Una legge è buona o no in base agli scopi che si propone di realizzare. Per esempio, ho sempre sostenuto che una legge, per definirsi buona, debba essere chiara e non prestarsi ad interpretazioni. E qui un vecchio amico avvocato, un furbastro di prima categoria, mi dice che il discorso sarebbe valido se lo scopo fosse davvero quello di applicare una legge, il cui scopo viceversa, spesso non è quello di normare un fenomeno ma di attribuire a chi deve applicarla un ampio potere interpretativo, anche a scapito dei cittadini stessi. Dunque, una legge che nasce col presupposto di regolare qualcosa, finisce per essere il trojan con cui il governo si attribuisce o attribuisce a chi deve stabilire se sia stata violata o no, la possibilità di applicarla come si vuole.

Il 41-bis, detto anche "carcere duro" è un classico esempio di quanto sopra: ufficialmente nasce con degli scopi, nella pratica dà luogo al consueto chiacchiericcio dove si scontrano sbirretti in toga e capipopolo mediatici, con pelosi garantisti, ignorando il presupposto e il contesto in cui questa legge è maturata, ossia quello di poter torturare i capimafia costringendoli a pentirsi. Cosa che, per quanto tale provvedimento sia in aperta violazione della Costituzione e di tutte le principali convenzioni che tutelano la dignità umana, comunque aveva le sue giustificazioni.
La prima tra queste è che i boss erano i veri direttori dei carceri dove stavano. E non dico niente di calunnioso o di diffamante: tanto l'Ucciardone quanto Poggioreale non erano prigioni ma Grand Hotel, dove arrivava cibo di primissima qualità dai migliori ristoranti di Palermo e di Napoli, e da dove i boss potevano uscire quando pareva loro, per poter partecipare a questa o a quella riunione con altri capiclan. Naturalmente il boss di turno poteva tenere calda la coperta che gli consentiva di costruire l'enorme potere di cui godeva. Se si pensa che sia Cutolo che Riina di fatto iniziarono la propria carriera come capi di altissimo livello proprio dalle patrie galere - alle quali, per giunta (e ciò la dice lunga) erano approdati per reati non di mafia (Cutolo aveva ammazzato uno che aveva toccato il culo alla sorella e Riina aveva ammazzato un coetaneo che voleva ucciderlo dopo che U Curtu gli aveva ammazzato le pecore) - si capisce esattamente quale fosse il problema e dunque la giustificazione del 41-bis. Che nasce per distruggere la possibilità dei grandi capimafia di regnare anche dalle patrie galere, oltre che per scoraggiare eventuali imitatori, dal momento che si applica a chiunque si renda protagonista di reati associativi.

Il problema principale di questa norma è di violare a più riprese la Costituzione. Di cui, sia chiaro, non sono un fan, per tantissime ragioni, ma che sul punto dice testualmente che lo scopo di una pena è quello di rieducare. Viene difficile capire come si possa rieducare un delinquente facendolo rimanere isolato in una topaia di due metri per due, in isolamento totale, senza poter né leggere libri né ascoltare musica, in condizioni dunque di cattività, ma d'altra parte è anche comprensibile l'ira di chi si vede squagliare un figlio nell'acido e vede l'assassino regnare in galera come un sovrano. Di fondo però resta il fatto che la Costituzione parla chiaro: la pena deve essere rieducativa, non afflittiva in maniera fine a se stessa. Dunque, quando per combattere e distruggere un fenomeno, si colpisce una parte del proprio corpo, non si fa niente di diverso dal combattere il cancro con la chemioterapia, cioè distruggendo le cellule sane nel tentativo di colpire quelle malate. Infatti, il motivo per cui molte chemioterapie di fatto non risolvono la malattia è che non si conosce né la causa genetica né quella ambientale (o il complesso delle une e delle altre) che ha provocato la malattia, proprio per questo, in una prima fase, la chemioterapia ha successo perché elimina quelle cellule, ma la recidiva si rivela fatale perché va a colpire un corpo già indebolito dalla precedente cura.

Il 41-bis, così come qualsiasi provvedimento che contraddice i principi di un ordinamento - e fu così del resto anche con i provvedimenti del Prefetto Mori - è un chemioterapico che può anche sul momento eliminare il cancro di cui è affetto il paziente, ma agisce sull'effetto, non sulla causa prima. Sicuramente, agisce su un problema reale, ossia lo strapotere nelle carceri dei boss, col presupposto di indurre i capimafia a pentirsi. Il problema è che contraddice l'unico punto che rende umanamente preferibile lo stato alle organizzazioni criminali, l'umanità delle istituzioni, di fatto legittimando moralmente le organizzazioni criminali. Senza contare che se non si agisce sulle cause prime del fenomeno mafioso, non ha il minimo senso torturare più o meno legittimamente un criminale. Le mafie, infatti, non sono una guerra tra guardie e ladri, tra il Bene e il Male, ma proliferano su una base culturale, sull'incapacità da parte dello Stato di garantire i servizi che invece sono assicurati dalle associazioni criminali, sull'immoralità delle istituzioni contrapposta a quelle delle associazioni criminali, che infatti propagandisticamente puntano proprio sulle contraddizioni dello Stato per legittimare se stesse. E contro questo aspetto, non c'è 41-bis che tenga. Se Matteo Messina Denaro godeva di un rispetto maggiore rispetto a quello di cui gode il commissario di Campobello di Mazara, non è un problema che si risolve col carcere duro. Indipendentemente dalle considerazioni sull'umanità o disumanità con cui va trattato un boss che ammazza i bambini, argomento su cui non mi sono volutamente espresso proprio perché non è questo il punto.

Il punto è se il 41-bis funziona o no. Funziona contro alcuni capimafia. Elimina alcuni capimafia. Ma non elimina la mafia in generale, contro cui la guerra non può essere condotta dimostrandosi più disumani dei mafiosi, perché viceversa il risultato sarà di produrre consenso sociale proprio in favore delle organizzazioni criminali. La realtà è che questo Stato, e in generale tutti gli stati democratici, sono geneticamente destinati a produrre certi nefasti fenomeni esattamente come, purtroppo, molti organismi sono geneticamente predisposti per produrre i tumori. Non sono problemi che si risolvono con le chemioterapie, ecco. E se la cura, nel tentativo di espellere il tumore dall'organismo, indebolisce il corpo, è solo questione di tempo prima che avvenga una recidiva.

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Franco Marino
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