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È scomparso all'invidiabile età di ottantaquattro anni il campione di un giornalismo animato da un gusto spiccato per lo spettacolazzo cinico foderato di perbenismo civico e ambizioni “alte”. Maurizio Costanzo è stato il fondatore e l’impresario di quel Barnum di ciarle che porta il suo nome, lo show che ha lanciato personaggi talvolta discutibili e ridotto l’artista geniale e maledetto a fenomeno da baraccone, comprato a quartini di vino e messo lì sul proscenio a sproloquiare a mo’ di scemo del villaggio. Non ho mai digerito quel sipario fuori tempo e inquietante, quasi lynchiano, ora rosso cupo ora blu, paravento di chissà quali orrori massmediatici. Costanzo è stato parimenti una forza della natura e una calamità naturale, una furia devastatrice dal temperamento un po’ impagliato, posseduto da una molle grevità trasteverina che traspariva soprattutto dall’intonazione sorniona e vagamente belante del suo biascicare. Degno protagonista di un capitolo oscuro della nostra Italia, Costanzo ha livellato e distrutto come pochi, conservando l'aria bonaria e professionale del tabaccaio sotto casa che ti rifila cerini, sigarette e giornali. Nei primi anni novanta fu “Bracalone” alle crociate antimafia, mentre nei primi anni del 2000, schiavo del presenzialismo e praticamente ubiquitario, apparve ovunque: una sera, ai tempi del secondo governo Berlusconi, entrò in scena a sorpresa nello studio Rai di un Michele Santoro afflitto - come sempre - da manie di persecuzione. A detta di molti, l’eminenza grigia del Maurizio nazionale era Fabrizio Trifone Trecca, medico capitolino, conduttore di Rete4 e piduista. Sceneggiatore e paroliere, Costanzo diresse nel 1978 Melodrammore, uno dei film più sgraziati della storia del cinema, raro passo falso nella sua carriera. Brutto nelle intenzioni ancorché nella fattura, Melodrammore pretende di satirizzare, senza riuscirci, il cinema di Raffaello Matarazzo, autentico genio del melodramma nazionalpopolare che non amava indossare camice coi baffi. La malcelata avversione per il cinema popolare emerge altresì nel documentario Kolossal - I magnifici Macisti (al plurale, proprio così), scritto e presentato da lui medesimo e dedicato ai forzuti dei film mitologici realizzati a Cinecittà. Costanzo fu acuto pigmalione di comici di successo, ma anche tenutario spregiudicato di mostri, checche posticce e braccia rubate al volante degli autotreni. Tuttavia, la sua colpa inescusabile rimane quella di aver creato – o importato? – un format basato sul chiacchiericcio pretenzioso rivestito da una patina scadente di intellettualismo fintamente engagé; e di non aver rifiutato di tramandare il tarlo all’ultima moglie Maria De Filippi, mistress delle trasmissioni in bilico tra scavo delle problematiche sociologiche e grossolanità da serial televisivo di quart’ordine. Nella fase finale della sua esistenza, la foia di rimanere re Mida della Tv commerciale lo spinse a riaprire il Teatro Parioli, allo scopo di prolungare l’accanimento terapeutico su di un pubblico di canuti aficionados. Addio Maurizio: insegna agli angeli a dare i consigli per gli acquisti.

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