Ho ascoltato poco e niente l'intervista a Putin, dove peraltro il leader russo - a parte la storiografia pro domo sua e l'inevitabile propaganda - non ha detto niente di interessante, almeno per chi di un politico osserva le azioni e, delle parole, i sottintesi. In guerra funziona come in amore: vince chi ha una certa cosa più lunga delle altre. E non è la lingua. C'è da dire anche che Tucker Carlson, il suo intervistatore, è stato molto meno efficace di quanto sia stato Oliver Stone, che del resto è il genio che è.
Mi è, semmai, interessato, molto più ciò che ha detto Trump quando, secondo quella disinformante fogna che sanno essere i media - che naturalmente hanno tagliato la parte più importante del suo sacrosanto discorso per concentrarsi sul virgolettato - avrebbe "esortato Putin ad invadere l'Europa", laddove Trump invece si è semplicemente limitato a rispondere che con lui al governo gli Stati Uniti non sganceranno più un euro per la difesa dell'Europa e che lascerebbe che Putin la invada. Parole che hanno comprensibilmente scandalizzato. Ma che per essere capite, bisogna capire com'è fatto il personaggio che le ha proferite.

Trump non è un politico ma un affarista prestato alla politica e questo fa tutta la differenza di questo mondo. Mentre il politico scafato utilizza bizantinismi più per non dire che per dire, l'imprenditore non si perde in orpelli linguistici, perché interessato soltanto ai dividendi di un'impresa e perché ogni azione la paga in prima persona. Questo aspetto è abbastanza chiaro almeno a chi ha vissuto in pieno l'era del berlusconismo. Il Cavaliere - che non gradiva l'accostamento ma, in realtà, fu Trump prima di Trump - chiamava le cose col loro nome, spesso anche sconfinando nel cattivo gusto, ma creando una nuova lingua e dunque una nuova percezione della politica, che da quel momento non sarebbe stata più la stessa. Oggi espressioni come "convergenze parallele" che la tradizione attribuisce ad Aldo Moro, appaiono ridicole più che anacronistiche, mentre quarant'anni fa erano la norma nelle paludi romane. Così, chi si spaventa delle parole di Trump mostra di avere quantomeno una gigantesca ingenuità. Perché?

L'Europa non si chiama "Vecchio Continente" a caso. Al suo interno sono presenti le civiltà più antiche della storia, perlomeno tra quelle ancora in vita. Il problema è che con la vecchiaia subentrano molti difetti dettati dal naturale processo di degradamento del corpo e della psiche. Il vecchio, assai di frequente, invece di preoccuparsi di ciò che lascerà ai suoi eredi e di avviare un progressivo distacco dalle futilità della vita, si abbarbica nel suo piccolo mondo antico, convinto che l'esistente non cambierà. E pur di salvaguardarlo, cerca di imporsi al giovane sventolandogli tutto l'albo d'oro dei propri successi passati. Un po' come se Foreman volesse spaventare un avversario molto più giovane facendogli credere che le sue settantasei vittorie possano compensare i suoi settantacinque anni e i suoi trent'anni di inattività. Viceversa, il giovane, più forte e affamato, è sempre alla ricerca di nuovi territori da conquistare, di nuove cose da inventare.
L'Europa, in virtù dei suoi fasti passati, si è sinceramente convinta che tutto le sia dovuto, persino da quei giovani che in passato, quando erano bambini, ha mortificato. Si è convinta che il rispetto le sia dovuto per la gloria, ignorando che la fame sarà sempre più forte di qualsiasi altro istinto e che "non si può essere ed essere stati". Gli anziani sono rispettati in una società dove il cibo basta a tutti. Ma quando il cibo è poco, il giovane accopperà l'anziano, il debole e il malato, seguendo la legge di natura.
E, venendo al senso stretto della questione, l'Europa, smilitarizzata dagli americani, è come un malato di AIDS che non ha più difese immunitarie. Se gli americani tolgono la medicina al sieropositivo, le infezioni opportunistiche distruggerebbero il corpo del malato europeo nel giro di qualche settimana.
In tal senso, Trump si comporta come il boss che chiede ai negozianti di pagare il pizzo, presentato come protezione. Che questa "immunità" non venga "per la bella faccia nostra" come si dice dalle mie parti - altrimenti non avrei fatto l'esempio del pizzo - e che proprio la fantomatica "liberazione" sia stata soltanto un passaggio di proprietà, più che un'ovvietà è addirittura un pleonasmo. Ma il punto è proprio questo: Trump parla da difensore degli interessi degli americani che, della NATO, più che azionisti di maggioranza, di fatto sono azionisti unici. E quello della difesa europea pagata troppo poco è un tema che il vecchio Donald pone da molto tempo, giustamente.

Come deve reagire l'Europa? Esattamente al contrario di come stia reagendo. Smettendo di strillare contro la fame del giovane e di costruire la conoscenza del proprio destino sulle dichiarazioni più o meno bellicose dello straniero, scrollandosi di dosso il proprio passato, realizzando che una fase storica dell'umanità si è irreversibilmente conclusa e che bisogna prepararsi ad un futuro in cui i difensori di ieri sono diventati i predatori di domani.
Sì, siamo stati grandi, abbiamo inventato tantissime cose. Ma già da duecento anni l'Europa è un museo delle cere che non produce più niente se non rogne che impattano su tutto il pianeta, nell'illusione di fare, in eterno, la bella vita sulle spalle dei poveri che però hanno più fame e una massa muscolare più robusta e tonica.
Una situazione così illogica non può durare in eterno. Trump semplicemente ce lo ricorda riportandoci alla realtà. Sceglie soltanto il linguaggio più brutale in luogo dei bizantinismi che fanno presa soltanto su chi vuole soltanto dormire, sperando di non accorgersi del passaggio dal sonno alla morte.

FRANCO MARINO

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Si, nella schiettezza del discorso c'è l'amara continuazione della politica estera americana nei confronti dell'Europa dell'ultimo decennio: vi comandiamo noi, MA ci mettete la faccia (uk), spendete (UE che scorpora spese militari dal debito chiamandola difesa), vi armate (Germania e ITA), rischiate l'invasione (Polonia e Baltici) e vi fate maciullare (Ucraina) VOI PER NOI.
 

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Franco Marino
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