La via culturale al sovranismo. Il ragionamento del sovranello medio è il seguente: Ormai stazioniamo nel campo occidentale, tanto vale tenerci buoni i padroni e continuare a prenderlo in saccoccia a gratis: zero autonomia energetica, zero iniziative nel Mediterraneo, zero scambi commerciali con le nazioni “reiette”. L’importante è dare addosso ai liberal, denunciare le aberrazioni del politicamente corretto, dedicare una via a qualche senatore missino e possibilmente togliere quelle dedicate ai fetentoni del Comintern. Fatelo, applicate tonnellate di cerone sul viso raggrinzito di mamma Italia. Genny Sangiuliano, in maniera goffa, raccomanda di riscoprire la lingua italiana. Dove è vissuto finora il quasi sessantenne ministro della Cultura? Per quale ragione finge di vivere in un paese normale, non colonizzato da ottant’anni? L'idioma gentile è stato condannato a morte dall’uso indiscriminato dei forestierismi, adoperati innanzitutto dai suoi colleghi con la bio in inglese che si definiscono journo. L’inglese è un'acquisizione preziosa che senza alcun dubbio agevola la comunicazione nel caotico mondo odierno rimpicciolito dai social, ma che purtroppo viene inteso come il latinorum della gente che piace e che se ne serve in modo intensivo al fine di imbrogliare le carte. Delle due l'una: o Genny si è imposto un compito titanico o ci sta coglionando. O, banalmente, sfrutta questioni scottanti con lo scopo di imbastire diversivi camuffati da polemica. Nessuno ha il fegato di riconoscere che la destra ha assimilato il modus operandi dei rivali, come lo stupido culto della forma e l'identitarismo intollerante, a cui si aggrappa un po' per celia e un po' per non morire. Dalle loro parti, un saluto romano tocca ancora i precordi; io quando vedo le Pussy Riot salutare col pugno chiuso mi metto a fischiettare sornione come quando Nico Giraldi smaschera la truffa della pillola che tramuta l’acqua in benzina. La destra sperpera le proprie risorse. Carmelo Bene l’ha lasciato svilire a fenomeno da baraccone, a scemo del villaggio comprato a quartini di vino e messo lì a sproloquiare sul proscenio del Maurizio Costanzo Show. Vittorio Sgarbi, fine critico d’arte, riadattato a juke box che inveisce a comando. Cardini e Buttafuoco dimenticati in tribuna. L’attualissimo Machiavelli letteralmente sfregiato da un Centro che porta il suo nome, e che spesso funziona come un qualunque ripetitore di bestialità moralistiche tanto care ai talebani dell’atlantismo. Figuriamoci, il popppolo non capirebbe il periodare datato e talvolta involuto del Segretario Fiorentino. Leopardi? Faticava a relazionarsi con gli altri. Pareto, chi era costui? E Giuseppe Berto, chi lo ricorda più? Perdonatemi se pesco a casaccio, la lista è davvero lunghissima. I classici, antichi moderni e contemporanei, sono astrusi e superati. E poi vuoi mettere i “ragazzi” irresistibili Cruciani e Parenzo (pare Enzo, invece è proprio stronzo) con i loro esilaranti scherzi telefonici? Contro il materialismo progressista, scegli la destra di Dio – e di Diadora – e dello Spirito... di patate. E vogliamo aggiungere un appello ai Liberi e forti di stomaco? Il DNA culturale ridotto a collezione di figurine Panini, malvezzo ripreso dal fenomeno veltroniano. Funziona così:

-Te ce l'hai Masini?


-No, c’ho il doppione di Susanna Tamaro. Interessa?

-Oh, Lucio Dalla ha rivelato che si esibiva alle feste de l'Unità per ragioni alimentari, quindi dev'essere dei nostri.

-Hey, Don Backy denuncia di essere stato ostracizzato dai comunisti. Dai, inseriamolo nel Pantheon…


Ma inseritelo pure nell'Immensità del cazzo che me ne frega! Sembrate i segugi di Novella 2000: puro e semplice veltronismo imbottigliato a Fiuggi. Il veltronismo, che poi è l'estemporaneo eletto a norma di vita, è il vino ideale per un sottopotere degradato che non sa che farsene della cultura, specie se parla italiano, e pensa solo ad organizzare carnevalate in divisa e a riciclare la favorita di qualche imprenditore rampante. Se preferiamo Tolkien a Tasso e ad Ariosto, se la civilizzazione anglosassone impregna ogni nostra cellula, se anche quello che un tempo si definiva “sottoproletariato” affibbia ai propri figli nomi di battesimo come Sharon e Kevin, se i Maneskin spopolano (chissà, magari loro sono dei geni e noi detrattori dei poveri stronzi frustrati), se i vostri eroi rimangono i soliti tre paladini da Guerra Fredda (il maiale col sigaro, la medusa in tailleur e il cane che mangia gelatine di frutta), se persino il movimento più patriottico porta il nome di un poeta statunitense, se ci tenete a rimanere sotto l’amabile tallone del Politburo occidentalista… mi spiegate perché il popolino mitridatizzato da ottant’anni dovrebbe bandire gli anglicismi? Questione, quest’ultima, sollevata da un ministro del vostro governo di fiducia, manovrato da Draghi il ventriloquo. Non ho nulla contro Tolkien e ripeto spesso che l'Arte è universale, però bisogna ammettere che Ariosto e Tasso sono solo dei nomi imparati a memoria nelle ore di italiano tra uno sbadiglio, una monelleria e un’occhiata impura alla vicina di banco. Chi li legge più? La stragrande maggioranza delle persone ignora chi siano. Tolkien – e la Rowling – è stato antologizzato, tradotto in un italiano moderno e attraente, trasposto in film di successo, servito sotto forma di videogiochi, giocattoli, gadget ecc. Ciò consente una fruizione multimediale che copre ogni fascia di età. Di Garibaldi si parla male e non sempre a sproposito: era un massone, un massacratore di contadini e tante altre cose negative. Fatemi capire: Churchill, la Thatcher e Reagan erano gigli immacolati? Mai visto un genocidio culturale al tempo stesso efficiente e incruento. Meno male che ci salviamo in corner con il caro vecchio Pinocchio, tradotto in tutte le lingue e portato in scena ovunque. Lasciatela ai “rossi” l’ubriacatura esterofila, la destra non se la può permettere; la destra è la custode della tradizione e se si defila cade in peccato mortale. Comunque vada a finire, l’Italia ha già perso la guerra e con essa la propria identità. Vi consiglio di leggere l'intervista rilasciata nel lontano 1982 da Valerio Zurlini, regista di sinistra ma pensante. L’italiano si vergogna di essere italiano, si considera limitato e non sufficientemente universale. Quale abbaglio!

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