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La persona che legge i giornali italiani e ha una posizione antisistema, impara presto una regola molto semplice: se i giornali ufficiali parlano trionfalisticamente di qualcosa, quella cosa ha ottime probabilità di essere una fregatura per l'Italia. Se, viceversa, ne parlano malissimo, quella stessa cosa ha ottime probabilità di essere conveniente. E' su questo presupposto che, quando ci capita di sentir parlare di "piano Mattei", bisogna agire su due binari: quello della curiosità e nel contempo quello della diffidenza, senza né avere pregiudizi nostalgici - la politica di Mattei fu fatta in un altro contesto, geopoliticamente migliore - né facili entusiasmi.
Come al solito, in questi casi, il segreto è distinguere il grano dal loglio.

Un primo punto di partenza di non secondaria importanza è la qualità della materia prima: non basta dire "abbiamo comprato una bombola di gas" per stare tranquilli, occorre anche che funzioni. E da questo punto di vista non dovrebbero esserci problemi, il gas algerino, per quanto ne so io da questa poco autorevole postazione, è ritenuto dagli esperti di ottima qualità. Il vero problema è capire quali implicazioni geopolitiche questo accordo comporterà. E a tal proposito, la questione è molto semplice: l'Italia, se non vuole passare il resto di questo inverno - nonché i prossimi inverni - a fare un mutuo per fare il pieno di benzina o a cucinare schiaffeggiando il deretano del galletto vallespluga, ha bisogno del gas per rendere più serena la cosiddetta transizione ecologica. Ma questo, venuti meno i rapporti con la Russia, dà ai nuovi partner un potere contrattuale non indifferente che, naturalmente, al momento opportuno faranno pesare. Senza contare il principale quesito: come reagiranno le grandi potenze? E qui c'è già una prima criticità che in realtà ne vale due. Perché l'Algeria ha, notoriamente, rapporti privilegiati con la Russia che potrebbe cercare di sabotare l'accordo, imponendo agli algerini casomai di alzare il prezzo in cambio di qualche favore. Inoltre, proprio l'amicizia tra Algeria e Russia potrebbe creare problemi di non poco conto in sede americana, con gli Stati Uniti che potrebbero fare ostruzionismo nei modi più conosciuti. Per non parlare di un altro dato: abbiamo appena litigato con i russi per via della loro presunta antidemocraticità per poi legarci mani e piedi ad un paese che sul piano dei diritti ha sempre lasciato piuttosto a desiderare. Come spiegare alla gente che abbiamo passato l'inverno a preoccuparci dei termostati se si passa dall'autoritarismo russo a quello algerino?
Certo, osserverà qualcuno, l'Algeria non è la Russia, non è una potenza economica né militare, ma questa è se possibile una criticità ancor peggiore: chi garantisce l'Italia che l'Algeria non entri nel mirino degli stessi destabilizzatori che già crearono problemi alla Libia allorquando Berlusconi stipulò il suo trattato di amicizia con Gheddafi?

In sostanza, un conto sono i titoli trionfalistici, altro conto è la realtà. A mettere in allarme la persona scafata è proprio quanto bene stiano parlando di questa cosa. Il che, normalmente e notoriamente, non è un bel segno. In generale, il principio da seguire quando si parla di energia è analogo a quello di quando si gioca in Borsa: spacchettare i propri risparmi in più titoli, per bilanciare le perdite dell'uno con i guadagni dell'altro. Indipendentemente da come la si pensi su Putin, dipendere interamente dal gas russo non era una strategia saggia e prudente. Ma se dalla dipendenza da Putin si deve passare a quella dall'Algeria, bisogna aver chiaro che si passerà semplicemente dalla padella alla brace. Stiamo a guardare, senza pregiudizi ma senza neanche illuderci di aver scaricato Putin in cambio del paradiso e di aver resuscitato Mattei. Che purtroppo riposa in pace e non ha eguali.

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Franco Marino
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