Ci sono cose di cui è facile stabilire la natura. Per esempio, cos'è il sole? E qui chiunque saprebbe rispondere: o con la risposta scientifica - stella madre del sistema solare (nel quale ovviamente c'è anche la nostra Terra) - oppure con quella empirica e cioè quella grande palla di fuoco che ogni giorno compare nei nostri cieli. Ma quando si parla di libertà, le questioni si complicano enormemente e mi accorgo di essere in ciclopica difficoltà. Per esempio, in questo momento sono libero di prendere la pistola e sparare addosso al primo che becco per strada. Non ci sono forze in grado di fermarmi, salvo che il presunto obiettivo non sia in grado di neutralizzarmi. Ma se qualcuno mi identificasse, finirei in galera. Questo perché la mia libertà non è assoluta ma sempre relativa, si estrinseca in rapporto ad un'altra serie di libertà che le limitano.
Sembrano banalità, ma ogni discussione sulla libertà inciampa su tantissime variabili che alla fine la rendono scivolosa ed equivoca. Né in aiuto ci vengono le enciclopedie. Infatti la Treccani - che normalmente quando si tratta di una parola dalla facile definizione, ad essa dedica 3-4 righe - alla libertà dedica una cinquantina di righe, suddividendola in moltissime voci (libertà religiosa, economica, giuridica, finanziaria).
E di fronte alla morte di Costanzo, molti hanno rispolverato un annoso dilemma: la televisione è davvero libera? Costanzo è stato un uomo potentissimo che ha obbligato tutti a seguire i programmi che voleva oppure si è semplicemente adeguato alle masse come, per esempio, sostiene Fais sul vecchio giornale dove scrivevo io? E' una diatriba sostanzialmente inutile, perché porta alle estreme conseguenze sia le sciocchezze sia dell'estremismo statalistico che di quello libertario e perché dà per scontate cose che non lo sono affatto: che la televisione commerciale sia davvero commerciale e che non sia possibile instaurare una dittatura anche in un sistema teoricamente liberale. Ma è davvero così?

In questo gigantesco equivoco si inquinano molte discussioni sul tema della libertà e della democraticità. Molti pensano che le dittature siano possibili soltanto in un sistema palesemente statalistico e che, viceversa, nei sistemi liberali, tutto sia ridotto alla massima libertà di contrattazione tra chi produce e chi consuma e che dunque il consumatore debba misurarsi con la libera scelta privata di usufruire di un prodotto e non con la pressione più o meno autoritaria rappresentata da un ente statale o comunale, in grado di incidere pesantemente sulla libertà di scelta. E non c'è dubbio che questo sia vero in linea di principio. Del resto un'impresa commerciale privata funziona finché vende e dunque riscontra il gradimento del cliente. Se una televisione produce programmi di qualità indovinando i gusti del pubblico, ci troviamo di fronte ad un rapporto paritario tra chi crea i programmi e chi li guarda/ascolta. Se però ciò non avviene, quella televisione chiude oppure l'editore cerca credito da parte di qualcuno che a quel punto certo non glielo fa gratis e richiede sempre qualcosa in cambio.
In questo senso, la storia dell'impresa italiana è stracolma di aziende che senza l'aiuto - mai disinteressato - dello Stato, non potrebbero stare in piedi. E nello specifico la storia di Mediaset, in tal senso, è emblematica. Senza l'aiuto di Craxi prima (politica) e di Cuccia poi (sistema bancario, che in Italia è strettamente legato alla politica) Mediaset - allora Fininvest - avrebbe già chiuso i battenti dall'inizio degli anni Novanta. E non se ne fa ovviamente una questione antiberlusconiana - Mediaset ha fatto anche ottimi programmi - ma ovviamente lo stesso discorso si lega a La7 e agli altri carrozzoni dell'editoria di oggi, che senza indebitarsi non potrebbero stare in piedi, perché in un regime autenticamente liberale, quei valori che tutti sono convinti essere espressione di massa, non potrebbero sostenersi. Dunque, Mediaset e La7 non sono imprese private, ma di Stato. E quelli dunque sono valori di Stato, di un'entità più forte del singolo cittadino. E anche andando oltre la questione televisiva, nessun sistema economico è davvero libero se, per poter sopravvivere, dipende da vettori amministrati dallo Stato.

Ogni discussione sulla libertà si impantana sulla percezione di vivere in un sistema in teoria libero ma che, nella pratica, struttura la propria socialità attraverso una serie di vettori (banche, logge massoniche, a cui Costanzo apparteneva, mafie) su cui o lo Stato non è in grado di far valere la propria autorità come ente regolatore - confondendo l'anarchia col liberalismo (che per inciso non postula mai l'abolizione dello Stato, anzi, il potere dello Stato nei sistemi liberali DEVE essere fortissimo ma come mero arbitro) - o ha interesse a gestirli per cercare di esercitare il proprio potere senza metterci la faccia. Vettori che in cambio, ovviamente, vogliono determinati favori.
In questo sistema, Maurizio Costanzo - che poi certamente era anche a suo modo un abilissimo professionista, che ha lanciato molti grandi talenti - non sarebbe mai durato così a lungo se non avesse fatto parte del sistema di potere dominante, proprio per questo non è possibile buttarla in caciara ritenendo che dal momento che se le TV sono private, allora diano ai cittadini quel che vogliono.
Definire libero qualcuno solo perché non palesemente controllato dallo Stato - che invece lo controlla attraverso un sistema di scatole cinesi - è esattamente l'equivoco su cui si stanno delegittimando i valori della libertà e della democrazia, all'occhio di sistemi autoritari che sfruttano la purulenza delle infezioni generate dalle contraddizioni dei sistemi liberali, per imporre il proprio palese e sfacciato autoritarismo.
Perché il punto è proprio questo: qualsiasi valore, anche il più nobile, se difeso da pessimi avvocati e con pessimi argomenti, viene condannato. Anche quando è innocente.

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Franco Marino
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