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Giorgia Meloni non intende rinnovare il memorandum sottoscritto nel 2019 dal governo Conte I. In pratica, si accinge ad uscire dalla Via della Seta (Belt and Road Initiative), il Piano Marshall del XXI secolo che, presumibilmente, a differenza del predecessore a stelle e strisce, non comporterà obblighi asfissianti e i famosi colpi al basso ventre con cui il bullo globale suole spegnere l’effervescenza concorrenziale di certi “alleati”. Si accinge ad uscire su pressione statunitense e a gratis, senza un doveroso contraccambio, una prassi ormai comune che stupisce profondamente gli osservatori stranieri e che segna una nuova frontiera della servitù volontaria. Decine di paesi sparsi per il mondo salgono sul carro del Dragone, altri guardano con curiosità: la Tunisia, giardino di casa di Roma, riceverà da Pechino quasi il triplo dei 1900 milioni di dollari promessi dal FMI, mediatore Pappagone-Tajani. Se la maggioranza dei governi e delle imprese guarda ai cinesi e ai BRICS, per quale ragione l’Italia, unico membro del G7 iscritto al progetto, dovrebbe chiamarsi fuori e ammanettarsi ad un egemone in bancarotta etica e finanziaria? Se la superpotenza dovesse gettare la spugna, qui crolla la baracca: tanto vale giocare su più tavoli e tenere aperti svariati canali. Così il governo italiano saluta mestamente i piani infrastrutturali da centinaia di miliardi mentre Ursula si appresta a tagliare le relazioni commerciali con l’Impero di Mezzo. Quale avvenire speriamo di ritagliarci al rimorchio dell’ecofollia di questa Europa invertebrada? Pensate che il futuro sia seguire i lemming di Visegrad lanciati verso l’abisso e guidati dalla Polonia, la mantenuta di Wall Street? Io non prendo ordini da quattro cenciosi morituri slavi schiavi dei fantasmi del passato. Spiace vedere la fu quinta potenza economica mondiale in uno stato pietoso, prossima alla liquidazione. Spiace sentire le ingiustificate grida di giubilo dei sovranelly, felici di aver dato un dispiacere al compagno Xi. C’è poco da esultare, cari. L’euro-bordello introdurrà in ogni caso il riconoscimento facciale e altre assurdità di marca WEF, tra i distinguo farisaici dei ministri postmissini che vi riempiono il petto di orgoglio. Già immagino le rassicurazioni inquietanti delle autorità: Di cosa avete paura? Perché mai dovreste dubitare delle istituzioni? Anche i bambini sanno che la Cina è una dittaturacomunista”, lo è dal 1948 e non è mai stata democratica alla maniera dell’Ovest: perché ci accingiamo a contenerla soltanto adesso? Ma non vi accorgete della strumentalità dei pretesti? Ci crogioliamo con l’anticomunismo anacronistico, incuranti dei veri comunisti totalitari che ci siedono a fianco e che presto ci sfileranno i portafogli e ipotecheranno i nostri beni immobili. Cornuti e mazziati. Buonanotte Italia. Quella per Taiwan, entità statuale riconosciuta giusto da quattro gatti, non è una buona battaglia da combattere. Il Kuomintang, erede del partito nazionalista che si batté contro i giapponesi e l’Armata Rossa di Mao, è intenzionato a riportare l’isola nell'orbita della madrepatria. Chi vuole lo scontro a tutti i costi sono i piddini locali, un partito di plastica plasmato di recente sulla falsariga dei Dem americani. Non è poi così strano. Il “Mazzini cinese” (mi si perdoni questo paragone colorito) Sun Yat Sen collaborò con i sovietici e, nel fondare l’accademia militare di Whampoa, riprese la formula bolscevica dell’esercito sottoposto al controllo del partito. Volete davvero mandare all’aria gli affari – e forse anche morire – per delle Schlein e dei Bonaccini dagli occhi a mandorla? Inutile arroccarsi in attesa di una guerra fredda ultradecennale. L'Occidente combinato non potrà mai sostenere una prova del genere poiché difetta di lucidità strategica e manca di attrattiva ideologica, coesione interna, statura morale. Non parliamo delle risorse e della forza industriale: si sta facendo surclassare dal presunto gigante dai piedi d'argilla e da una Cina che, stando a Giulio Sapelli, “non sa fare niente”. Non mi stupirei se le regioni produttive del Nord, nel tentativo di salvare il salvabile, decidessero di secedere e abbandonare a sé stessa la parte centro meridionale della penisola, quella iper-burocratica e parassitaria. L’imprenditoria sana, impossibilitata a rinunciare al maggiore mercato asiatico, prima o poi dovrà battere un colpo. Fossi in loro, comincerei ad assoldare squadracce di mercenari per ammorbidire le teste di legno dei mangiaufo vendipatria e dei relativi scribacchini dal cervello bacato. E provvederei ad accendere qualche fuoco d'artificio in quelle maledette basi yankee: al giorno d’oggi, i droni fanno miracoli. Lo so, temete la rappresaglia, ma in certi casi vale la massima muoia Sansone con tutti i filistei. Non dobbiamo permettergli di rendere la nostra patria una discarica di negri e narcotrafficanti protetti dal porto delle nebbie giudiziale. Non può finire così, non deve finire così. L’Italia non è una causa persa.

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