La conversazione con Vittorio Strada è stata filmata nell’abitazione dello scrittore per essere presentata a un convegno su di lui e la sua opera che si sarebbe svolto il mese successivo nella cittadina italiana di Penne (19-26 novembre 2000).

Lei ha una conoscenza diretta dell’Occidente, avendo trascorso i lunghi anni dell’esilio in Europa e in America, e più di una volta si è espresso in modo critico nei suoi confronti. E cosa pensa adesso, oggi, dell’Occidente? Quali sono, secondo lei, gli aspetti positivi e negativi del mondo occidentale? E come le sembrano i rapporti della Russia di oggi con la realtà occidentale contemporanea?


Lei dice che ho criticato l’Occidente. È vero, l’ho criticato, ma voglio precisare meglio. Ho sempre ammirato l’organizzazione pratica della vita in Occidente. Ho sempre pensato che avremmo dovuto farla nostra sotto molti aspetti, a cominciare da una reale autonomia amministrativa locale. Se oggi stiamo andando in rovina è proprio perché questa autonomia non ci viene concessa, viene repressa, è di fatto inesistente. (Quella stessa autonomia locale che c’era in Russia prima della Rivoluzione e che Lenin, allora, aveva definito la quinta ruota, ha proprio detto così: "Lo zemstvo è la quinta ruota" Dovremmo dunque recuperare questo autogoverno locale, così il popolo si sveglierebbe e comincerebbe a far qualcosa, senza aspettare che i funzionari del centro gli calino dall’alto le loro disposizioni.) Ma, oltre ad ammirarlo, provavo anche dispiacere per l’Occidente, dispiacere perché durante il fortunato percorso che li aveva portati alla prosperità, gli occidentali si erano spiritualmente indeboliti e non avevano più la forza d’animo per affrontare certe prove decisive. Il dispiacere per questo infiacchimento spirituale mi ha spinto a criticare l’Occidente, solo quello. A questo proposito vale la pena di allargare il discorso, portandolo fino alla soglia del nuovo secolo e millennio. Nella seconda metà del xx secolo ha avuto inizio un grandioso processo che ancora non abbiamo probabilmente considerato fino in fondo: la degenerazione dell’umanesimo. Al suo nascere, l’umanesimo si era appassionato a un progetto straordinario: mutuare dal cristianesimo quelle che erano le sue migliori idee, e cioè bontà e compassione per gli oppressi, provando però a far funzionare la cosa senza Dio. Per qualche secolo gli era riuscito di incedere, risplendente di grandezza morale, sulla scena del mondo e di portare avanti le sue idee luminose, ma senza Dio. Poi, alla metà del xx secolo l’umanesimo-umanitarismo ha anche assunto i tratti del globalismo, un globalismo dalle molte promesse: se non ce la si fa ad arrivare al luminoso avvenire è perché non abbiamo un governo centrale di tutta la Terra, né una razionale distribuzione di tutte le risorse. Ma alla fine del XX secolo era sopravvenuta una svolta inaspettata. Il tempo di guardar meglio e hanno constatato che il nostro pianeta era piccolo, non aveva più risorse da darci. L’umanitarismo-globalismo che esortava ad aiutare tutti i diseredati in tutto il mondo, a rinunciare alle politiche coloniali, a innalzare il Terzo Mondo al livello del Primo, all’improvviso ci ha visto chiaro, si è arreso alla ferrea logica della realtà: non ci riusciremo mai, perché non ci sono le risorse per farlo, e neanche le si possono creare su questa Terra troppo stretta per tutti. E a questo punto il globalismo ha mostrato il suo nuovo volto. Ricordo che alcuni anni fa, da Rio de Janeiro, i popoli imploravano gli Stati Uniti, in primo luogo loro, ma anche gli altri paesi avanzati, di ridurre la loro produzione, che aveva raggiunto dimensioni insensate! Gli abitanti degli Stati Uniti costituiscono il 5 per cento della popolazione mondiale, consumano il 40 per cento di tutte le risorse minerarie e materie prime e contribuiscono per il 50 per cento all’inquinamento complessivo. Li hanno supplicati: fermatevi! No, non possono, né gli Stati Uniti né gli altri paesi progrediti, perché l’aumento sempre crescente del consumismo generalizzato esige sempre nuovi e sempre più numerosi prodotti. Ed ecco come si presenta l’attuale situazione dell’economia mondiale: si è accertato che l’economia del Terzo Mondo non prende slancio, e anzi è in calo. Infatti, per lasciare libero spazio alle inquinanti attività dell’industria più evoluta è necessario frenare l’industria nel Terzo Mondo, e già lo si è fatto. Il Terzo Mondo si è ridotto a fornire le ricchezze del sottosuolo e i servizi. E anche noi, la Russia, siamo destinati a finire nel novero di quei paesi e ci stiamo proprio finendo. L’attuale globalismo promuove già un nuovo slogan: invece di progresso, propone selezione, il termine cioè del darwinismo sociale; sarebbe quella che distingue i migliori e di maggior successo dagli altri, ed è una scelta che già da decenni abbiamo sotto gli occhi. Nella pubblicistica contemporanea è apparso il concetto di Miliardo d'Oro. Indica il Nordamerica e l’Europa, e oggi rappresenta all’incirca la quinta parte, ma presto si ridurrà alla sesta parte, della popolazione del pianeta. Per essa resterà aperta ogni strada, per ora… per ora e non può essere altrimenti, ma a spese di chi? A spese di tutti gli altri. In questo modo l’umanesimo-umanitarismo è degenerato in un globalismo della peggior specie e non tutti se ne sono a tutt’oggi resi conto. Ed è successo perché hanno voluto costruire un futuro senza Dio e hanno tirato avanti così per due secoli… Questa tragedia dell’umanesimo-umanitarismo è l’elemento più importante del passaggio al XXI secolo e al terzo millennio. Come ne usciremo nessuno può dirlo con sicurezza. La situazione della Russia è a questo riguardo particolarmente terribile, perché dopo aver profuso tante delle migliori energie e 27 milioni di vite nella Guerra mondiale ma anche in tutta questa edificazione del socialismo, e per la creazione del complesso militare industriale – ci siamo ritrovati senza niente in mano, siamo allo sfacelo, e ci spingono nel Terzo Mondo. E stiamo estinguendoci, ecco la cosa più spaventosa, stiamo estinguendoci. Avremmo dovuto mutuare dall’Occidente il meglio e invece, nello smarrimento e nel caos, ne abbiamo intercettato molti degli aspetti più deteriori. Quando nel nostro paese c’è stato il crollo del comunismo noi, che da decenni stravedevamo per l’Occidente aspettandoci che là tutto andasse per il meglio, non come nel nostro paese, noi, la nostra popolazione, ci siamo abbandonati all’euforia. Abbracciamoci, popoli tutti! Finalmente noi e voi saremo un tutt’uno! Siamo aperti a tutto! Liberare l’Europa dell’Est – ma prego! (E Gorbačëv non ha neppure osato dire: Ma non è che poi vorrete prendervi l’Europa dell’Est nella NATO? – non ha cioè chiesto di vedere le carte, sarebbe stato molto, molto inappropriato.) Disarmare? – ma certo, ci siamo disarmati per quanto abbiamo potuto e fatto in tempo. Eravamo pieni di fede e fiducia. E a un tratto c’è stata una svolta imprevista. I dirigenti degli Stati Uniti, comprendendo di aver vinto la Guerra fredda, non sono riusciti ad accontentarsi della vittoria riportata. Nella storia si sono già viste grandi potenze tentate dall’egemonia mondiale. E oggi gli Stati Uniti si sono lasciati tentare da questa prospettiva. Non nel senso di inviare truppe per assoggettare la Terra intera, no, oggigiorno non ce n’è bisogno. La Terra può essere resa dipendente da un punto di vista economico e culturale. E gli Stati Uniti si sono accinti a farlo. Prendiamo la NATO – il Trattato nordatlantico e sottolineo: Nordatlantico. E dove lo troviamo invece? Nell’Asia centrale, nella Transcaucasia e attivissimo in Ucraina, la quale non vede l’ora di poter entrare nella sua compagine. E cosa deve pensare la Russia? Di fronte all’evidenza di una politica di accerchiamento, il più elementare accerchiamento strategico, grazie al quale in qualsiasi momento, se ce n’è necessità, in due o tre ore si possono, da postazioni avanzate, raggiungere i nostri principali centri di comando – come dovrebbe reagire la Russia? Ovviamente con timore e prendendo contromisure. E l’Europa dell’Est? La sua reazione è interessante. Capisco bene quei paesi, e capisco bene anche i paesi baltici. Sono talmente intimoriti dall’ipotesi di un’aggressione da oriente che stravedono per la NATO. Non hanno sufficiente preveggenza per capire che la minaccia incombente non è quella di un’invasione da oriente, impensabile nel XXI secolo e oltre, ma quella prevedibile a breve termine di finire ingaggiati come lanzichenecchi nella NATO. Per la realizzazione dei suoi compiti divenuti adesso mondiali, questa organizzazione militare avrà necessità – e come abbiamo visto, già l’ha avuta – di mandare qua e là aviazione o truppe di terra. E perché non dovrebbe mandare quelle degli europei dell’Est? Le manderà, è sicuro. E così i polacchi, per dire, non difenderanno la Polonia, ma presteranno servizio da qualche parte in Africa o in Asia. Ma consideri solo come sono andate le cose con la Iugoslavia. Quando la NATO bombardava la Iugoslavia, l’opinione pubblica dell’Europa orientale applaudiva. I paesi baltici applaudivano! Quante lacrime abbiamo versato a suo tempo sulla triste sorte degli europei dell’Est: sfortunati, poverini, almeno potessimo liberarvi, e adesso applaudono: suonatele ai serbi, più forte, dateci dentro! Ma cosa è successo a quella gente? Che cosa ha potuto determinare una tale svolta nei loro cervelli? Il momento in cui la NATO ha respinto la risoluzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, per quanto debole e insoddisfacente fosse, e ha cominciato ad agire autonomamente, quel momento è stato di portata storica, esorbitando l’ambito stesso del problema Iugoslavia. Ricorda Hitler e la sua uscita dalla Lega delle Nazioni? Che fastidio gli dava? Però sappiamo il seguito della storia. Qui è la stessa cosa: l’ONU è d’intralcio in un caso, poi in un altro. Adesso c’è la proposta all’ONU di occuparsi del problema del Medio Oriente e per cominciare hanno messo da parte il Consiglio di sicurezza: non è il caso, c’è già l’ONU a mettere i bastoni tra le ruote. C’è da aver paura di fronte a questo sistema mondiale del tutto nuovo che ci aspetta.


Tratto dal libro
Ritorno in Russia. Discorsi e conversazioni (1994-2008) di Aleksandr Solženicyn (a cura di Sergio Rapetti), Marsilio, 2019.

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