TV

L'idea di accollare al contribuente un insieme di reti filogovernative o filopartitiche non è infame. Così com’è tutt’altro che insensata l’idea di permettere alle emittenti televisive di operare liberamente sul mercato.
E allora, direte voi? Allora vale lo stesso discorso fatto per i partiti rispetto alla democrazia e per i giornali rispetto all’informazione: l’assenza della libera circolazione delle opinioni che assicura un sano pluralismo.
Dieci partiti facsimile pronti a – fingere di – scannarsi per le quisquilie equivalgono a una dittatura monopartitica; dieci quotidiani impaginati concordemente, se si eccettuano le sfumature insignificanti, equivalgono a un regime basato sulla repressione delle opinioni. Similmente, dieci televisioni che suonano all’unisono un unico spartito corrispondono a una censura di fatto. Una voce discordante intimidita e contraddetta di continuo non fa testo, rimane l’eccezione che conferma la regola. Un personaggio sbalestrato del tipo di Mario Giordano, che corre sul monopattino e folleggia in giro per lo studio, funge da foglia di fico. A cosa si riduce la sua pur meritoria trasmissione Fuori dal Coro? Ad un ghetto per indignati. Ecco profilarsi l’ideona salvifica, la panacea che cura ogni male: privatizziamo la Rai. Se le nazionalizzazioni sono l’oppio dei socialisti, le privatizzazioni sono l’oppio dei liberali. Il vulnus, semmai non fosse chiaro, va ricercato nel pensiero unico, non nella forma giuridica della proprietà. Lo Stato italiano è la dépendence finanziaria, economica e militare di una potenza straniera, ragion per cui la Tv pubblica si limita a diramare la propaganda di quella potenza straniera. E il settore privato?
Va a rimorchio. Se fai a meno della sovranità sei costretto a masticare le narrazioni precotte servite dai potentati esteri ed esterofili, teletrasmesse volentieri dalla Rai come da Mediaset. Ecco svelato l’arcano: il pensiero unico è il distillato della nostra condizione di sudditanza. Dal pensiero unico deriva l’appiattimento che ha da tempo superato il livello di guardia; dal pensiero unico scaturisce il pauroso conformismo su scala industriale che centrifuga le menti dei più e ostacola il confronto libero e leale delle idee. Una Rai in mano ai privati significherebbe far occupare Viale Mazzini da Elkann, Angelucci, Cairo e altri detentori del monopolio mediatico travestito da oligopolio; ciò sposterebbe di poco gli equilibri e servirebbe unicamente a sgravare gli abbonati dal canone. Ripeto, la forma giuridica della proprietà non è rilevante in assenza di un adeguato regime concorrenziale. L’unica soluzione praticabile è ripulire l’Italia da cima a fondo, liberarla dallo straniero ridando finalmente voce ai cittadini di qualunque colore politico. Solo così il confine che separa il settore pubblico da quello privato torna ad avere un senso; solo così si preserva l’equilibrio, l’imparzialità e il rispetto per la pluralità delle convinzioni. Nelle orecchie mi risuonano ancora le grida di giubilo per la cacciata di Fabio Fazio.
Siete andati in visibilio per l’allontanamento di un divetto assaettato come eravate andati in visibilio per la nomina dell’impalpabile Marcello Foa, una presidenza “sovranista” che è stata un buco nell’acqua. E vedo ancora parecchi fideisti dell’area dissidente perdersi nell’attesa salvifica del creativo genialoide, del Freccero che sappia trasfondere linfa e vigore ad un’azienda priva di nerbo. Dispiace riconoscerlo, ma Fazio non era l’unica mela marcia in un cesto di frutta integra. La televisione, specchio del paese, andrebbe sottoposta a un risciacquo radicale. La Rai, in modo particolare, necessita di una rivoluzione conservatrice, non dell’ennesimo pastrocchio lottizzatorio.
Bruno Vespa vi pare meglio di Fazio? È stato un ottimo cronista, ma ha già dato: se ne stia a casa a godersi i nipoti e il lauto patrimonio anziché darsi arie da Neo Wolfe e ripetere spropositi a cui non crede nemmeno lui. L’attaccamento al posto sicuro è giustificabile nel novellino, non nel veterano prossimo alle ottanta primavere.
E che dire di Pierluigi Diaco, uno che è sempre stato cretino senza mai essere stato giovane e innocente (delitto imperdonabile). E poi il tartufesco finto compagnone Insinna e una marea di impettite nullità, di mezzibusti, di sessuomani e petomani in servizio permanente effettivo. Il ricambio del personale e dei linguaggi, il sostituire chi è stato spremuto all’inverosimile, è una pratica giusta e sacrosanta. Bisogna dare una rinfrescata ai palinsesti e ai codici stracotti dello spettacolo, nella migliore delle ipotesi risalenti ai primi anni 90, troppo centrati sul carisma del conduttore che fa spirito di patate, ordisce scherzi da prete e insegue invano la malizia fracassona della concorrenza berlusconiana. Volete sfruttarli fino al 2050 sti schemi infantili da Corriere dei Piccoli? Bando ai serragli pomeridiani di figuri più o meno noti che si parlano addosso, si autocommiserano e autoassolvono intanto che reclamizzano il loro libercolo autobiografico. Pietà, basta.
Mara Venier andrebbe cacciata a pedate insieme a tanti colleghi solo per quel malvezzo di dare del tu a chiunque, persino a domineddio. Non voglio più vedere ospiti sgraditi interrotti da sequenze pubblicitarie ad orologeria, né assistere a baruffe da collegiali spacciate per tavole rotonde seriose. Oggi il servizio pubblico serve soltanto a recepire ordini di scuderia (Mediaset, perlomeno, mantiene aperto qualche spiraglio) e indurre il telespettatore a portare il cervello all’ammasso.
Si lo so, dovrete fare a meno della leggiadria inattuale di Milly Carlucci mentre mamma Rai e i suoi abbonati non hanno ancora finito di piangere il garbo di Fabrizio Frizzi. Ma la vita va avanti, nelle piccole famiglie come nelle grandi aziende.

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