Da ieri si tengono le elezioni regionali e qui devo fare una confessione molto grave per uno che scrive spesso di politica e che si atteggia ad editorialista: nemmeno sapevo che si votasse. E non parliamo - con tutto il rispetto, beninteso, per quei bei posti - del Molise e della Val d'Aosta, ma di due regioni chiave che spesso fanno da apripista a cambiamenti anche in ottica nazionale: Lombardia e Lazio. Non devo essere il solo tuttavia ad avere questo disinteresse perché mentre almeno, da campano, io posso opporre la giustificazione che non si tratta di elezioni che mi riguardano - ma non avrei votato nemmeno se si fosse trattato della Campania - viceversa il primo dato che emerge da questa tornata elettorale è che l'affluenza si è praticamente dimezzata. Stando ai dati di adesso mentre sto scrivendo questo articolo, siamo attorno al 30%, cioè sette lombardi e laziali su dieci non trovano più importante andare a votare per cose che riguardano il proprio territorio. E non è certo un dato che può far stare allegro chi crede nella democrazia. Dopodiché si può scegliere di proseguire la strada della demonizzazione dell'astenuto, oppure cercare di andare oltre, di elevare il dibattito, cercando di capire perché si sia arrivati a questo punto.

Quando alle ultime elezioni politiche ho fatto sapere che non sarei andato a votare (poi sono andato a votare lo stesso, sfinito dalle pressioni di chi mi stava accanto) sono stato riempito di sussiego quando non di insulti da parte dell'area del dissenso. Peraltro, da questo punto di vista, non posso certo lamentarmi di essere stato il solo a subire questo destino, visto che chiunque abbia annunciato di non andare a votare si è dovuto ritrovare pletore di maestri di educazione civica dell'ultim'ora che, o per interesse personale - erano candidati a qualche carica - o perché piegati al conformismo dell'elettoralmente corretto, ci dicevano perché bisognasse votare nonostante tutto, ci accusavano di essere fiancheggiatori della sinistra (sic!) e tutto questo nonostante anni di accuse turpi ancorché giuste al sistema, nonostante intere "carriere" digitali consacrate passate ad epitetare chiunque non andasse a genio al masaniello digitale di turno, qualcosa che naturalmente va in netta contraddizione con l'idea di un confronto democratico anche acceso. Questo paradosso si è infine svelato lo scorso 25 Settembre quando il dissenso digitale si è definitivamente sfarinato tra turpi guerre fratricide tra i partiti della dissidenza. Qualsiasi persona di buonsenso troverebbe ridicolo che si facesse campagna per lo stesso sistema democratico che ha reso la vita impossibile a milioni di non vaccinati, additandoli al pubblico ludibrio, che li sta trascinando in una guerra suicida che si concluderà in un bagno di sangue. Così come troverebbe ridicolo votare partiti che sperino di sovvertire un regime usando le regole della democrazia. Ma tant'è: al momento opportuno risuonano le trombe della propaganda e chi prova a far sentire la sua flebile voce, viene condannato all'irrilevanza. Nulla di nuovo né di strano. Dunque nulla su cui fare drammi particolari. Ciò non toglie che alla fine la suggestione e la realtà si incontrino. E cosa dice la realtà?

Punto primo: il crollo verticale della partecipazione elettorale è avvenuto in una tipologia di elezioni molto significativa che è quella dove ci sono ancora le preferenze. Questo significa una cosa di fondamentale importanza, nella sua gravità: i partiti non risolvono più i problemi di tutti i giorni sul territorio. Non parliamo di cose impossibili come far finire la guerra in Ucraina, uscire dalla NATO, liberarsi dai diktat dell'OMS, ma di quella politica che incide sulla vita di tutti i giorni della gente, sui suoi problemi. Ed è un dato molto pericoloso. Perché significa che si apre la strada ad altre realtà che siano in grado di risolvere questi problemi, anche contro la legge.
In sintesi, sempre meno persone credono in questo sistema democratico, nella possibilità di cambiare le cose, nell'idea che in politica esista una dialettica tra gruppi davvero diversi e non un coro unitario, sia pure diviso da mille finti partiti. E' questo che porta all'astensione. Per quale motivo si dovrebbe votare Tizio se tanto Caio farà la stessa cosa? Perché io dovrei andare a mettere un segno in una cabina elettorale se tanto alla fine tutto è già scritto?

Dopodiché, intendiamoci bene, non tutte le ragioni dell'astensionista sono valide. Attorno all'astensione c'è tutto un rumore di fondo tra beceri qualunquismi da bar e spocchiosi atteggiamenti da asceti della montagna, c'è sicuramente il nullafacente dal cervello di gallina che non va a votare perché il suo universo si racchiude nel suo orticello, e all'opposto, c'è anche la persona ipercritica che voterebbe qualcuno soltanto se togliesse tutte le tasse, lasciando inalterati i servizi o se trasformasse il paese in un impero coloniale. Ma non c'è solo questo. C'è anche e soprattutto il disappunto di chi, come il sottoscritto, non si è perso un'elezione dal 1999 al 2018 ed è, tuttavia, ormai convinto che la situazione si sia irrimediabilmente incancrenita, supportato in questa sua triste conclusione da parametri che peggiorano di mese in mese. C'è il triste e malinconico dispiacere di chi vede ogni giorno lo Stato diventare sempre più un elefante obeso e prepotente, che chiede sempre più e dà sempre meno, che si appresta ad introdurre nuove tasse, tra cui quella megapatrimoniale mascherata che saranno i certificati green per le proprie abitazioni. Non votando non otterrà certo di cambiare le cose. Ma se - ho già fatto questo giochino - si chiede ad un povero disgraziato di decidere se buttarsi dal centesimo o dall'ottantesimo piano di un grattacielo, non ci si può certo aspettare letizia nella scelta, perché in entrambi i casi la destinazione finale sarà lo sfracellamento al suolo in una pozza di sangue.

Bisogna semplicemente prendere atto che questo sistema democratico è in gravissima crisi. Criminalizzare chi ha deciso - a torto o ragione, per validi motivi oppure no - di ritirarsi dalla dialettica politica non ha alcun senso. La democrazia è un contratto sociale che si fonda sul consenso di ambedue le parti. Se il cittadino ha la convinzione, fondata sui fatti, che votando destra o sinistra, comunque si cadrà da un grattacielo, preferirà mille volte aspettare che arrivi il momento in cui qualcuno lo prenderà e lo butterà di forza da quel grattacielo. O magari che arrivi qualcuno a salvarlo.
Non so dire se siano fondate le speranze di chi spera ancora in una palingenetica salvezza. Quello che so è che la teoria del meno peggio funziona soltanto quando effettivamente in uno dei casi si sopravvive. Se si muore in entrambi i casi, esiste il peggio e basta.

Comments

Ho sempre votato, sempre.
Stavolta però oltre ad aver fatto mente locale sulla scandalosa quantità di appuntamenti elettorali da giugno ad oggi, ho ritenuto opportuno provare ad aderire al partito di maggioranza in Italia, anche perché i vari candidati, e relativi partiti in appoggio, non mi rappresentano in assoluto. Pensavo di sentirmi in colpa per non aver rispettato il mio diritto-dovere....invece provo un piacevole senso di leggerezza.
 
Io ho sempre votato pur sapendo che il mio piccolo voto non avrebbe cambiato molto. Lo faccio per seguire le mie regole comportamentali fondamentali nella mia vita per sentirmi a posto: 1) non fare pensieri peccaminosi sui maschi nati dopo il 1.01.1972 (mio figlio é nato in quell'anno e mi sentirei in colpa), 2) non discutere di politica con chi non vota, 3) non discutere di nulla con chi non paga le tasse, 4) evitare chiunque paghi in nero i collaboratori, tutti i collaboratori. Ti seguo perché scrivi in modo eccellente ed esprimi i miei pensieri, ma questo supporto all'astensionismo non mi piace, non demonizzo non accuso. Basta poi non criticare, come fanno molti, chi governa.
 
Abito in Lombardia e il rischio che, nonostante Fontana non avesse brillato, soprattutto in pandemia vera o presunta, facendosi calpestare da Speranza e soci, il malcontento ci mandasse in Regione i rottami del PD, c'era tutto. Per fortuna ha prevalso il trend del momento, nonostante il crollo dei votanti. La politica del meno peggio è tutto quello che ci possiamo permettere, e non è il menefreghismo, a portare idee nuove, riforme e servizi. La classe politica è questa, e non se ne andrà senza una improbabile rivoluzione non pacifica: chi mai potrebbe fare da capopolo? La Ferragni col suo pupazzo scarabocchiato? Alla gente interessa di più del grande fratello e dei sessualmente indecisi di Sanremo che delle sorti e del futuro del Paese. Come diceva Freak Antoni degli Skiantos: cosa pretendi da un paese dalla forma di una scarpa...?
 
Franco, La leggo con attenzione e spesso condivido il suo pensiero... però
ho sempre votato, nel bene e nel male, forse più male... da che avevo 18 anni... 😉
per il rispetto di un antico ricordo scolastico,
che non mi abbandonerà mai :
< 1913, Emily Davison, ippodromo di Epsom, un cavallo e... re Giorgio V...> 😔
 
È un mio pensiero personale. Normalmente a sinistra vanno tutti a votare, bello o brutto che sia il tempo o che ci siano altri fattori che invece inducono gli altri a disertare le urne.
Questa volta invece credo che siano stati proprio loro a restare a casa. Vuoi il caso Soumahoro, vuoi la scelta della Schlein quale candidata alla presidenza, vuoi le porcate viste a Sanremo, suppongo che una larga parte degli elettori di sinistra abbiano deciso per l'astensione, schifati da tali situazioni e da tali comportamenti. Però pure l'elettorato di destra è mancato all'appuntamento, e credo che molto sia dovuto all'appoggio che la Meloni stia dando a Zelenski.
 

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Franco Marino
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