Lasciate il dizionario, non la troverete lì. È un neologismo che ho creato per l'occasione. Non ho intenzione di inviarlo all'Accademia della Crusca, anche se è meno balordo del già approvato “petaloso”, ma ha il suo perché, non trovando di meglio per esprimere, in una parola, l'odio viscerale che quest'epoca sembra aver sviluppato verso la saggezza e l'arte di ricercarla, ossia la filosofia.

L'antefatto forse è ignoto ai più, anche se, a suo tempo, lasciò esterrefatto il sottoscritto: nel giugno scorso, una studentessa italiana di 19 anni, tale Giulia Pession, alle cosiddette “Olimpiadi internazionali di Filosofia” a Lisbona, conquistò la medaglia d'oro con un testo in cui, cito testualmente, “confuta Eraclito: non esiste il Logos, ma ciascuno ha la propria opinione”.

Sono uno che di filosofia vive, letteralmente. Scoperta al liceo classico, si rivelò subito la mia vocazione maggioritaria, conquistandosi il primo posto rispetto alla Storia e alle lingue e letterature straniere. Tradita con cinque anni buttati all'università nella facoltà di Economia e Commercio, non mi abbandonò come meritavo, e sotto la cenere la passione covò nei lunghi anni di lavoro sbagliato per una multinazionale all'estero, scavando una galleria che alla fine fece crollare il castello di folli illusioni in cui vivevo ridandomi la libertà e la gioia di vivere seguendo me stesso, e non i “devi” e “dovresti” altrui. Da allora la filosofia è mia compagna e pane quotidiano, e se esiste una felicità terrena, è quella che mi danno le pagine di Spinoza, Cartesio, Hegel, Plotino, Anselmo e Fichte nel silenzio della mia biblioteca personale (quando non sono in riva al mare o in veranda con la campagna sarda all'orizzonte).

Ciononostante, non avevo mai sospettato che esistesse qualcosa come delle Olimpiadi di filosofia. Mi sarei quindi aspettato una competizione su modello di quelle gare di retorica che avvenivano nelle prime scuole laiche del XII secolo, quelle in cui eccelleva Abelardo, per dire, protagonisti delle quali ovviamente sarebbero stati studiosi particolarmente versati nella metafisica o nella gnoseologia, dopo aver affinato il loro armamentario concettuale con anni di duro studio sotto a grandi maestri e, magari, un buon numero di rilevanti pubblicazioni all'attivo.

Niente di tutto questo. Ci portano ragazzini del quinto anno, 18/19 anni, a cui è richiesto un tema né più né meno come all'esame di maturità.

E lo vince (ciliegina sulla torta) una ragazzina di 19 anni, con una tesi in cui “confuta” (così scrive la stampa igienica di regime) Eraclito. Svolgimento: il Logos non esiste, ciascuno ha le proprie opinioni.

Mi sono cascate le braccia e, a ruota, tutto il resto. Bisogna amare la filosofia come una vocazione per comprendere lo scandalo e l'orrore di fronte ad un abominio del genere.

Per secoli la filosofia è stata insegnata non come materia d'esame, su cui essere interrogati a fine corso e poi via a fare altro, ma più come formazione sacerdotale, fra l'altro senza garantire la posizione sociale e il reddito di quest'ultima. Era un qualcosa che non sempre era visto di buon occhio dalle famiglie dei giovani che si avvicinavano a quello che era, come la stessa parola indica, studio e amore della saggezza, possesso della quale a cui non si arrivava forse mai, ma che era praticata per anni sotto ad un maestro di chiara fama e poi per tutta la vita, insegnando e imparando allo stesso tempo in un approccio ininterrotto ai concetti eterni del Vero, il Buono e il Bello. C'era bisogno di una motivazione forte per coltivarla, e non per niente, sin dall'epoca classica, il filosofo era associato quasi automaticamente a un'aura di ascetismo che poi, nel Medioevo, si raddoppiò con quella di santità essendo per cause di forza maggiore i filosofi anche monaci. Col Rinascimento le cose non mutarono sostanzialmente, ma verso l'epoca dei Lumi la figura del filosofo andò a toccare spesso la fama del libertino, sino a quella trasformazione che, verso la fine del XVIII secolo, ne fece un monopolio delle facoltà di filosofia. In una delle sue boutade più celebri il defunto Umberto Eco fece ad Hegel il torto di aver reso quella del filosofo una professione per i docenti di filosofia all'università. E lo fece sbagliando, come in altre occasioni, dato che la tendenza iniziò con Kant, e per ragioni politiche Eco non voleva certo prendersela con quest'ultimo. Ma di vero c'era che, da quell'epoca in maggioranza, e oggi al 100%, per venir considerato filosofo bisogna avere una cattedra di filosofia, altrimenti neppure si arriva agli scaffali delle librerie. Col risultato che i “filosofi” contemporanei sono spesso solo noiosi scribacchini accademici, nessuno dei quali capace di mettere insieme un sistema degno di essere ricordato fra due secoli (ma anche molto meno, come sta accadendo allo stesso Eco). I danni di questa tendenza emergono anche qui: professori laureati e dotati di cattedra, invece di spingere una giovane troppo acerba per potersi esprimere su alcunché di filosofico a formarsi con il paziente studio e la lettura e meditazione continua dei classici, dopo appena tre anni di liceo durante i quali saranno stati toccati a malapena la metà dei capitoli del manuale (quando va bene: nella mia esperienza sono stati sempre molto meno), la portano ad una surreale competizione di filosofia riservata a poco più che ragazzini in cui si assegna persino un premio a chi scrive oscenità come quella di mettere il Logos sotto alle opinioni di chiunque. Dimostrando così di non aver capito nulla di cosa sia il primo. Perché chiunque abbia avuto un'infarinatura di filosofia e lingua greca sa che il concetto di Logos ha una lunghissima storia di controversie e di individuazione del corretto significato da attribuirgli. Solo nel commento di Carlo Diano al frammento n.1, in cui questo compare, si spendono venti pagine a definirne il significato. Se in greco antico è, letteralmente, “discorso” o “parola”, può significare anche “senso”, “ragione”, e, passando al pensiero cristiano, è andato a conquistarsi un posto di primo piano anche là, nell'incipit nientemeno che del Vangelo di Giovanni, divenendo Verbo e identificandosi quindi con la persona di Cristo. Si parla quindi di un venticinque secoli di ricerca filosofica attorno a questa singola parola, che amerei davvero discutere, ma ne verrebbe fuori un saggio che io per primo confesso non avere gli strumenti per affrontare. In sintesi, esso è l'espressione del significato o legge profonda di tutte le cose. E si contrappone da subito (vale davvero la pena di rimarcarlo) alla Doxa, che nel pensiero greco è proprio l'opinione, sia dei singoli che pubblica, come fonte di incertezza, errore e negatività. Va da sé che eliminare il Logos dalla filosofia sarebbe come eliminare la Verità come concetto, senza fra l'altro argomentare ma semplicemente scartandola come una sciocchezza. Roba da farsi rimandare al banco con un votaccio di quelli davvero bassi e l'invito umiliante a studiare sul serio. Qui è anche peggio, perché ci si aggiunge la bestemmia dello svalutare lo stesso concetto di “Senso” a favore del sentito dire, della credenza assunta per pigrizia o per abitudine, come se Eraclito valesse meno delle chiacchiere da subumani che si ascoltano in una qualsiasi trasmissione da tv spazzatura dove ci si insulta per le corna e i pettegolezzi altrui.

Al danno, la beffa: il premio. Danno in primo luogo per la ragazzina, che, a vederla in foto, non sembra nulla più di una della sua età, e che si sentirà autorizzata a sparare sentenze impulsive e superficiali su qualsiasi cosa gli passi per la testa (che è l'esatto contrario di ciò che ci si aspetta da un'educazione, non solo filosofica), ma soprattutto perché propaganda l'idea arrogante che uno studentello a malapena diplomato possa ambire ad allori internazionali senza alcuno sforzo intellettuale, cestinando un nome e un'opera in nome di qualche parola d'ordine progressista (qui un certo relativismo straccione secondo il quale tutto è di ugual valore e la concezione del mondo di un Aristotele vale quanto quella di un bulletto la cui unica profondità è quella con cui si infila le dita nel naso).

Tutto ciò mi porta al punto, ossia al concetto che dona il titolo a questo sfogo. L'epoca attuale è quella che Nietzsche ben chiamava “dell'Ultimo Uomo”, ossia dell'uomo che rende tutto più piccolo, il più disprezzabile perché incapace di disprezzarsi. Crede di aver inventato la felicità, vuol andare d'accordo con tutto e si crede intelligente solo perché persuaso di sapere tutto. Uomo animato da una morale da schiavi che si sforza di abbassare tutto al proprio livello, e massimamente ciò che è alto, nobile e aristocratico. Parole in cui si rispecchia il caso in esame, che a sua volta rispecchia la considerazione infima a cui è giunto lo stesso concetto alla base dell'insegnamento della filosofia oggi. Apprendimento mnemonico di quello che riesce a stare nei programmi ministeriali, esaltazione acritica di giovani in quanto tali, magari condita da paura per ciò che i genitori potrebbero fare in caso di brutti voti ai pargoli che la lezione l'hanno studiata sui videogiochi, corsi di studi inzuppati di ciarpame propagandistico su “dirittigender, femminismo, immigrazione e “dittature” da odiare. Il pensiero critico, ossia l'esercizio del dubbio, il metodo del porre i problemi e dell'analisi razionale per risolverli è bandita. C'è un vero e proprio odio per tutto ciò che è saggezza, ossia l'arte di saper vivere, che è l'esatto opposto della filosofia com'è stata, pur nelle sue mille declinazioni, nei millenni. Et pour cause. Una mente che non sa interrogarsi non sa valutare la priorità dei problemi, né il valore delle azioni. Una mente impigrita dall'inerzia intellettiva e lasciata libera di degenerare nel tempo libero, coccolata e non disciplinata, cresce nel disprezzo di tutto ciò che non è immediatamente riconoscibile come proprio, familiare, moda e facile consumo. E fosse solo Eraclito. Li abbiamo visti i giovani italiani alla prova dei fatti. All'imposizione di restrizioni alla libertà personale, quegli stessi giovani che abitualmente sbeffeggiano i propri professori hanno piegato la schiena come tante beste da soma, e hanno accettato tutto. Nel momento in cui il diritto all'istruzione è stato subordinato al marchio infame di un'iniezione e un certificato di fedeltà, sono corsi servilmente a farsi marchiare. E si sono scatenati contro i loro compagni e compagne, senza alcun rispetto per il sesso e sensibilità per il diritto violato, urlando sconcezze e minacciando con la surreale pretesa di volersi rimborsati quella che era semmai la vittima, e per la quale, invece che solidarizzare in quanto sola, parte debole e colpita da ingiustizia, hanno manifestato il più brutale e becero istinto del branco. E parliamo dell'università italiana, non delle scuole elementari. Conformisti, superficiali e insofferenti, ma anche vigliacchi e manipolabili. Tutto l'opposto di ciò che un pensiero libero e in continua ricerca delle fonti del sapere li avrebbe resi, tutto l'opposto di ciò che avrebbero imparato anche solo leggendo qualche dialogo platonico. Si capisce perché anche l'insegnamento della filosofia sia finito nel buco nero che è la società contemporanea delle cosiddette democrazie liberali. Perché il pesce inizia a puzzare dalla testa: la povera ragazza a Lisbona non c'è arrivata da sola, e non ha tirato lei fuori dal cappello la pretesa di concorrere per essere riconosciuta massima esperta mondiale di filosofia. Sono stati i suoi insegnanti a non avere alcun pudore a proporla per una gara che, se avesse avuto pure un qualche senso fare, avrebbe dovuto svolgersi, per lei, fra molti anni, dopo aver ascoltato lungamente e ancor più lungamente meditato le parole di uomini e donne che avessero consacrato la loro esistenza alla ricerca del Vero, del Buono e del Bello. Conoscenza, Morale ed Estetica, per nominare tre dei reami sommi su cui il pensiero filosofico si è esercitato dando i frutti più maturi. E magari aggiungendovi anche anni di esperienza concreta di eventi, di persone e di cose, perché (come è successo a me) non si comprende la saggezza senza averla incontrata nella vita non meno che sulle pagine di un filosofo dei secoli passati.

Qui invece, premiando chi ha dichiarato inesistente il Logos (ossia il Senso) e aver messo al suo posto la Doxa, ossia il chiacchiericcio popolare, si è premiata la negazione stessa della filosofia: si è deciso che andava benissimo che una studentessa alle prime armi gettasse nel cesso la ricerca del Vero durata millenni per annunciare che è vero tutto quello che sentiamo dire in giro e che ci passa per la testa. Valeva davvero la pena passare per Platone, Anselmo d'Aosta, Tommaso d'Aquino, Cartesio e Hegel per concludere che non esiste alcuna ragione di tutto, né regola, né legge. Chissà che rivelazione per le scienze, poi. Mi chiedo dove abbiano preso la laurea gli insegnanti che hanno avuto il coraggio di portare al pubblico una tesi del genere, e ancor più quelli componenti la giuria che le hanno dato la medaglia del primo premio. Ma si capisce si tratti della vecchia guardia dei sessantottini, quelli del 6 politico e della contestazione. Una tesi del genere avrà fatto andare in sollucchero la democraticissima giuria, vista l'adeguatezza all'atlantismo globalista, che fa tanto “uno vale uno”, strizza l'occhio alla massificazione e al relativismo rozzo di chi vuole abolire le disuguaglianze anche nel sapere, e massimamente in quello filosofico, che è per definizione elitario e aristocratico (soprattutto nella Grecia delle origini). E pazienza se abolendo il Logos si abolisce il Vero, e mettendo le parole del saggio venerando allo stesso livello di quelle del tronista beota si è fatto strame di qualsiasi cosa la parola “filosofia” abbia potuto significare in secoli di storia. Il vecchio Eraclito, se avesse potuto assistere a tanto scempio, vi avrebbe trovato l'ennesima conferma del suo infinito disprezzo per il genere umano, e soprattutto per chi sta ai vertici della società e dovrebbe guidarla.

Ogni mio ritorno alla filosofia che fosse serio e profondo avvenne in concomitanza con eventi traumatici e segnanti della mia esistenza. Il naufragio di un lavoro sbagliato, la malattia di mia moglie, hanno donato quel raccoglimento esistenziale che mi ha fornito occhi nuovi, più adatti a penetrare il senso di ciò che leggevo. Ma cosa può esprimere di originale, illuminante o profondo una ragazza cresciuta nella società del consumo facile, a 19 anni, con la sola conoscenza approssimativa di un manuale fatto a metà? Un insegnante che fosse anche maestro e pedagogo avrebbe dovuto comprendere il ridicolo della situazione e soprassedere. Ma là dove l'insegnante è ormai una delle professioni più svalutate e disprezzate, dove chi osi prendere posizioni controcorrente a favore della decenza o della dignità dello stesso insegnamento, come il professor Martino Mora, che ha rifiutato di fare lezione in una classe in cui alcuni studenti erano andati travestiti da donna, viene ghettizzato e forzato ad abbandonare la sua cattedra in nome dell'inclusione (feroce ironia, escluso per includere...) dalla stessa dirigente scolastica senza altra motivazione che l'odio ideologico, non ci si poteva aspettare che ciò che è accaduto, ossia entusiasta adesione ad una mascherata narcisista degradante del loro stesso ruolo di educatori, oltre che della materia. E di Eraclito, che avrebbe meritato di essere citato in migliori occasioni.

Il mio auspicio per la ragazza è quello di incontrare, nel caso dovesse proseguire gli studi filosofici, maestri degni di questo nome, imparando che l'opinione, in sé, non è nulla di sacro, che è mille volte meglio tacere e ascoltare piuttosto che parlare tanto per esprimere il nulla, e che milioni di nullità non valgono tre parole di un saggio giunte avventurosamente a noi attraverso venticinque secoli.

Per il resto, la prima reazione che ho avuto nel leggere di questo evento è stata, dopo la nausea, l'essermi procurato i “Frammenti” di Eraclito nella bellissima edizione Lorenzo Valla col commento di Carlo Diano. Una personale ritorsione, un piccolo gesto di resistenza contro all'abbrutimento generale.

Tutto scorre, ma il Logos rimane sempre in noi. Se lo sappiamo riconoscere ed abbracciare.

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L'idea che per essere filosofi come sei tu, si debba essere laureati in Filosofia, è l'equivoco che ha portato a Fusaro, Cacciari, e tanti storici della filosofia travestiti da filosofi.
 
A 19 anni, dopo aver letto le tre critiche kantiane e una mezza dozzina di altri autori, mi credevo un esperto in filosofia. Oggi, ventisei anni dopo, con una biblioteca di 160 titoli una buona metà dei quali già letti, mi rendo conto di quanto poco sappia e di quanto poco possa aspirare ad essere chiamato "filosofo". Socrate ammetteva con enorme umiltà di non sapere niente, qui si dà un premio a chi pretende di aver capito tutto.
 

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Friedrich von Tannenberg
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