La politica italiana non merita alcuna attenzione, se non per capire sociologicamente i comportamenti di chi la fa e disprezzarli di conseguenza. La disonestà intellettuale di chi, dopo aver lottizzato ogni cosa lottizzabile, si lamenta che il Governo Meloni stia lottizzando la RAI, dice molto su cosa sia diventato il dibattito pubblico.

Partiamo dal punto centrale: la RAI è espressione del servizio pubblico e, dalla riforma del 2015, è praticamente governativa. Ma non è stata resa tale né dalla Meloni né da Berlusconi, ma da Renzi. E, per inciso, è un'ottima cosa perché di fatto trasforma la RAI dal guazzabuglio che era prima, dove tra poteri e contropoteri non si capiva mai chi la amministrasse davvero, in una rete filogovernativa a tutti gli effetti, per giunta allineata a tutte le televisioni pubbliche del mondo, tutte filogovernative, a partire dalla tanto osannata BBC, il cui direttivo è nominato dalla Corona su indicazione del governo. In sostanza, il governo nomina il presidente della RAI - che, va da sé, sarà un uomo vicino al governo di turno - e questi naturalmente provvederà a fare una televisione più consona alle idee della maggioranza, sebbene naturalmente dirà retoricamente che sarà "Il presidente di tutti". La cosa potrà piacere o no ma fa parte del diritto di chi gestisce un servizio pubblico.

In questo senso, Saviano, a cui è stato chiuso - ma già pagato - un programma che avrebbe dovuto condurre a Novembre, ha poco da lamentarsi. Posto che non si sono viste analoghe indignazioni per Facci, colpevole di aver scritto una battuta politicamente poco corretta, se la RAI è diventata di destra e l'autore di Gomorra ha insultato, nel corso degli anni, sistematicamente qualsiasi politico di centrodestra, ora portando la pantofola alla Boccassini mentre questa perseguiva (stavo per scrivere perseguitava) Berlusconi, ora chiamando Salvini ministro della malavita - salvo poi con una tragicomica marcia indietro dovuta a querela, cercare di dire che in realtà intendeva "mala vita", staccato - ora appellando come "bastarda" la Meloni, non è strano che quando poi al potere va qualcuno di quell'area, questi lo cacci. E non è neanche strano che qualcuno in generale lo faccia, perché è diritto di chi comanda in RAI decidere se avvalersi dei servigi di un intellettuale come Saviano o mettere qualcuno al suo posto.
Naturalmente, che la RAI venga gestita dalla destra o dalla sinistra, poco cambierà. Sui temi strategici, sono allineati su tutto, come da prassi per una colonia americana. Ma se proprio si vuole una RAI dove ci sia spazio per tutti, non c'è che una possibilità: privatizzarla, controllando naturalmente che non finisca in mani straniere bensì in quelle di un editore italiano che, stando in piedi solo grazie al conseguimento di succosi profitti, non costruirà una TV a misura di un'ideologia ma soltanto dei propri ascolti che si tradurranno poi in pubblicità, oppure degli abbonamenti. Togliendo magari quella cosa oscena che è il canone RAI in bolletta, che paga anche chi, come il sottoscritto, ha ormai da tempo fatto sparire il televisore da casa propria.

Ormai non abbiamo più bisogno di una TV pubblica. Gli italiani non sono analfabeti come ai tempi della buonanima del Maestro Manzi, non hanno bisogno di essere educati da una televisione, bensì dai genitori e, con le dovute riserve, dalla scuola.
Non se ne può più di servizi pubblici. Specie quando, col passare del tempo, diventano sempre più scadenti.
In una TV privata, Saviano, Fazio, la Littizzetto sono vincolati agli ascolti: se li fanno, lavorano in TV, sennò possono pure cambiare mestiere.
Non sta scritto da nessuna parte che uno debba piantare le tende in una televisione e rimanerci fin che morte non sopraggiunga.

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Mediaset (che imbarca i bolliti della Rai) e LA7 non brillano per pluralismo. Il conformismo ormai dilaga e ha nazionalizzato tutto. La privatizzazione non si traduce automaticamente in informazione di qualità.
 

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Franco Marino
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