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Uno dei motivi per cui parlo poco sia della guerra nel Donbass che di quella in Palestina è che, di un conflitto, le uniche cose che contano sono due: come è nato, come finirà. Nel mezzo, c'è tutto un profluvio di fesserie, notizie false, manipolazioni e, in sintesi, di propaganda, inevitabili in una fase storica in cui i media sono onnipresenti nella vita della gente.
Una volta che si capisce perché nasce un conflitto, il resto non serve assolutamente a nulla alla persona di buonsenso che, ad esempio, a Gaza non si chiede se gli israeliani non si siano lasciati prendere troppo la mano o se la stessa cosa non sia accaduta nel Donbass, perché il senso di queste due guerre è semplice: chi le perde è finito.
Quindi chi le combatte, deve fare tutto ciò che può per vincerle, nella consapevolezza che una sconfitta sarebbe, per sé e per i propri connazionali, peggio di qualsiasi atrocità che commettesse.
Questo non è un concetto semplice da far digerire ad un paese che ottant'anni fa ha perso una guerra dalla quale è uscito più ricco di prima, senza neanche interrogarsi sulle contingenze geopolitiche che abbiano creato una situazione oggettivamente anomala. Ma, d'altra parte, altrove, la normalità continua a proseguire indisturbata. E se la storia ci ha sempre raccontato che quando una nazione perde una guerra, viene invasa, schiavizzata, depredata, è molto più facile che si verifichino queste condizioni e non l'anomalia di una pace che alla fine veda il paese sconfitto più ricco di prima e che quindi possa far credere allo sciroccato pacifista che valga la pena arrivare alla pace anche a costo di perdere.

Anche per questo, tutte le cronache sulle atrocità dell'uno e dell'altro popolo, mi lasciano totalmente indifferente. La persona di buonsenso, che abbia studiato la storia, che abbia esperienza nel gestire qualcosa nella vita e quindi abbia sviluppato quel sano pragmatismo che deve caratterizzare tanto il grandissimo statista quanto un piccolo imprenditore, sa benissimo le verità di ogni guerra: che la prima vittima è la verità, che la storia la scrivono i vincitori e non i vinti, che le atrocità che si commettono - anche a voler solidarizzare con chi le subisce (perché solo uno psicopatico non rimarrebbe turbato di fronte alla storia di una famiglia palestinese che vede ammazzati tutti i suoi dieci figli dagli israeliani, sempre che sia vera) - sono purtroppo la norma, che torti e ragioni non contano nulla perché proprio il loro mancato riconoscimento ha fatto nascere una guerra, che contano solo i rapporti di forza e che tutte le informazioni che vengono dall'una e dall'altra sponda sono propaganda che, in quanto tale, va presa molto col beneficio dell'inventario - ed anzi, bisogna diffidarne a priori. E soprattutto, la persona di buonsenso sa bene che indignarsi per i bambini palestinesi uccisi ha un senso fino a quando l'alternativa non è la morte dei propri. Qualcosa che non può essere certo capito dai pacifisti panciapiena col sedere altrui.

Sicché alla luce del recente attacco ucraino alla Federazione Russa, ci si riempie di una serie di domande inutili senza minimamente tener conto di quelle verità della guerra, della situazione generale, col risultato che tutte le volte l'informazione, per generare adrenalina nei lettori, fa capire che siamo ad un passo dall'evento fatale che farà ricominciare le danze, salvo poi scoprire che si è trovata l'ennesima pezza a colori. E la situazione generale è semplice. Tanto la guerra in Palestina che quella nel Donbass sono fatte per durare ancora molto tempo, perché la posta in palio è semplicemente l'esistenza delle due *vere* parti in causa, America e Federazione Russa, che sono i due principali punti di riferimento ciascuno di due mondi, quello occidentale e quello multipolare di ispirazione eurasiatica. Se gli Stati Uniti danno l'impressione di non essere riusciti ad ottenere quel che vogliono, gli alleati occidentali sarebbero i primi a mandarli a quel paese. Se la Federazione Russa, dopo aver per giunta perso il controllo della Siria, tornasse dal Donbass con un nulla di fatto o anche soltanto con l'annessione più o meno formale delle repubbliche dell'Ucraina orientale a fronte di una guerra nella quale i russi hanno comunque riportato i loro danni, molte simpatie filorusse anche in Europa e nel Medio Oriente verrebbero meno.
Anche per questo, come ho scritto a più riprese, non credo in un conflitto nucleare di alcun tipo. Sganciare una bomba atomica su un paese ha un senso quando questi non ha la forza di reagire, ricambiando "il favore". E' chiaro che se si sganciano due bombe atomiche su un paese come il Giappone del 1945 che non ha modo di reagire e che si trova a diecimila chilometri dal tuo, non si corrono rischi. Ma se gli Stati Uniti decidessero, per esempio, di colpire una città chiave della Federazione Russa come può essere Vladivostok ad Oriente o San Pietroburgo ad occidente, dovrebbero sincerarsi di provocare tanti di quei danni che la Federazione Russa a quel punto sarebbe costretta alla resa. Ma se solo ciò non avvenisse, a quel punto Putin sarebbe costretto a rispondere, con tutto ciò che, ovviamente, ne deriverebbe in termini di catastrofici danni. E chi parla di "armi nucleari tattiche" a mio avviso si è formato in una visione ottocentesca della guerra per la quale tu puoi pensare di distruggere obiettivi militari del tuo avversario, senza provocargli anche pesanti danni economici. Il che ovviamente è una sciocchezza. A quel punto, ai danni economici, il paese aggredito reagirebbe provocando danni fisici, con armi nucleari vere e proprie, non tattiche, che è poi il concetto di "escalation nucleare", che, ovviamente, si vorrebbe evitare.

Quello che semmai penso - e non è affatto una prospettiva incoraggiante - è che si vogliano trovare dei pretesti per sacrificare carne umana in qualche guerra a terra. E penso anche che avremo qualche "false flag" nucleare a cui non corrisponde la reale verità, ma che servirà a radicalizzare i fronti mediatici. Perché la realtà che nessuno vuole accettare è molto semplice: a scontrarsi, nel Donbass e in Palestina, non sono due paesi ma due visioni del mondo opposte, ognuna delle quali si tiene in piedi sul timore dell'altra. I paesi occidentali hanno una massa di mangiatori inutili - gente senza prospettive lavorative di alcun tipo - di futuri anziani a cui è stata rubata la pensione, che tra vent'anni diventeranno mine vaganti che, come è ovvio che sia, giustappunto solleveranno il problema pensionistico. A loro volta, quelli orientali hanno dimostrato di non saper andare oltre lo schema repressivo del soffocamento dei diritti sociali e civili, in cambio della ciotola di riso e della stamberga garantite, che rassicurano una persona soltanto i primi giorni, poi nella vita si vuole altro. E quindi, oggi, l'unico avversario della prepotenza americana non è qualche paradiso liberale o libertario - che possa dire al mondo che si possono avere valori occidentali anche se non si è appecoronati a Washington - bensì autocrazie totalitarie più o meno religiose, dinnanzi al cui apparire, i tanti simpatizzanti socialari sarebbero i primi a darsela a gambe.
E quando una situazione vede risorse non rinnovabili in esaurimento e una popolazione che continuerà a crescere, vedendo quindi sempre più persone a contendersi sempre meno risorse, il risultato inevitabile è la guerra. E se in una guerra, una forza non è in grado di sopprimere l'altra, ecco che abbiamo lo stallo.
Questo è l'unico vero dato di cui tenere conto.


Franco Marino


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E siamo sempre lì. La Russia deve finire di costruire fabbriche di armi, tecnologicamente avanzatissime, tra Ekaterinburg e Novosibirsk. E le devono testare sul campo. Quindi si va avanti. Morti o no. Rimane fermo il detto "Mир существует, потому что существует Россия. Если России не существует, мира не существует. = Il mondo esiste perché esiste la Russia. Se la Russia non esiste, neanche il mondo esiste.
 

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