Quando si pensa all'India, in molti emerge lo stereotipo del fachiro che siede in meditazione su un letto di chiodi, oppure si trafigge certi punti del corpo con degli aghi enormi.
Ogni tanto, salta fuori anche qualcuno che afferma che, dopo essersi dato a certe pratiche orientali, ha iniziato a sviluppare un magnetismo fisico, per cui gli oggetti di metallo aderiscono al suo corpo senza subire gli effetti della gravità.

Al di là dei fenomeni da baraccone, queste e altre curiose manifestazioni rientrano in quelle che Patanjali, nei suoi Yoga Sutra, chiama siddhi, che potremmo tradurre come "poteri spirituali".

Nel Cristianesimo, abbiamo il corrispettivo delle siddhi nei miracoli operati da Gesù e dai santi, ma anche dal re. Chi ha ancora qualche infarinatura di storia, ricorderà l'abilità taumaturgica dei re che guarivano dalla scrofola, una malattia molto diffusa nel Medioevo.

In questo capitolo, Marco Cosmo affronta proprio il tema dei poteri spirituali e di come essi, se ricercati dal mistico, allontanano da un autentico percorso spirituale.

Mistico, cito dal capitolo, è infatti "colui che, in uno stato di immobilità, di totale abbandono e passività, si unisce al Divino. [...]
Il termine "Mistico" deriva dall'antico vocabolo greco Mysticos, che significa mistero. Nelle lingue neolatine, tale parola si riferiva ai misteri, ossia ai riti delle religioni misteriche nei quali l'iniziato si immedesimava nel processo di morte e resurrezione della divinità. La meditazione e l'introspezione non sono altro che continue esperienze di morte e rinascita, dalle quali si esce di volta in volta rinnovati. I racconti dei mistici sono notevolmente differenti essendo condizionati dalle circostanze storiche, religiose e culturali che caratterizzano la loro propria esistenza. Esiste però, nei diversi tipi di esperienze, un dato ricorrente: la presenza nell'uomo di un "al di là di sé stesso" dove l'ordinaria esperienza egoica viene trascesa. Questo "al di là" è l'essenza della Tradizione."


Il mistico che non si attacca alle esperienze spirituali di vario tipo compie seriamente e coraggiosamente il suo cammino, senza farsi ammaliare dal fascino di poteri che attanagliano al mondo dell'ego e delle sue brame.

Il fine ultimo, se così vogliamo chiamarlo, è l'unione con Dio, con la Verità per ciò che è. Ma questo richiede perseveranza, fede e umiltà. In poche parole, spirito di sacrificio.
Non è difficile capire perché sempre meno persone seguano o scelgano di proseguire in un autentico cammino spirituale.

Tra materialismo sfrenato e New Age, l'uomo attuale cerca un appagamento immediato al suo senso di insoddisfazione, poco importa se lo ricerca nei beni materiali o in esperienze ultrasensoriali: sono facce della stessa medaglia.
Un cammino di fatica, messa in discussione di sé, sacrificio, rinuncia, perseveranza, coraggio non è immediatamente appagante, quindi attrae pochissime persone e ancor di meno proseguono per una strada che non è che richiede tanto, richiede tutto.

Ricordate la parabola del giovane ricco che vuole seguire Gesù? Quando Gesù gli propone la rinuncia totale alla casa e a tutti gli attaccamenti che possiede, il giovane non ha cuore di seguirlo e se ne va.

Il cammino spirituale è questo: la Verità che ti chiede di rinunciare a tutto per seguirla, perché la rinuncia porterà all'appagamento ultimo nella Verità in sé. Non sarà facile, non sarà piacevole, non sarà conveniente né comprensibile al prossimo, ma sarà chiaro al mistico sincero, colui che è veramente tale.

Nel corso del cammino, arriveranno altre tentazioni, le siddhi, che di per sé non hanno lo scopo di tentare nessuno, emergono come segno che la pratica sta andando bene. Ma poiché l'ego è come un tiranno che brama di conquistare tutto, vuole anche ciò che è un dono naturale della pratica spirituale o, in termini cristiani, dello Spirito Santo.

Così, si tenteranno di riproporre, più o meno consciamente, quei poteri, si praticherà col fine di rivivere quell'esperienza esaltante. Per questo è importante parlarne col proprio Maestro e affidarsi a lui, che dirà semplicemente di proseguire nella pratica senza attaccarsi a niente, neanche a ciò che sembra buono e piacevole a livello spirituale. Non è quella la meta del mistico.

Marco scrive, a proposito delle visioni:

Le visioni e il Centro sono in stretto rapporto tra loro, ma non bisogna dimenticare che queste esperienze provengono dal Centro per poi esserne riassorbite. Dunque, l'attenzione deve essere diretta sempre ed esclusivamente verso la Stella del Nord, origine di ogni fenomeno. Essa è quel non-luogo da dove emergono le visioni. Per questo motivo i grandi mistici, come San Giovanni della Croce o Meister Eckart, non davano importanza alle visioni e mettevano in guardia affinché la preghiera non venisse distratta da queste esperienze, consapevoli che queste sono manifestazioni del Centro, ma non il Centro.

In altre parole, queste manifestazioni sono segni della Presenza, di Dio, del Brahman, ma non sono la Presenza, Dio, Brahman. Con un linguaggio molto prosaico, possiamo dire che hanno la stessa funzione dei cartelli stradali che ti conducono in una certa città, ma non sono la città in cui ti stai recando.

Cercate Dio e tutto il resto vi sarà dato in sovrappiù.

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Mina Vagante
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