In questo terzo capitolo, voglio partire da una storia che Marco inserisce per introdurlo e che è molto significativa:

Un uomo si recò dal Maestro Tilopa perché voleva ottenere l'illuminazione. Aveva sentito dire che Tilopa aveva raggiunto la realizzazione più alta. Perciò andò da lui e gli disse: "So che sei un grande Maestro, ho viaggiato molto per conoscerti, ti prego, insegnami a non pensare." Tilopa rispose: "È facile. Ti dirò come fare, ma devi seguire precisamente questa indicazione: quando hai un po' di tempo libero, siediti e non pensare alle scimmie. Basta questo".

L'uomo disse: "È così facile? Basta non pensare alle scimmie? Non ho mai pensato alle scimmie in vita mia!" Tilopa disse: "Va' e fai come ti ho detto, domattina mi riferirai".
Tornato nella sua stanza, l'uomo subito volle sperimentare la tecnica suggeritagli da Tilopa. Non aveva avuto il tempo neanche di chiudere gli occhi quando nella sua mente apparve la prima scimmia; il poveretto cercò di non farci caso e di dimenticarla, ma in quel momento... Scimmie su scimmie da tutte le parti. Quella notte non riuscì a dormire neppure per un momento. Apriva gli occhi e si trovava davanti le scimmie, chiudeva gli occhi ed erano ancora lì e gli facevano delle smorfie. L'uomo era stupito e si chiedeva perché mai il saggio gli avesse dato questa tecnica. Era la prima volta che gli succedeva un fatto simile.
Decise di provare di nuovo. Il mattino seguente si fece un bagno e si sedette in meditazione. Niente da fare: le scimmie non lo lasciavano in pace, erano ovunque, perfino nella ciotola del latte che beveva per fare colazione.
Tornò da Tilopa. Era quasi impazzito. Le scimmie lo seguivano ovunque, parlava addirittura con loro, così disse: "Liberami, salvami. Prima stavo benissimo. Non voglio più sapere della meditazione. Non voglio neanche più la tua illuminazione, voglio solo che mi liberi dalle scimmie!"
Tilopa sorrise e lo invitò ad avvicinarsi a lui: "Non devi più dirmi cosa devo insegnarti: ora siedi accanto a me e ascolta..."


Prima di iniziare a meditare, ognuno di noi è convinto di avere la piena padronanza della propria mente e di saper "pensare con la propria testa".
Quando si inizia a meditare, si scopre che non è così. Un piccolo esercizio alla portata di tutti è provare a trattenere l'immagine di un fiore per un solo minuto, nella testa si deve avere solo quell'immagine.
Si vedrà presto come un semplice fiore genererà tutta un'altra serie di immagini, che altro non sono che associazioni di idee, ricordi, fino a che l'immagine del fiore è dimenticata e ci si trova immersi in pensieri di ben altro genere.

La mente è come un toro selvaggio che si cerca di domare, esattamente come nelle tavole dei Dieci Tori Zen.
Però non fraintendete: cercare di domare la mente e il flusso di pensieri non significa che dobbiamo sforzarci, in meditazione, di bloccare questo flusso o controllarlo, perché qualsiasi tipo di negazione e rifiuto di qualcosa che avviene in noi non può che peggiorare la relazione che abbiamo con la cosa in sé.
La mente non è una nemica da abbattere, anzi potrebbe divenire una buona alleata, se ci rapportiamo ad essa nel modo corretto.

La mente va purificata, disciplinata, in modo che svolga la sua funzione nell'ambito che le spetta, senza che tenti di invaderne altri in cui la sua azione non sortirebbe alcun effetto opportuno o benefico.
Proviamo a pensare a quando siamo fuori casa per fare una passeggiata o per andare da qualche parte. Incontriamo una signora con delle scarpe molto appariscenti e subito la nostra mente si aggrappa a quell'elemento per dare un giudizio, da cui scaturiranno altri pensieri e altri giudizi, in un flusso inarrestabile capace di distrarci dal momento che stiamo vivendo.

Ma pensiamo a qualcosa di più forte, che ci tocca in prima persona: stiamo andando in un posto che ci piace tanto, ma, una volta lì, incontriamo una persona che ci sta estremamente antipatica. La nostra mente comincerà a produrre pensieri di questo tipo "ma guarda chi mi tocca vedere, giornata completamente rovinata! Non posso godermi la bellezza di questo luogo perché ho questa qui davanti, ora sarò di malumore per tutto il tempo" eccetera eccetera.

Il giudizio su chi incontriamo, su ciò che viviamo durante la giornata, su quello che vediamo, sentiamo, mangiamo è una continua e incessante narrazione della nostra quotidianità, con flashback e flashforward ricorrenti.
E questa narrazione condiziona il nostro umore, la visione del mondo e degli altri, rafforzando le convinzioni del nostro ego, che diventa sempre più forte e ipertrofico.

La meditazione si insinua in questo meccanismo, ponendolo pian piano in crisi. Fate conto che ego e mente siano una efficiente fabbrica sempre in funzione e che la meditazione sia invece un piccolo seme che inizia a germogliare tra gli ingranaggi di questa fabbrica.
Se innaffiato ogni giorno, attraverso la pratica quotidiana, il seme crescerà. Crescerà lentamente, ma con tenacia, fino a divenire un fuscello, un ramo, un tronco... E, senza che la fabbrica se ne accorga, il piccolo seme diverrà un albero dalle radici così forti e nodose e dai rami così ampi da dare qualche problema alla fabbrica, fino a farla rallentare.

Quando la meditazione non sarà più solamente legata alla tecnica, ma diverrà una pratica calata nell'azione quotidiana, la mente rallenterà e il giudizio bulimico su ogni cosa su cui si poserà l'occhio diverrà meno frequente e, quando avverrà, il meditante non si identificherà più con quello, perché ne rimarrà distaccato.
Questo è uno dei frutti della meditazione quotidiana.

Quando non ci si identifica più con i giudizi della mente, la volontà di modificare la propria giornata viene meno, perché si realizza, in profondità, che non possiamo rifiutare né modificare la realtà di ciò che viviamo. La meditazione insegna a fluire con gli eventi, senza giudicarli. Non significa subire tutto passivamente, ma riconoscere quando e come agire in rapporto a ciò che sto vivendo.

C'è una scena del bel film "L'ultimo samurai" in cui il protagonista, un ufficiale americano, impara a combattere secondo l'arte della spada giapponese. Combatte come farebbe un qualunque occidentale, pensando ai punti deboli dell'avversario, a dove colpire. A un certo punto, un allievo del maestro di spada gli dice "No mente, no mente", che significa "non devi usare la mente per combattere, altrimenti non ti cali completamente nell'azione presente".
Se si svolge un'azione stando nella mente e non nella non-mente, si sta agendo come se si fosse un passo indietro all'azione stessa.
Un combattente che, mentre sferra i colpi, li anticipa mentalmente con pensieri come "adesso do un pugno allo stomaco", si trova sempre in ritardo, nel tentativo di essere in anticipo.

Si può stare totalmente soltanto nel presente, perché equivale a stare in sé stessi, nel centro onnicomprensivo. La mente allora non rimane divisa dal sé, ma viene integrata nella sua vera origine, concorrendo a un'azione universale che incide nel particolare.

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Mina Vagante
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