Marguerite Poirette, nata tra il 1250 e il 1260 a Hainaut, Valenciennes.
Arsa viva l'1 Giugno 1310 a Place de Grève.

Nascita e morte non dicono molto di una persona, ma certamente una condanna al rogo per eresia spinge i curiosi a trovare il movente di quella terribile fine.

Marguerite Poirette, o Margherita Porete, è giunta a noi grazie alla curiosità di una donna, Romana Guarnieri, che ha scoperto, dopo tantissimi secoli, la vera autrice di un trattato di mistica di cui, nel tempo, non solo si era perduto l'autore, ma anche la lingua con cui era stato scritto. E dove l'ha scoperto? In un codice presente all'interno della Biblioteca vaticana.

Il mio incontro con Margherita è stato molto meno prestigioso, ma sicuramente prodigioso. Ed è stato Eckart a condurmi a lei; cercavo, infatti, una delle sue opere.
Avendo un budget assai limitato, che mal si concilia con la mia fame di libri, devo necessariamente impormi un regime d'acquisto molto severo e orientato a opere che non posso reperire in biblioteca o di cui riconosca un valore tale da spingermi a possederle.

Nel caso dello Specchio delle anime semplici, cioè il trattato di mistica scritto da Margherita, non è stato così. Dopo aver letto il titolo e la breve sinossi, sapevo di doverlo acquistare, tanto che non mi sono resa nemmeno perfettamente conto del prezzo. Non era importante.
Mai intuizione fu più azzeccata!

Mi si è aperto un mondo sulla realtà delle beghine, su una mistica grandiosa di cui nemmeno avevo mai sentito parlare e sul suo legame, spirituale e distante, con Meister Eckart. Non potevo desiderare di meglio!

Margherita Porete va annoverata tra quei giganti della mistica che hanno segnato la tradizione spirituale cristiana e il suo Specchio, o Speculum, o Miroir è degno di posare accanto ai trattati eckartiani, alla Salita al monte Carmelo di San Giovanni della Croce, al Castello interiore di Santa Teresa d'Avila.

Ma perché una così mirabile santa è stata accusata e poi condannata per eresia?
Margherita era presumibilmente una nobildonna francese, non sposata, ma neanche monaca. Era una beghina.
Le beghine erano donne laiche che si riunivano periodicamente per leggere le Sacre scritture, ma senza la presenza di un sacerdote. Considerate che le uniche donne autorizzate a leggere la Bibbia erano le monache, ma anch'esse dovevano farlo in presenza di un prete.
Le beghine, inoltre, indossavano una veste grigia e compivano opere di carità a beneficio dei poveri e questa attività permise loro di essere tollerate, per un certo periodo, dall'istituzione ecclesiastica.

Margherita proveniva quindi da quel mondo e lo capiamo anche attraverso il linguaggio utilizzato nello Specchio. Quest'opera è strutturata come un dialogo tra tre persone: Amore, Anima e Ragione. Erano proprio le beghine a chiamare "Amore", Dio.
V'erano state altre, tra loro, a scrivere dei trattati di spiritualità, ma allora perché prendersela solo con Margherita?

Il linguaggio dei mistici è sempre stato oggetto di fraintendimento da parte delle autorità ecclesiastiche e perfino lo stesso Eckart rischiò l'accusa di eresia.
Io credo che dipenda da un problema di sguardo, di "analfabetismo spirituale".

Quando un teologo esamina un trattato di mistica, non vede l'insieme del percorso che conduce all'unione con Dio, ma si concentra su quei punti che, secondo le nozioni apprese, non collimano con la dottrina. Il teologo vede "con un occhio solo", come scrive la stessa Margherita, cioè con il solo occhio della ragione.
Ma il mistico trascende la comprensione della ragione, perché la sola ragione non tutto comprende.
Se si estrapola una frase dal suo contesto, quell'unica frase può dare adito a tantissimi fraintendimenti, tanto più in un dominio in cui la comprensione piena la si può acquisire solamente con la pratica spirituale, più che attraverso il linguaggio.

Ma proviamo a rilevare quei punti che tanto hanno infastidito le autorità ecclesiastiche. Gli inquisitori del tempo ne hanno individuato ben quindici, ma qui mi limiterò a portare alla luce solo i più evidenti.

Nello Specchio delle anime semplici, Margherita fa riferimento a due chiese: la Santa Chiesa grande e la Santa Chiesa piccola. Utilizza questa contrapposizione per stabilire una differenza di vicinanza a Dio tra mistici e religiosi.

Nella Santa Chiesa grande vi entrano quelle anime che, "senza se stesse" o "annichilate in se stesse", "diventano la cosa stessa", cioè Dio. Per Margherita, e non solo per lei, ma per qualsiasi mistico, v'è da superare la concezione duale di Io/Dio, me/altro, soggetto/oggetto.
Se Dio sta nell'alterità, ci dice Margherita, non siamo con Lui né Lui è con noi.

Chi si trova nella Santa Chiesa piccola non può comprendere ciò di cui lei parla, perché semplicemente non l'ha realizzato e si ostina a cercare Dio soltanto in certi luoghi, nell'illusione di arrivare a Lui soltanto attraverso l'esercizio delle Virtù.

E qui arriviamo a un altro punto controverso della mistica poretiana.
Margherita, a un certo punto, venne accusata di far parte della setta eretica dei fratelli e delle sorelle del Libero Spirito, i quali sostenevano, tra le altre cose, che un uomo colmo di Spirito Santo può compiere atti impuri senza peccare.

Nello Specchio, è vero che Margherita dice che le Virtù vanno trascese, ma in un altro senso. Prima di tutto, afferma senza ambiguità che la base di un cammino spirituale cristiano sta nell'obbedienza ai comandamenti e nell'esercizio delle virtù e delle opere di carità, altrimenti nessuno può pensare di star compiendo un cammino corretto. Margherita era profondamente cristiana e sosteneva ardentemente la necessità di condurre una vita "nobile", cioè in imitatio Christi.

Ma il cammino spirituale si snoda in più tappe e la progressiva vicinanza a Dio comprende necessariamente l'abbandono graduale di varie zavorre. A un certo punto, anche l'esercizio delle virtù non è più necessario. Perché? Perché la pratica di queste diviene naturale, senza sforzo. Si diviene virtuosi senza l'intenzione di esserlo e questa naturalezza libera dalla schiavitù di questo tipo di sforzo. Ora sono le virtù a servirci e non noi a servire le virtù. Margherita sarà sempre molto chiara: l'Anima chiarificata sarà sempre definita come "al di sopra delle virtù, non contro".

Margherita, più specificatamente, afferma che bisogna attraversare tre morti prima dell'unione mistica: la morte al peccato mortale, quella alla natura e quella dello spirito. Queste tre morti sono spalmate in sette tappe, che però vengono esposte soltanto negli ultimi capitoli, perché la schematizzazione - benché arricchita dalla vitalità dell'esperienza mistica -, non può racchiudere né dare un orientamento lineare all'esperienza stessa.

L'opera di Margherita inizia con un invito all'Umiltà, più avanti riconosciuta come "Madre di tutte le Virtù" e l'autrice specifica che coloro che sono guidati da Ragione, come i preti, faranno fatica a comprenderla senza questa guida fondamentale.
Non è che Margherita volesse infamare la casta sacerdotale, il suo intento era quello di affermare la supremazia dell'esperienza mistica diretta rispetto alla devozione mossa dalla lettura delle Scritture.

E qui emerge un altro punto fondamentale e intrinseco alla vita spirituale: l'assenza di mediazione tra il mistico e Dio.
Come ho scritto sopra, questa mediazione del prete già non esisteva nell'ambiente delle beghine, ma Margherita lo afferma risolutamente anche nel suo Specchio.
All'interno di un percorso spirituale tradizionale, vi è generalmente un maestro che aiuta il praticante a muovere i primi passi e lo guida finché il praticante stesso non si rende autonomo. Vi sono state persone realizzate che non hanno avuto un maestro, ma sono casi eccezionali.

Di Margherita sappiamo che ebbe innumerevoli influenze spirituali e, tra le più importanti, vi erano sicuramente Bernardo di Chiaravalle, San Paolo e Sant'Agostino. Lo Specchio mostra che usufruì anche di scritti di altre beghine e, naturalmente, il Vangelo e l'esempio di Gesù Cristo erano fondamentali nella sua esperienza mistica. Non si sa se ebbe una guida fisica, come un sacerdote, ma sappiamo che ben tre sacerdoti approvarono il suo Speculum, letto nella versione in latino. Tra questi vi era il suo confessore? Forse non lo sapremo mai.

Tuttavia Margherita era consapevole che nessun maestro può farti fare esperienza viva di Dio, nessuno può renderti "essere senza essere, che è l'Essere", secondo le sue parole. E qualunque maestro confermerebbe le parole di Margherita, perché sono le parole di una persona realizzata e che solo un altro realizzato può capire.
Nessun mistico avrebbe condannato Margherita al rogo.

Attraverso l'Umiltà, l'Anima deve tendere a spogliarsi sempre più delle varie stratificazioni di cui è rivestita. Abbiamo visto che si arriva a trascendere le virtù, fino ad avere l'unica volontà di seguire la volontà di Dio.
Qui siamo già ad alti livelli dell'esperienza mistica, perché l'Anima è ormai "senza di sé".
Tuttavia non basta, Margherita si spinge oltre. La volontà di avere o seguire la volontà di Dio è sempre volontà, quindi va abbandonata, o meglio: va fatta morire.

È a questo punto che si muore allo spirito.
Utilizzando un linguaggio più moderno, potremmo dire che deve morire anche l'ego spirituale, per il quale ci si può sentire vicini a Dio e si gode delle gioie dello Spirito, ma rappresenta comunque una forma di attaccamento.

E la mistica di Margherita punta tutta al distacco, come quella di Eckart. Secondo Marco Vannini, medievista che ha studiato a fondo Eckart e ha poi scoperto l'opera di Margherita Porete, il trattato di Margherita sembra una trascrizione di un'esperienza speculare a quella del mistico tedesco ed effettivamente il Maestro e Margherita erano coevi.
Ma ciò che è straordinario è che deve essere stato lo Speculum a influire sullo spirito di Eckart, perché non dimentichiamo che, benché condannato insieme alla sua autrice, questo testo portentoso girava clandestinamente tra i piccoli circoli di letterati presenti in Europa.

Margherita scrive chiaramente che, una volta che si muore nello spirito, si cade direttamente dall'Amore al nulla. Questo passaggio è spiazzante, vertiginoso, fa tremare l'anima, perché mette in discussione il concetto di relazione con Dio che ancora alberga in ognuno di noi.
Ma come? Dall'Amore, gioia suprema, al nulla? Che significa?

Intanto bisogna ribadire che, per Margherita, la purezza dell'unione mistica sta nella non-separazione tra Io e Dio. Se io sono in cerca di Dio, sono lontana da Lui, proprio perché sono rivolta a un oggetto a me alieno. Questa ricerca deve cessare, perché, a un certo punto, ci fa permanere nella dimensione della dualità, quindi nell'ignoranza.
L'Anima è annichilata, è "senza sé stessa". Il senso di Io è svanito e l'Anima si vede nel suo essere nulla. E poiché è nulla, secondo le parole di Margherita, può essere Dio, che è tutto, così come il congedo della sua volontà lascia spazio alla volontà di Dio.

Non solo! L'Anima si rende conto che la volontà, da cui era abitata e che era guidata dal senso dell'Io, le era stata donata da Dio per far sì che l'anima volesse la volontà di Dio! Straordinario! Una volta che questo volere è stato pienamente raggiunto, la volontà egoica non ha più ragion d'essere e l'Anima può farsi tutta volontà divina.

Poiché l'Anima è nulla, essa è tutto, poiché vede attraverso la profondità della conoscenza della propria malvagità, la quale è così profonda e così grande, che non vi trova né cominciamento né misura né fine, ma solo un abisso inabissato senza fondo; è là che si trova, senza trovarsi e senza fondo. Non trova infatti se stesso chi non può raggiungere se stesso [...] Così tale Anima si vede, senza vedersi. E chi le fa vedere se stessa? È la profondità dell'Umiltà, che la insedia sulla cattedra su cui regna senza orgoglio. Lì non può penetrare l'orgoglio, e perciò ella vede se stessa, e insieme non si vede; e questo non vedere le fa vedere perfettamente se stessa.

Più avanti, Margherita approfondisce il tema della caduta dell'Anima nell'abisso del nulla, da cui non deve risollevarsi, ma dimorare, perché quello stesso abisso è l'Umiltà.
Sono pagine molto dense e che mostrano quanto l'Anima possa spingersi al fondo di sé stessa per comprendere la sua vera natura.
L'Anima è dominata dal senso di Umiltà, vede le sue miserie (la malizia), il suo essere nulla. Vede, ma non vede, perché ormai sta svanendo il senso di sé e di altro. E la sua visione non è più quella del soggetto che guarda fuori, ma quella di Dio.

L'Anima non vede affatto se stessa, qualunque sia l'abisso di umiltà che ha in sé; né vede Dio, qualunque sia l'altezza della sua bontà. Ma è Dio che si vede in lei, nella propria divina maestà che illumina di sé quest'Anima, tanto che essa non vede nulla che esista, tranne Dio stesso, il quale è, e nel quale ogni cosa è. E ciò che è, è Dio stesso, e per questo ella non vede se non se stessa. Infatti, chi vede ciò che è, non vede se non Dio stesso, che vede in quest'Anima medesima sé, nella propria divina maestà [...] quest'Anima, così pura e chiarificata, non vede né Dio né sé, ma è Dio che si vede, da sé, in lei, per lei, senza di lei; il quale (ossia Dio) le mostra che niente esiste, tranne lui.


Poiché l'Anima ha visto ciò che non è, può vedere ora ciò che è, Dio stesso.

Le parole possono confondere e vorrei chiudere questo lungo articolo, che non sarebbe potuto essere più breve di così, con ciò che la stessa Margherita diceva del suo Specchio delle anime semplici:

Io non sapevo a chi dire quello che avevo capito; ora conosco, per vostra pace e per la verità, che il libro rimane di poco pregio. L'ha guidato la Codardia, che ha affidato alla Ragione quello che avevo capito tramite le risposte d'Amore alle domande di Ragione; e così è stato fatto secondo scienza umana e umano sentire; e ragione umana e umano sentire non sanno niente di amore interiore, né amore interiore sa di scienza divina. Il mio cuore è tratto tanto in alto e inghiottito tanto in basso, che non posso raggiungerlo; infatti tutto quello che si può dire o scrivere di Dio, o quello che si può pensare - e che è più del dire - è assai più mentire che dire il vero.


Ebbene, Margherita ha messo in luce i limiti di un libro che parla di Dio, ma difenderà questo libro fino a dare la sua stessa vita. E la propria vita non si sacrifica per delle parole, ma per Colui da cui quelle parole sono scaturite.
Margherita Porete morirà, con Amore e dignità, il primo Giugno del 1310. Ma la luce del suo spirito non cesserà di illuminare la strada di tutti gli smarriti.

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I concetti di per se’ difficili e profondi, scorrono piacevolmente comprensibili. Quanto scritto con grazia e semplicità denota grande sensibilità e conoscenza nonché umiltà nell’affrontare un tema non facile. Ammirevole
 

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Mina Vagante
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