Sul triste caso dello sportivo (che trovo un'infamia ribattezzare “runner”, come ha fatto e fa la stampa igienica di regime, e non dico altro) aggredito e ucciso da un orso, forse un'orsa, in Trentino, ho letto e ascoltato molto. Come ormai regolarmente nel sedicente Belpaese, alla tragedia è seguita la sua trasformazione in grottesca commedia collettiva in cui ciascuno ha fatto a gara a spararla più grossa, sia a favore che contro (come se nel merito si potesse essere a favore dell'uccisione di uno che si faceva una corsetta...), e pur se in mezzo al ciarpame c'è stato chi ha espresso tesi e opinioni sorrette da logica e conoscenza dei fatti, l'effetto complessivo è stato il solito gracidio da social condito con la politica degli incompetenti. Vorrei provare ad esprimere la mia, spiegando anche come mai abbia voluto citare quel vecchio film dell'indimenticato Bud Spencer.

Anni fa, durante un viaggio in Russia, mi innamorai dei panorami della Kamciatka, regione generalmente nota ai più solo per il Risiko. Era tanto bella, coi suoi vulcani visibili da ogni dove e gli spazi immensi in cui praticare alpinismo ed escursioni, che ci tornai una seconda volta. Era dicembre, e passai settimane ad esplorare boschi e ad arrampicarmi sulle pendici di vulcani senza praticamente incontrare anima viva. La sera, nei centri abitati, sentivo storie agghiaccianti su orsi che avevano aggredito e mutilato, spesso uccidendole, persone anche in pieno centro. Ciononostante, a nessuno era mai passata per il cervello l'idea di abbatterli tutti per “garantire la sicurezza”. E siccome gli orsi non amano la presenza umana, e la evitano se la percepiscono in tempo, facevo quello che consigliavano tutti, anche le guide turistiche: rumore. Nel bel mezzo delle mie traversate attaccavo qualche aria dalle “Nozze di Figaro” o dal “Don Giovanni”, e forse grazie alla bontà della teoria, forse a causa delle mie pessime doti canore, di orsi non ne vidi mai. Una sola volta, ed era l'ultima sera, rischiai un incontro ravvicinato che ne avrebbe fatto l'ultima sera in tutti i sensi, ma anche allora ne uscii incolume, dopo aver visto solo delle tracce fresche e udito un rumore sospetto che bastò a farmi gelare il sangue nelle vene laddove non c'era riuscita la temperatura esterna di -17°C.

Questo per sottolineare come popolazioni che vivano in ambiti in cui sono presenti grossi predatori da sempre hanno adottato la soluzione di adattarvisi, e se ogni tanto ci scappa il morto, uomo od orso, sono le disgrazie inevitabili in un mondo in cui gli orsi non sono Winnie Pooh e noi uomini siamo le bestie che conosciamo. La soluzione genocida, o anche solo quella di braccare la bestia che abbia ucciso una persona, mi ricorda invece di quando, bambino, volevo ammazzare tutti i gatti del quartiere perché un randagio mi aveva mangiato un passerotto che rimettevo in libertà. Comprensibile che la vendetta sia un impulso naturale, ma a livello legale dovremmo cercare di reagire in modo più razionale.

E invece abbiamo un presidente di provincia che, revolver in pugno e stella da sceriffo al petto, firma la condanna a morte dell'orso e sguinzaglia orde di forestali perché lo bracchino sino a fare giustizia. Come se un orso sia un essere dotato di ragione e coscienza, responsabile delle proprie azioni e quindi da punire col massimo della pena (pena che, è bene ricordarlo, nel nostro civilissimo ordinamento non si applica nemmeno agli esseri umani che anzi, dopo qualche anno, persino se condannati per omicidio tornano a spasso “riabilitati”, magari per fare fuori qualcun altro). Una reazione più simile ad un regolamento di conti fra cosche mafiose o una faida: hai ucciso uno dei nostri, adesso ammazziamo te. Senza riconoscere alla bestia alcun punto a sua discolpa, come ad esempio quello di essere un animale che agisce per istinto o paura, estremamente territoriale, appena risvegliato dal letargo e dunque naturalmente affamato, e per di più stressato dall'onnipresente attività umana, che lo ha spinto in un angolo causando anche minor presenza di selvaggina. Non basta, ma pare che JJ4, l'identificativo della bestia, sia un'orsa, quindi forse persino accompagnata da dei cuccioli e di conseguenza naturalmente iperaggressiva contro eventuali presenze estranee. Le misure dell'ineffabile presidente di provincia, consigliatosi (con assai scarso consiglio) con il Ministro dell'Ambiente Pichetto Fratin sono un capolavoro di arbitrarietà, comminando la pena di morte all'animale come se fosse un essere umano responsabile come e più di un uomo, ma negando ogni attenuante che non si nega ormai neppure ai serial killer o ai pedofili.

E questo in una regione che da tempo si propone come esempio di natura incontaminata al punto che gli orsi, ormai scomparsi, li ha reintrodotti a spese dello Stato. Decisione, questa, dovuta ad un manipolo o di idealisti o di imbecilli, due categorie che purtroppo, ultimamente, a volte si fatica a tenere distinte. Perché se in un ambiente ormai urbanizzato si reintroducono specie selvagge e predatorie, ci si aspetterebbe almeno dei seri e dettagliati studi preliminari per mettere in luce l'impatto sulle comunità e magari la messa in campo di misure atte a tenere separate le due popolazioni, l'umana e l'animale, o al massimo a minimizzare le occasioni di incontri fatali. Qui invece pare che chiunque uscisse a fare due passi rischiasse di cadere in bocca all'orso già dall'uscio di casa, e la cosa più grottesca è l'agitazione di tutti, autorità e mass media in primis, per un evento che tutto era fuorché imprevedibile. Con tutto il rispetto per il dolore dei familiari che hanno perso un loro caro, la vita a stretto contatto con la natura non è un idillio o uno spot del Mulino Bianco, e sapendo della presenza di orsi, come si sapeva, il minimo da fare prima di avventurarsi nel bosco sarebbe stato quello di portarsi dietro un'arma (lo fanno in tutte le comunità che convivono con gli orsi da sempre, dal Nordamerica alle isole Svalbard), oppure, dato che viviamo in un Paese in cui la legittima difesa è trattata come un reato penale, almeno un candelotto fumogeno la cui efficacia nell'allontanare i bestioni senza peraltro ferirli è ben nota. Invece, come tutto quello che succede a sud delle Alpi, qualsiasi cosa viene accolta e trattata con la massima incompetenza e ignoranza possibili, e se lo Stato è ben pronto a pagare ore di propaganda immigrazionista nella scuola pubblica, pare non sia mai passato per la testa a nessuno di spendere un centesimo per formare la popolazione del Trentino alla convivenza con gli orsi (che lo stesso Stato ha reintrodotto!) salvando magari qualche vita. Salvo poi spendere altro denaro per dare la caccia ad un'orsa con maggior accanimento di quella data a Messina Denaro e poi, magari, mettersi a ritrasferire tutti gli orsi della regione altrove (altra proposta surreale che ha buone probabilità di venire realizzata). Evidentemente abbiamo altre priorità.

Questo è una prova lampante di come abbiamo completamente dimenticato chi e cosa siamo, e di come siamo passati dall'adattarci alla vita in Natura al deformarla, deturparla e annichilirla per adattare lei ai nostri comodi. Dimenticando anche che le nostre forze sono come una sassata in un vulcano, e quando il vulcano si risveglierà ci impiegherà un attimo a rimetterci a posto. Un posto assai più esiguo di quello che siamo convinti essere.

P.S. NON sono un animalista. Amo gli animali, al punto di evitare di schiacciare i ragni che mi trovo in casa (ma li sfratto comunque) e provo sommo disprezzo per chi vuole farmi mangiare carne finta o erbaggi per salvare il clima, mi abbuffo volentieri di carne e se è grassa è meglio, soprattutto maiale. Sono onnivoro, proprio come gli orsi, e riconosco che ciò che è naturale vada rispettato, adattandoci e preservandolo, senza dimenticare il sano istinto di sopravvivenza.

Comments

Non posso dire di essere d'accordo al 100% ma questo, a differenza del delirio che si legge sui social, è già un articolo argomentato con la consueta dignità intellettuale che ti riconosco.
 
Forse l'aspetto più bello del partecipare a questo progetto è sentirsi liberi di scrivere ciò che si pensa senza temere di incorrere negli strali o nel disaccordo violento altrui. È qualcosa che salvaguarda la serenità per pensare.
 

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Friedrich von Tannenberg
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