È attentato alla Costituzione il processo ripreso in Tv

Ho seguito con molta tristezza e civile preoccupazione la trasmissione del processo in cui è stato condannato l’ex assessore Walter Armanini. Come persona dotata di senso morale e rispetto per le garanzie costituzionali, stavo dalla sua parte. Non perché lo ritenessi innocente (non ho motivo di discutere la sentenza) ma perché vedevo il volto di un uomo esposto alla gogna, spiato in ogni piega del labbro o contrazione delle mascelle, esposto al ludibrio di milioni di spettatori. Questo tipo di gogna vale un ergastolo. È vero che in passato c’erano le pubbliche esecuzioni in piazza, ma proprio per questo noi ci riteniamo più civili dei nostri avi. Inoltre la pubblica esecuzione riguardava un reo, mentre un processo riguarda un imputato che non è ancora stato giudicato colpevole. La tragedia di un processo televisivo è che distrugge anche la vita di un innocente. Sappiamo tutti che l’imputato deve sempre rispondere a domande imbarazzanti sulla sua vita. Pochi giorni prima del processo televisivo si era visto sui teleschermi un film con Barbra Streisand (tratto da un episodio reale) in cui l’imputata (poi assolta) doveva confessare di essere una prostituta. Un uomo accusato ingiustamente di violenza carnale potrebbe difendersi dimostrando che è evirato. E noi vorremmo che questo innocente, già sfortunato, diventasse anche lo zimbello dell’intero paese? Il processo è pubblico? Certo, ma bisogna stabilire il concetto di pubblicità. Gli esami universitari sono pubblici, nel senso che chiunque può assistervi per controllarne la regolarità. Mi accade sovente nel corso di un esame di dovere umiliare l’esaminando, per indurlo a ritirarsi in tempo, spiegandogli che non ha capito nulla, che forse non è fatto per materie di tipo speculativo, e dandogli suggerimenti molto elementari sul come si legge, si sottolinea, si cerca di ripetere quel che non si è capito bene.
Mi spiace che questa umiliazione avvenga di fronte a una decina di suoi compagni, ma so che essi partecipano con simpatia, e magari ne traggono un insegnamento. Ma se sapessi che quella scena viene proiettata di fronte a milioni di spettatori, saprei che quella persona non avrà più il coraggio di tornare a casa. Le dichiarazioni fiscali sono pubbliche perché ogni cittadino può andare a controllarle, ma ha senso costituzionale metterle sotto gli occhi di tutti solo se riguardano una personalità pubblica, per esempio un deputato, che ha scelto di sottoporsi a uno scrutinio dalla parte di tutti. Ma un imputato non ha scelto di essere imputato. Capisco che mi si può obiettare che la televisione trasmette un processo solo dopo, quando si è stabilito che l’imputato era colpevole. Non sono soddisfatto. C’è anche il dovere di difendere la dignità del colpevole, che paga già in altra moneta. C’è una differenza tra subire un processo in aula alla presenza di cento persone e subirlo in Tv alla presenza di milioni e milioni? Certo che c’è. Se qualcuno mi calunnia a casa mia alla presenza di tre testimoni, lo metto alla porta. Se lo fa in piazza davanti a duecento persone, lo cito in giudizio e gli chiedo i danni morali. L’umiliazione subita nel corso di un processo in aula, alla presenza di cento persone in qualche modo interessate al caso, per così dire evapora a caso concluso; invece alla presenza di milioni di spettatori, comunque si concluda il caso, lascia una immagine indelebile, che l’imputato si trascinerà dietro anche quando avrà pagato il suo debito.
Per non dire che, l’abbiamo visto, la trasmissione televisiva è montata, e dunque quello che viene reso pubblico non è il processo nella sua interezza, ma una scelta, a qualsiasi criterio essa sia ispirata – come ha osservato anche Luigi Manconi su La Stampa. Quindi non vediamo la Giustizia in azione, ma la Televisione che interpreta la Giustizia. Noi non abbiamo ancora una idea esatta di come la presenza dei mass media possa mutare i nostri criteri di libertà, privatezza, pubblicità. Ma è costituzionalmente urgente deciderlo. Anche perché ritengo che pubblico ministero, giudici, avvocati e imputati, alla presenza delle telecamere, siano costretti a comportarsi, anche se non se ne rendono conto, in modo diverso da come si comporterebbero in un’aula normale. E allora, se si deve ammettere che il processo deve adeguarsi all’era della televisione, che sia televisivo in tutto e per tutto, il giudice a Milano, il pubblico ministero a Palermo, l’imputato a Firenze, tutti collegati via etere, sapendo che si muovono in una dimensione diversa. Se mi accadesse – anche come testimone – di essere trascinato in un dibattimento ripreso per televisione, mi dichiarerei prigioniero politico e rifiuterei di rispondere, rischiando ogni pena pur di segnalare, come il dovere m’impone, questo attentato alla Costituzione.


Umberto Eco – La bustina di minerva (Espresso, 1993)

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