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L’alluvione che ha colpito la Romagna invoglia i ripetitori di parole d'ordine scontate: cambiamento climatico, la Natura è una madre vendicativa, stop al dissesto idrogeologico (sarebbe anche ora). Centinaia di ragazzi volontari, indossate le ali di angeli del fango e direttisi sul posto recando fiato, conforto e olio di gomito ai soccorritori, hanno rifilato un sonoro ceffone morale ai barbogi fustigatori della “gioventù bruciata”. Da quelle parti circola il proverbio “la miseria viene in barca”, che è anche il titolo della seconda parte del romanzo storico Il mulino del Po (bazzicate la grande letteratura e lasciate perdere la merda postmoderna), del ferrarese Riccardo Bacchelli, oggi noto principalmente per la controversa legge che porta il suo nome. Nubifragi e piene d’acqua travagliano da sempre le industriose genti padane. Il duce della soia Bonaccini e la sua vice Elly Schlein hanno ritenuto superfluo rifare gli argini. Ebbene si, accomodare un po’ lo sfasciume pendulo che è la nostra amata penisola non è cool e non rientra nei canoni “smart” di questa sciagurata epoca anglicizzante. Nel panorama segnato dal nulla politico, il capitalismo acefalo e sottomesso ha gettato la maschera manifestando le vere sembianze di orco animato da una cupidigia smodata e senza lungimiranza. Sono autentici costruttori di catastrofi. Tirare su opere pubbliche essenziali e agibili oppure ecomostri perfettamente inutili e fatiscenti, per loro non fa alcuna differenza: tanto il guiderdone è assicurato. È un’arsura di profitti facili che reclama di essere spenta anche a costo di succhiare l'ultima goccia di sangue all'erario anemico; una fame che spinge a sottrarre l'ultima libbra di grasso, a congegnare nuove e voluttuarie (le olimpiadi, l’Expo) colate di calcestruzzo necessarie a far “girare l’economia”. I lobbisti del cemento, sapendo di dipendere dalla vizza mammella statale, interpretano alla lettera il paradosso delle buche di Keynes, come se gli interventi mirati e indispensabili non contribuissero in egual misura a innescare il famoso moltiplicatore.
Quando alludo al nulla politico mi riferisco alla coppia Moscia & Urso, ossia la bertuccia dell’Aspen Institute e Adolfo Urso, i quali assicurano che le imprese italiane parteciperanno alla ricostruzione dell’Ucraina, innescando un vero e proprio miracolo economico. Non so cosa e quanto ci sia di fattuale nelle dichiarazioni di un governo continuista che lega l’asino dove vuole un padrone invitto solo nella guerra delle fanfaronate. Esso, degno referente dei costruttori di catastrofi, vorrebbe riedificare l'Ucraina, data per fallita già nel 2014, mentre l'incuria divora le infrastrutture di casa nostra. Le due sponde dell'Atlantico sono accomunate dalla medesima miopia che li porta ignorare i ponti che crollano, i continui deragliamenti, le frane che inghiottono interi paesi e tracciati viari.
Il tutto per prolungare narcisisticamente l’illusione unipolare occidentaloide, beninteso a suon di miliardi. Si può essere più incoscienti? Si può rilasciare risposta più impropria ai malanni e ai bisogni di una porzione di antroposfera che deperisce a vista d’occhio? Un Potere politico nullo ed eterodiretto non può che generare un capitalismo vandalico e irresponsabile. Ecco perché l'economia politica è un terreno accidentato, da percorrere con i piedi di piombo senza oltranzismi e preconcetti. Questa crisi dimostra che la sola sfera dell’Economico, priva di una saggia guida politica (intesa, ribadisco, come perseguimento di strategie di sicurezza nazionale), è perfettamente vana. E qui ritorna il rovello di Friedrich List: quale “classe”, o gruppo sociale, merita di guidare la nazione?
Quali interessi particolari si sposano meglio con gli interessi generali?
Le priorità della borghesia coincidono immancabilmente con le priorità della nazione? Io aggiungerei: la borghesia dispone di consistenza monolitica o è frammentata al suo interno? Quesiti tutt’altro che oziosi. Vedrete che troveranno il momento opportuno per annunciare l'ennesimo rinvio dei lavori del
ponte di Messina, sogno proibito lungo 150 anni, delineato da quel Camillo Benso che dagli anglosassoni si premurava di copiare il meglio e non le carabattole sottoculturali, le chincaglierie per addomesticare i selvaggi. Chissà quale maledetto scherzo del fato ha tramutato gli italiani, stirpe di ingegneri e poliorceti, in un volgo di palazzinari con la pappagorgia privi di ironia e aridi di immaginazione.

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Filippo Barbera
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