Il momento in cui si mette in discussione un matrimonio è tra i più drammatici. Non c’è solo la sensazione di un amore che finisce, oppure, come non di rado avviene, di un amore che in realtà si è scoperto non essere tale. E’ in generale anche una rottura di equilibri, di bei ricordi condivisi che anche se non si sta più bene assieme, per qualche tempo, hanno costituito un tessuto che ci ha tenuti caldi. Ed è, indubbiamente, uno dei momenti più difficili della vita di un individuo, tanto che alcuni sostengono che, in caso di divorzio, le probabilità di avere un infarto o ammalarsi di tumore aumentino fino a venti volte.
Un matrimonio può finire per molteplici ragioni che tuttavia si riconducono ad una: si smette di pensarsi in funzione dell’altro e si pensa solo in funzione di se stessi. Dando per scontato che l’altro non ne risentirà. E non è detto che la colpa sia di chi smette di pensare all’altro perché può smettere di farlo anche per un torto subito.

Uno stato democratico, essendo composto da una pluralità molto ampia di individui, è una costruzione ancor più complessa. Ma ha in comune col matrimonio il fatto che anch’esso nasce con un patto scritto. In entrambi i casi, una legislazione tutela i contraenti di quei patti obbligandoli a non tradirsi, a difendersi, ad assistersi. Ma, nei fatti, non sono i patti in sé a garantire l’unione quanto la volontà di rispettarli e i rapporti di forza che si instaurano in un’unione. Una donna potrà essere infelice quanto vuole con un uomo ma se dipende economicamente da lui, ci rimarrà fino alla fine. Oppure quel patto può essere stato violato diverse volte ma i due coniugi possono ritenere che non valga la pena romperlo e così decidono di perdonarsi e rimanere assieme. Analogamente uno stato si tiene in piedi fin quando i cittadini si amano e si rispettano e fin quando un gruppo non ha la forza per fare a meno dell’altro.

Da qualche tempo in Italia si ha la sensazione che stiano emergendo due gruppi radicalmente opposti. Che non solo sembrano pronti a divorziare ma si odiano facendo brulicare i social di sozzerie inaudite tali da far pensare di essere prossimi ad una guerra civile. E le querelle varie, vaccino, clima, Ucraina, LGBT e via dicendo, c’entrano relativamente. L’emergenza covid ha acceso i fuochi di vecchi rancori che non solo covavano da decenni sotto la cenere ma anzi vengono certificati sin dalla fondazione della Repubblica. Del resto, vietare la ricostituzione del partito fascista, dimenticandosi di tirannie ben peggiori, non è il miglior modo per creare le basi per un matrimonio duraturo. Se ci si sposa dicendo “solo uno dei coniugi ha il dovere di essere fedele, l’altro ha il diritto di cornificarlo”, non ci si può certo aspettare che il cornuto venturo sia contento, salvo che in qualche filmato sui siti pornografici. Per cui la sensazione corrente è di essere prossimi ad un regolamento di conti che, inevitabilmente, sarà doloroso e che, come accade a qualsiasi divorziato di chiedersi se un giorno si risposerà (e sul momento la risposta sarà un NO grande quanto una casa) porterà gli italiani a chiedersi se la democrazia abbia davvero un futuro. Ma la domanda sarebbe in quel caso mal posta.
Se la democrazia, concettualmente definita, ha avuto un passato e un presente, ha tutti i requisiti per avere un futuro, visto che il presente di oggi era il futuro di ieri. Sarebbe una domanda sciocca come chiedersi se “il matrimonio ha un futuro”. Perché presuppone lo stesso errore di fondo: credere che una costruzione sociale si possa tenere in piedi col pilota automatico. E invece, tanto la democrazia quanto il matrimonio nascono da una voglia di condivisione che va alimentata ogni giorno. E ciò avviene solo se i contraenti si amano davvero, se decidono di spurgare ogni eventuale malumore pregresso.
E questo vale per qualsiasi rapporto. Per molti anni con un cugino col quale eravamo molto legati, non ci parlammo, dopo essere persino arrivati alle mani, per una questione di donne. Poi accadde che ci riavvicinammo, fin quando la questione riesplose di nuovo, rifacemmo di nuovo a botte e seguirono altri anni di silenzio. Quando per l’ennesima volta si riavvicinò, io pretesi che si chiarisse quella vicenda – dove peraltro io non avevo colpe – e solo quando mi sincerai che avesse davvero capito, che gli fossero chiare le cose, accettai di riavvicinarmi. E dopo dieci anni, i nostri rapporti procedono normalmente.
Fuoriuscendo da ogni parabola di derivazione personale, il nostro paese da troppo tempo cova rancori perché nato su basi sbagliate e fondato sin dal suo atto costitutivo su rancori mai davvero chiariti. All’Italia avrebbe fatto molto più comodo essere divisa in due come la Germania fino al 1990 perché in questo modo una parte del paese avrebbe sperimentato palesemente i difetti del sistema sovietico. Infatti, con la caduta dell’URSS, nessuno in Germania si sognò anche solo di riproporre i personaggi discutibili che caratterizzarono il blocco orientale del paese mentre la sinistra in Italia ha nel suo gruppo dirigente ancora alcuni personaggi del vecchio PCI e, quel che è peggio, parte di quella malsana mentalità, proprio perché gli italiani non hanno mai sperimentato quanto possa essere pericoloso un sistema di potere di tipo sovietico.

Non è la democrazia il problema, come non lo è il matrimonio. Semplicemente, tra le parti non deve mai venir meno il rispetto reciproco e la voglia di stare insieme. Non deve mai venir meno l’impegno di tenere in piedi quel rapporto. Non bisogna mai dare per scontato nulla, perché se c’è una cosa che non si può mai dare per scontata è proprio la voglia delle persone di rimanere assieme. I matrimoni e gli stati dove ciò avviene, vivono nella concordia. Talvolta fanno baruffa ma poi trovano sempre il modo di rimanere legati.
Ma quelli dove una parte cerca di soverchiare l’altra, ignorando ed anzi offendendo le sue esigenze, sono puntualmente quelli che finiscono davanti ad un giudice. Oppure, peggio ancora, a spararsi addosso in qualche campo di battaglia.

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Franco Marino
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