Tutta la grande letteratura lascia un'impronta dentro di noi, una traccia che guida i nostri passi in questa immensa esperienza che è la vita. Ci si rende conto della potenza di una narrazione nel momento in cui questa si schiude all'interno di noi stessi e si imprime tenacemente, facendoci immergere in una fitta trama di mondo che è Altro ed è noi allo stesso tempo.

È per me emozionante parlare di un capolavoro che ha accompagnato il mio ultimo Natale, scandendo e suscitando delle realtà interiori che danzavano, di pari passo, con le avventure e gli umori dei personaggi che ho incontrato, conosciuto, coi quali sono entrata in contatto.
Sto parlando del Signore degli Anelli, il mondo letterario nato dalla penna di John Ronald Reuel Tolkien, a cui vanno la mia ammirazione e la mia gratitudine. Nacque esattamente un secolo e qualche mese prima di me, il 3 Gennaio del 1892 e certo non poteva sapere che la sua opera più grande avrebbe carpito totalmente il mio cuore.

Leggere questo libro, coadiuvato da una mappa della Terra di Mezzo, è stata un'esperienza totalmente immersiva, che ha agito e ancora agirà in me per qualche tempo.
È una storia più grande di tutte le storie lette finora, più grande de La storia infinita e della saga, che pure adoro, di Harry Potter.
In Tolkien c'è più di ciò che ho trovato nelle succitate opere e c'è tutto ciò che serve a un uomo per esprimere se stesso e la propria vocazione nel mondo. Ci sono il Bene e il Male, ma non rigidamente divisi in stereotipi letterari. C'è la misura eroica, ma non esclusiva di chi sembra nato per dimostrarla secondo i modelli noti, ma che si esprime nella chiamata di ogni personaggio a compiere ciò per cui è nato. Ci sono la Fede e la Speranza, così come in Manzoni troviamo la Provvidenza, e sono essenze di sottofondo, che emergono in coloro che più sembrano insignificanti o silenti.

La storia inizia in terra di pace, la Contea, luogo ove dimorano i piccoli Hobbit, un popolo sconosciuto alla Gente Alta e perfino ai nobili Priminati, gli Elfi. Vivono in pace e totalmente immersi nelle piccole questioni della piccola Contea, isola felice in un mondo che, giorno dopo giorno, sta venendo avvolto dall'Oscurità.
Solo un frammento di questa Oscurità, un suo nucleo essenziale può sconvolgere la tranquillità della gente piccola e questo frammento si sostanzia nell'apparizione dell'anello. Anello portato nella Contea da un Hobbit un po' strano, uno che ama viaggiare e ha un sacco di grilli per la testa, un eccentrico: Bilbo Baggins.
Giunto all'età di centoundici anni, Bilbo decide di fare un ultimo grande viaggio, una lunga vacanza prima della fine della sua esperienza terrena e vuole congedarsi dai suoi concittadini e da suo nipote, Frodo, con un'ultima grande festa di compleanno, a cui invita tutta la Contea. Da questa sua decisione prenderanno avvio le avventure del giovane Frodo e della futura Compagnia dell'Anello.

Non voglio, in questa sede, avventurarmi in una sintesi di tutta la vicenda, perché servirebbe un unico articolo soltanto per questo. Voglio bensì mettere in risalto alcuni elementi.
In primo luogo, benché il portatore ufficiale dell'Anello sia uno, Frodo, egli non viene mandato, solo, ad affrontare la sua missione, perché la prova è dura e la volontà individuale non è sufficientemente forte per affrontarla. Si costituisce una compagnia, più eroi vengono chiamati a svolgere la loro prova, perché ogni singola missione concorre alla missione più grande, destinata alla salvezza di tutti.
Questo è un tema importante, perché ognuno di noi, data l'eterogeneità dei caratteri di ogni membro della compagnia, può riconoscersi in uno o più di essi, in una o più aspettative, speranze, ambizioni, bramosie. Ognuno, attraverso la funzione di specchio di quest'opera straordinaria, può chiedersi: qual è la mia missione? Oppure: ho riconosciuto cosa debbo fare, ma sto rispettando questa chiamata? Sto svolgendo al meglio ciò che sono chiamato a compiere?

L'Anello: croce e delizia di chi lo possiede, bramato e temuto al tempo stesso. L'Anello è simbolo di potere, ma anche di tentazione. Il potere è una tentazione, i saggi lo sanno bene. Quando questo oggetto così piccolo e così insidioso viene portato al cospetto di due grandi saggi della Terra di Mezzo, Gandalf e Galadriel, offerto loro dallo stesso Frodo, essi lo rifuggono come chi si trovasse davanti al diavolo in persona, con un impeto che serve a scacciare la tentazione, prima che dalla possibilità concreta di realizzarla, dal desiderio nascosto del loro cuore. Essi riconoscono di desiderare il potere dell'anello per sconfiggere Sauron e riportare la pace, ma sanno perfettamente che sarebbe l'anello stesso poi a dominarli. Superano la prova e l'anello continua sulla via della sua distruzione, gravando sulla volontà del piccolo hobbit.

La compagnia non viaggia compatta a lungo, perché i destini di chi è incaricato di salvare il mondo non si intrecciano negli stessi luoghi e non si realizzano negli stessi tempi. Essi si muovono in un circolo di eventi coordinati da una tempistica non lasciata al caso, affinché il Bene si compia né un minuto prima né un minuto dopo il momento predestinato.
È tuttavia saggio che chi sopporta il peso schiacciante dell'Anello non viaggi da solo, ma abbia accanto un servo fedele, disposto a seguire il suo padrone fino alla fine del mondo, fino al limite estremo della speranza, quand'essa pare svanire nell'incedere della disperazione.
Questo caro, benedetto amico è Samvise Gamgee, il fido Sam.

Sam è un personaggio commovente, perché accende un duplice santo desiderio: avere un amico come lui ed essere come lui.
Sam si vota, con dedizione, a Frodo. Suo giardiniere, decide di seguirlo fin dall'inizio della sua partenza e quando Frodo, turbato dal pericolo a cui espone la compagnia, tenta di fuggire per continuare la sua missione in solitaria, è l'unico che lo rintraccia e sarà l'unico ad accompagnarlo fino al Monte Fato, finanche trasportandolo quando il peso dell'anello non consentirà quasi più a Frodo di procedere con le proprie forze.
Sam è simbolo di una fede incrollabile, perfino quando lui stesso crede di non averne abbastanza. Caro, tenero Sam!
Sam è l'uomo di buona volontà che fa fruttificare le vigne del Signore e ci indica che è la Fede, unita alle opere, che non deve mai mancare all'interno della nostra missione, nella nostra chiamata. Ben prima Frodo sarebbe caduto, se non avesse avuto Sam!

Ma Sam non è l'unico ad essere simbolo di Fede. V'è una signora che, a differenza della trasposizione cinematografica del mondo di Tolkien, viene lasciata alla sua solitudine e alla sua attesa a Gran Burrone, come una Penelope elfica: Arwen, Stella del Vespro, figlia di Elrond. La storia d'amore tra Arwen e Aragorn, erede del trono di Gondor, viene solamente intuita durante tutto lo svolgersi degli eventi e se ne conoscono l'origine e l'epilogo nelle cronache di appendice, poste alla fine della storia.
Vi sono sospiri, allusioni, un messaggio che accompagna lo stendardo di Aragorn a far comprendere la natura del legame tra i due, ma Arwen parla solo alla fine, quando diviene regina degli Elfi e degli Uomini, sposa del re Aragorn. È una presenza silenziosa, ma costante nel cuore del ramingo. È la speranza che rimane in attesa, fiduciosa e fedele, votata al suo unico e grande amore. E la testimonianza di questa fiducia, forgiata dal fuoco di una forzata separazione, è lo stemma che Arwen tesse per Aragorn e che gli invia quando il re sta per entrare nella fortezza assediata di Minas Thirit, per liberarla e riprendere possesso del suo regno.
Arwen, infatti, era stata promessa ad Aragorn dal padre Elrond a una condizione: che egli occupasse il trono che gli spettava per eredità. Aragorn si era innamorato dell'immortale e bella Arwen quando lui aveva vent'anni e lei molte estati alle spalle, benché sembrasse sua coetanea, e si sposeranno quando Aragorn, che ha ereditato una lunga giovinezza dalla sua stirpe mezzaelfica, ne avrà più di ottanta. Tanto aveva atteso il loro amore! Più grande di Penelope è stata Arwen, più nobile di Odisseo è stato Aragorn! Entrambi votati l'uno all'altra in un'unione che si è mantenuta salda grazie a un'irriducibile fede nella giustizia e nella verità del reciproco amore, che è reciproco riconoscimento.

Vorrei ora chiudere con una figura che solo chi legge il libro può conoscere: Tom Bombadil.
Tom Bombadil è quello che si potrebbe definire un "genius loci". Abita un ridente spazio di terra, in cui ordine, bellezza e armonia sono mantenuti da lui e dalla sua bella dama, Baccador. C'è un episodio specifico per cui Tom Bombadil si rende interessante: Frodo, Sam, Merry e Pipino sono accolti e ristorati dalle premure della coppia e, a un certo punto, Tom viene a conoscenza della missione dei quattro. In quell'occasione, lui sottrae scherzosamente l'anello e Frodo e ne fa oggetto di giochi di prestigio, restituendolo poi tranquillamente al suo portatore.
Tom Bombadil è impermeabile al potere dell'anello, l'oggetto non ha alcuna attrattiva per lui e ci giocherella come fosse un gingillo di scarso valore.
Quando gli Hobbit chiedono a Baccador se Tom fosse padrone di quella terra, lei risponde con parole interessanti:

Oh no! Sarebbe un fardello troppo pesante. Gli alberi e le erbe e ogni cosa che cresce o che vive in questa terra non hanno padrone. Tom Bombadil è il Messere. Nessuno ha mai afferrato il vecchio Tom mentre camminava nella foresta, o mentre guadava il fiume, o mentre saltellava sulla sommità delle colline, sotto i raggi del sole o nell'oscurità. Egli non ha timore. Tom Bombadil è Signore.



La condizione di Tom sembra essere quella dell'essere realizzato, che partecipa al mondo, ma non lo possiede né da esso è posseduto. Tuttavia questo essere, così in pace con se stesso e con le cose, non si interessa alle sorti di chi vive fuori dalla terra che abita e proprio questo suo non essere toccato dal potere della tentazione lo esclude dalla missione che conduce alla salvezza. Un essere come Tom non può uscire dalla sua condizione per preoccuparsi di "salvare il mondo", ma può essere, con la sua presenza, un'oasi di ristoro per chi intraprende l'arduo cammino.

Amici, vi esorto infine a immergervi tra i rifugi accoglienti degli Hobbit, accompagnare Frodo e Sam nel fitto delle oscure foreste, patire le fatiche e sentire la morsa dell'incertezza di Grampasso, meravigliarvi della magia degli Elfi, sconcertarvi con Sam di fronte al cuore imprevedibile di Frodo, che sfugge al manto della sua protezione. Soprattutto sperare con tutti loro, fino al punto in cui la disperazione pare l'unica certezza.

Lasciatevi ispirare e interrogare. Viviamo tempi bui, per cui ognuno di noi avrebbe bisogno dei consigli di Gandalf e, vi dico, Gandalf ce ne sono stati e ne stanno sorgendo di nuovi.
Le piccole compagnie, i cosiddetti "piccoli resti", si sono formati e si stanno formando e ognuno si sta preparando alla grande battaglia. Capite chi siete e agite di conseguenza, nella piena sincerità del vostro cuore.
Tolkien è una grande guida, una grande voce che indica il cammino. Che ognuno di voi riceva la grazia di poterlo ascoltare.

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Io ho letto "Il signore degli Anelli" esattamente due anni fa, tra il Natale e l'Epifania, quindici giorni di estasi in cui mi sono preso una vacanza (quanto sospirata!) dalla vita e mi sono assentato per trasferirmi a tempo pieno nella Terra di Mezzo. Il libro ce l'avevo a casa da vent'anni, e questo caso mi ha dimostrato una volta di più che i libri hanno il loro tempo, che aspettano pazientemente, e non si fanno leggere né prima né dopo. La mia esperienza è stata in tutto analoga alla tua, estatica, profonda, di vero rapimento, colma di significati spirituali, come un poema epico o un testo religioso possono solo dare, e non mi dilungo perché, come tu stessa dici, servirebbero ben altro spazio e forze intellettuali. Sono rimasto pieno di gratitudine a Tolkien per quel dono, tanto che ho ripreso a leggere fantasy e fantascienza, eppure quel che ho vissuto in quei quindici giorni è rimasto un unicum, qualcosa di irripetibile. Se fosse stato scritto in un altro secolo, avrebbe potuto fare da fondamento per una nuova religione...
 

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Mina Vagante
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