Nel 1729 il dottor Jonathan Swift, universalmente noto per “I viaggi di Gulliver”, pubblicò una satira dal barocco titolo di “Una modesta proposta per impedire che i bambini della povera gente siano di peso per i loro genitori o per il Paese, e per renderli utili alla comunità”, che viene più agevolmente citato con le sole prime tre parole. In esso Swift, che era un misantropo ma sinceramente colpito dalle condizioni di miseria del popolo nella sua Irlanda, esasperato dall'abbandono in cui i bambini dei poveri erano lasciati e constatato il totale disinteresse che le classi alte e il governo dello Stato riservavano alla questione, suggeriva che, al fine di migliorarne le condizioni, venissero mangiati. Trasformando i bambini poveri in cibo, spiegava, si sarebbero tolti dei mendicanti dalle strade presenti, dei probabili delinquenti da quelle future, alleggerito il bilancio pubblico e anzi aggiunto una fonte di calorie a quelle già disponibili.


Ovviamente Swift faceva della feroce ironia, intendendo che visto il totale menefreghismo del pubblico su di un tema che investiva le vite di intere generazioni di esseri umani, senza vedere alcuno sforzo per nutrirli, educarli e farne dei buoni sudditi, tanto valeva sopprimerli e farne salsicce. Ma mi è tornato in mente oggi, di fronte al persistente disinteresse con cui, nonostante le prime pagine piene di sangue e vicende belliche, si continua a riservare a ciò che causa una guerra continua da circa un secolo, ossia le condizioni di vita di qualcosa come cinque milioni e mezzo di arabi palestinesi divisi fra Gaza e Cisgiordania. Perché è chiaro che di integrarli non se ne parla, dato che il senso stesso di Israele è di essere “Stato Ebraico”, di dar loro uno Stato neppure, perché non sarebbe uno Stato ma una caricatura, diviso in due senza alcun corridoio di collegamento e privo delle risorse che ne permetterebbero la sopravvivenza, e neanche li si può cacciare tutti fuori, perché nessuno se li prenderebbe (a parte l'Italia, ma non è detto che vogliano venirci loro). Allora la soluzione che resta sarebbe questa: uccidiamoli tutti.


Sterminando i palestinesi, in maniera capillare e definitiva, si libererebbe un sacco di posto, si toglierebbe ad Hamas un serbatoio di manovalanza per condurre azioni di guerra, finirebbe ogni tensione e in Terrasanta tornerebbe la pace (quella eterna, almeno). Che poi, viste le premesse, potrebbe essere anche una soluzione attraente per i vertici governativi e militari israeliani. E non dimentichiamo un'altra conseguenza: risparmieremmo ai giornali la pena di dover fare ogni volta la gimcana fra gli eventi dovendo evitare gli uni ed enfatizzare gli altri, a seconda che sia più politicamente corretto esporre cadaveri arabi o ebrei. Infine, non dovremmo più sentire l'ennesimo aggiornamento sulla “crisi in Medio Oriente”, argomento di cui ne avremmo anche le scatole piene, né doverci vedere aumentati gas e benzina ad ogni mortaretto che esplode fra il Mediterraneo e il Giordano, anche se la quantità di gas e petrolio che importiamo da Israele è pari a zero. Certo, i Paesi Arabi potrebbero trovarla difficile da mandarla giù, ma con un congruo invio di aiuti (leggi: mazzette ai governi locali) la si potrebbe risolvere in modo più economico che dovendo fornire ogni volta finanziamenti ai palestinesi per sopravvivere e poi armi agli israeliani per farli fuori col contagocce. Insomma, una Soluzione Finale targata stella di Davide, quindi accettabile e non tacciabile di antisemitismo.


La smetto qui, anche perché, se all'epoca di Swift il pubblico era abbastanza scafato e intelligente per riconoscere una satira, oggi qualcuno potrebbe equivocare e trovarlo invece un buon suggerimento. Viviano un'epoca in cui malvagità e stupidità vanno a braccetto, altrimenti come spiegarsi il fatto che Orwell abbia scritto “1984” come monito e invece da anni lo stesso romanzo venga usato come istruzioni per l'uso? Per non parlare del livello mistificatorio con cui la stampa di regime sta trattando la questione, andando a toccare abissi che parevano inviolabili anche col precedente della guerra in Ucraina. Si fa la conta dei morti e la telecronaca dei macelli ma zero contributi a comprendere cosa accade, perché e cosa può accadere. Nonostante sia coinvolto anche personalmente in questi eventi, sto cercando di non seguire quanto viene ammannito da giornali e telegiornali, alla ricerca costante di tifoserie e non di riflessioni. Così, ora sto cercando di elaborare una seconda modesta proposta, ma più umana della prima, su come risolvere l'attuale conflitto.

Premetto che neppure io ci credo: per ricercare una soluzione bisogna volerlo, e le classi dirigenti di Israele e dei palestinesi si sono rivelate, nei decenni, mai veramente interessate ad un accomodamento. Almeno mai nello stesso momento. Quando negli anni '90 era Israele a cercare di farla finita con la guerra e l'occupazione, fu Arafat, a Camp David, nel 2000, a chiudere la porta con la pretesa folle di strappare tutti i territori, inclusa Gerusalemme, come se la guerra l'avesse vinta lui. Posizione stupida come poche altre nella storia: ricordo che mio padre commentò: un'altra occasione così la rivedranno forse fra altri cinquant'anni. Di anni ne sono passati ventitré e la profezia regge bene. Poi i governi israeliani successivi presero la direzione della colonizzazione accelerata, specie dopo che l'unica personalità capace di imporre un accordo doloroso, Ariel Sharon, cadde sotto un ictus. Arik era un personaggio assai poco simpatico, e odiatissimo dalla fazione avversa, ma bisogna dire che era uno di quei uomini, come Trump, capaci di decidere da soli e farsi obbedire. E fu lui ad aver evacuato Gaza, un primo passo che avrebbe potuto portare più lontano, non dimentichiamolo. Da anni, invece, i palestinesi sono finiti in un limbo, di cui si disinteressano persino i governi di quegli stati arabi che in genere li foraggiavano, e che stanno uno ad uno normalizzando le loro relazioni con Israele. Era solo ovvio che la pentola sarebbe tornata ad esplodere: qualche milione di arabi mussulmani non vive sotto occupazione indefinitamente senza reagire.

Oggi come oggi, la soluzione migliore sarebbe cedere i territori occupati ad altri stati arabi. Questo perché sappiamo benissimo come gli arabi si governano meglio da soli. Un regime come quello di Saddam o di Gheddafi sta in piedi per trenta, quarant'anni senza opposizioni di sorta, ma appena entra una potenza occupante non araba né mussulmana iniziano i fuochi d'artificio e uno stillicidio che termina solo dopo che l'occupante se n'è andato con la coda fra le gambe e un paese in macerie alle spalle. L'Iraq e l'Afghanistan avrebbero dovuto insegnare qualcosa. Qui la destinazione è obbligata, dato che le frontiere sono quelle: Gaza all'Egitto e la Cisgiordania alla Giordania. Come prima della Guerra dei Sei Giorni: prima nessuno aveva mai azzardato l'idea di uno Stato Palestinese, perché i “palestinesi”, come arabi, stavano sotto ad Egitto o Giordania e non si lamentavano. Oggi, certo, sarebbe da vedere se questi due vicini si riprenderebbero qualche milione di nuovi cittadini poverissimi e da rifornire di tutto, ma abbiamo buttato molti più soldi in imprese molto più fallimentari, come la ventennale “Guerra al Terrorismo”, e qui con un buon piano di sviluppo si potrebbe convincere almeno Il Cairo. Un po' più complicato sarebbe coi giordani, che sono molti di meno e si ritroverebbero una popolazione aumentata di almeno il 30% dall'oggi al domani, ma il gioco varrebbe la candela. Poi si dovrebbero sgomberare una parte di nuovi insediamenti: ormai in Cisgiordania le zone a maggioranza araba sono del tutto circondate da aree ebraiche, e per dare almeno una parte di confine con la Giordania l'unica soluzione sarebbe smantellare gli insediamenti che si frappongono fra le due parti. Lasciare gli arabi chiusi in enclave circondate da un territorio potenzialmente ostile non sarebbe un buon affare, e il Nagorno-Karabakh insegna. In questo modo si placherebbero gli animi quanto basta per voltare pagina, si separerebbero i due litiganti che potrebbero (finalmente...) pensare più alle loro magagne interne (e ne hanno, oh se ne hanno...) invece che vivere nell'odio o nel terrore l'uno dell'altro, e nel giro di qualche generazione (certe cose vogliono tempo) si avrebbero due popoli che commerciano, si visitano, magari si insultano durante le partite delle rispettive nazionali, ma almeno non si ammazzano un giorno sì e l'altro pure.

Sarebbe bellissimo, invece di dover leggere di decine di bambini decapitati o sepolti sotto alle macerie. Ma visto il livello delle rispettive classi dirigenti, temo che resterà un sogno. E siccome dagli amici mi guardi Iddio che dagli amici mi guardo io, invece di esercitare un'influenza saggia e moderatrice, gli alleati di Israele lo stanno rifornendo di armi (come se in Israele ce ne sia scarsità). Così, tanto per essere sicuri che non gli manchi la materia prima.

Swift aveva delle buone ragioni per essere un misantropo, dopo tutto.

Comments

È , a mio modesto parere, la soluzione più intelligente che finora ho avuto modo di leggere e sentire. L’odio tra palestinesi (Islam) ed israeliani è direi biblico. Tra loro è in atto una guerra di religione (per noi incomprensibile) sfruttata dalla “mafia mondiale “ come ben ha descritto la mente acuta, all’apparenza cinica invero realista, di Franco Marino nei suoi ultimi articoli, specialmente nell’ultimo, incisivo e che non si presta ad interpretazioni ambigue. Non mi dilungo in analisi geo politiche che non mi competono ma ho la mia opinione in merito. Ho avuto l’occasione di visitare quei territori, una realtà per noi incomprensibile. Complimenti a lei che leggo e attendo di leggere sempre con vivo interesse.
 
Grazie Gabriella. Ho rischiato, con questo articolo, di dispiacere agli uni e agli altri, ma ho voluto davvero sforzarmi di cercare una via d'uscita (anche se solo come esercizio retorico, dato che nessuno ai piani alti mi legge né mi prenderebbe sul serio) non solo dalla guerra, quanto anche dal clima velenoso e di isteria di guerra che si è instaurato anche in questa come in altre occasioni. Anche io sono stato laggiù, e vi ho lasciato uno dei miei migliori amici (che se n'è andato quest'anno), e però è necessario mantenere la mente fredda e vedere tutte, o almeno il maggior numero possibile delle varie facce della realtà (sennò a che servirebbe la filosofia?). Arabi ed ebrei sono lì, entrambi col buon diritto di vivere a casa propria. Nessuno può cacciare del tutto l'altro, a meno di non eliminarli tutti fisicamente, ma nessuno ne ha comunque i mezzi. DI farli vivere in uno stesso Stato non se ne parla, è ideale irenistico che cozza con l'odio sedimentato e le fresche memorie che evocano solo vendetta. Allora sarebbe davvero il caso, con l'intervento e magari la pressione delle potenze mondiali, di tenerli separati a forza per abbastanza tempo, come si fa con quelli avvinghiati in una zuffa in cui qualcuno rischia di lasciarci la pelle, almeno finché non si sono calmati. Una soluzione che dispiaccia un po' ad entrambi, ma che per questo dimostri che entrambi stanno pagando un prezzo, e nessuno quindi ne esca umiliato, da perdente. La "resa senza condizioni" infatti è altra soluzione oscena, da potenze anglosassoni, che si ha solo quando l'avversario è annichilito. Poi, si vedrà: finché ci saranno esseri umani non sarà mai finita.
 

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