della Russia per il commercio internazionale e un efficiente sviluppo interno sono limitate. E sin da giovani vengono addestrati a sopportare privazioni che atterrerebbero (ed hanno atterrato) altri Paesi europei. E mentre noi andiamo nel panico per un inverno senza riscaldamento, esistono intere regioni russe abitate da gente che riesce a sopportare inverni che arrivano fino a diversi gradi sotto zero.
Ciò, ovviamente, non ha impedito sconvolgimenti come la Rivoluzione Russa e la caduta dell’URSS. Ma l’Occidente ha continuamente confuso il crollo delle istituzioni come una volontà di liberalizzarsi ed ha mancato di riconoscere la cosa come nello stesso tempo disastrosa per la Russia e aliena dalla cultura russa, rimanendo sorpreso tutte le volte che la Russia è ritornata ad essere ciò che è sempre stata, accusando Stalin o Putin di avere ristabilito le istituzioni che stabilizzano la Russia, e considerando questa come una sfortuna dovuta alla malvagità di un uomo e non semplicemente figlia delle contingenze. Non bastasse ciò, la Russia ha vissuto guerre terribili, tentate invasioni, che hanno insegnato ai russi che la guerra è sempre possibile e che la più grande difesa è stata una profondità strategica. Tanto che la storia russa è – e non può non essere, e sarà sempre – costantemente dominata dalla lotta tra il centro politico forte e le periferie economicamente ricche. Quando le periferie si estendono troppo e le imprese del confine economico iniziano ad amoreggiare con lo straniero, puntualmente il centro politico – su richiesta dei russi stessi – li fa fuori e si ricomincia daccapo in un meccanismo che fa semplicemente parte del DNA russo.
Un Paese vasto, con una popolazione dispersa, come la Russia, può essere tenuto insieme soltanto da un governo centrale autoritario che, anche quando è formalmente democratico (Putin vince ogni volta regolari elezioni) dovendo controllare un apparato di politica interna e di sicurezza che riesca a contenere le tendenze centrifughe caratteristiche di ogni Paese, inevitabilmente non solo deve ricorrere all’autoritarismo ma anche dare una sensazione di autorità.

Gli occidentali spingono affinché la Russia vada oltre la sua storia antica. Ma bisogna anche ragionevolmente accettare che mentre, per esempio, il fondamento logico dietro l’Unione Europea è la memoria delle due guerre mondiali, e il desiderio che non si ripetano mai più; mentre negli Stati Uniti, la Guerra Civile è ancora il fulcro dietro cui ruotano molti degli attuali dibattiti; mentre la paura dei tedeschi verso l’indebitamento nasce dalla tragica esperienza di Weimar; e mentre le guerre e le disgrazie che sono state combattute non abbandonano MAI le memorie delle nazioni, la stessa cosa accada anche ai russi. Essi desiderano uno Stato e un leader abbastanza forti per prevenire un’altra di quelle guerre o, dovesse lo stesso verificarsi, abbastanza forti per condurre la Russia alla vittoria. Se gli europei temono il ritorno del nazionalismo, e gli americani temono il razzismo, i russi temono la debolezza. Se Vladimir Putin fosse morto investito da una macchina nel 2000, sarebbe stato sostituito da un altro Putin con un nome diverso. Tenere insieme la Russia – prevenire delle insurrezioni e proteggere la patria – è il compito che deve affrontare qualunque governante russo di successo. Putin, stroncando le minacce dei numerosissimi nemici interni ed esterni, si guadagna il consenso del popolo russo perché è proprio quello che il popolo gli chiede. Governa un Paese debole, devastato dai bassi prezzi del petrolio e dai sempre maggiori costi della difesa, una combinazione che provocò il collasso dell’Unione Sovietica. È perfettamente cosciente delle debolezze, e sa che riconoscerle e mostrarsi impaurito, come fece Gorbaciov, o addirittura instabile mentalmente e dedito all’alcool come Yeltsin, può mettere in pericolo un gigante con i piedi di cristallo.

La Russia deve essere capita per com’è, non come l’Occidente vorrebbe che fosse. Come la vorrebbero gli occidentali della sinistra americana, che cercano di trasformare la Russia in qualcosa che non sarà mai, cioè un avamposto della cultura LGBT. E come la vorrebbe una certa destra che si è sempre illusa che Putin fosse il cavaliere bianco pronto – chissà perché poi – a prendersi cura di paesi europei desiderosi di sottrarsi dall’asse atlantico ma senza rinunciare alle comodità. Come quei bambinoni viziati che nel legittimo desiderio di essere indipendenti dalla matrigna America, pensano che suocera Cina o suocera Russia si prendano gratis cura di loro. È importante che non ci illudiamo pensando che sia possibile una definitiva conciliazione con la Russia, o che gli interessi degli altri Paesi siano gli stessi. La Russia può essere un utilissimo alleato e un ferocissimo nemico, a seconda delle circostanze e degli interessi. Anche io spero che possa essere un buon alleato europeo. Ma non sarà mai niente di più.
O comunque nulla di ciò che vorremmo.

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A questo punto...non ti amo più...semplicemente..ti adoro..❤
""":"Nessuno può insegnare al nostro popolo che società dovremmo costruire"""""
 

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Giusto e molto bilanciato,
legge anche nei pensieri, oltre a svolgere il suo variegato lavoro...
Questa è una grande consolazione...
Così, alcuni di noi, hanno avuto conferma e speranza di non essere troppo soli nel loro modo di vedere le cose che li circondano, e, soprattutto, di potersi sentire: "felicemente diversi"... 😉
Grazie, Franco!
 
I nostri " pensatori" che favoleggiano in tv, sono talmente scarsi che non tengono mai presente il contesto storico, o geografico. Gente che esporta un pensiero standard, pensando di poterlo applicare in ogni luogo, e in ogni epoca, giudicando senza conoscere...
 

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Franco Marino
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