Mai avrei pensato di sentir nominare con tanta passione, tanto spesso e con tanta insistenza il romanzo di uno dei miei scrittori francesi preferiti. Non è famoso come “Madame Bovary” né sontuoso come “Salammbô”, ma è comunque una gran bella prova per Gustave Flaubert, che dimostrava, a ragione, di essere una delle penne più talentuose e rappresentative della letteratura francese ed europea del suo secolo. Per quanto mi riguarda, da francofilo che detesta la Francia attuale e ne adora la lingua, così piena di finezza, spirito ed eleganza, Flaubert è stato uno di quelli che, nell'Ottocento, ha saputo incarnarne meglio le potenzialità espressive usandola per descrivere il mondo e la vita mettendone a nudo le finzioni e mostrando una realtà magari non bella, ma in modo bellissimo. Nato in piena epoca romantica e cresciuto negli anni in cui i modelli erano gli ultraromantici Hugo, Musset e compagnia, fu, come Balzac, capace di rappresentare i temi e i luoghi tipici del romanticismo in modo assolutamente antiromantico. Emma Bovary, per dire, è una ragazza sentimentale e sognatrice che però, scontrandosi con la prosaicità della vita da sposa e madre borghese, vorrebbe spezzare quello che le sembra un destino soffocante cercando l'amore passionale, ma finisce, altrettanto prosaicamente, per divenire un'adultera disprezzata dai suoi stessi amanti, si riempie di debiti e si suicida avvelenandosi, precipitando nella rovina anche la famiglia innocente. Salammbô, invece, principessa cartaginese, è al centro di un episodio minore della storia del III secolo a.C., che è l'occasione per una delle descrizioni più straordinarie, ma anche brutali e terribili, di un'Antichità in cui non c'è nulla di epico o di marmoreo.

"L'Educazione sentimentale", che porta l'esplicativo sottotitolo di “Storia di un giovane”, non è da meno. Essa segue le vicende di Frédéric Moreau, diciottenne pieno di suggestioni romantiche, e che del Romanticismo pare incarnare anche fisicamente gli ideali. Si innamora di Madame Arnoux, donna che incarna a sua volta gli ideali romantici femminili di bellezza e dolcezza, ma è sposata ad un tipaccio sgradevole, avido e vizioso. Frédéric vive il tormento di non poter avere la donna che ama, dato che questa, a sua volta sensibile al suo fascino, è troppo onesta per poter tradire suo marito. Sullo sfondo della società francese della monarchia di luglio, dominata da arricchiti e speculatori, descritta mirabilmente insieme agli eventi più rimarchevoli dell'epoca, come la rivoluzione di febbraio del 1848 e il colpo di Stato di Luigi Bonaparte (poi imperatore) di tre anni dopo, il giovane protagonista frequenta differenti ambienti sociali, conoscendo personaggi di varia estrazione, e legandosi ad una ragazza frivola e dissoluta. Solo dopo molti anni l'incontro con una Madame Arnoux invecchiata precocemente dai dispiaceri e le notizie su ciò che sono divenuti i suoi vecchi conoscenti getteranno un sipario definitivo sulle generose illusioni della giovinezza, lasciando visibile solo una realtà troppo prosaica per poter essere confusa con qualsiasi sogno.

La morale che lascia questo bellissimo romanzo è che l'amore romantico è un abbaglio potenzialmente fatale da cui si guarisce nel modo più costoso, più lento ma più efficace di tutti: vivendo la vita. La saggezza dell'uomo Flaubert si sposa alla perfezione con l'arte dello scrittore, e non lascia dubbi sul significato dell'opera: è normale per qualsiasi giovane innamorarsi, desiderare e sprofondare nelle fantasticherie di un animo ingenuo, generoso e colmo di fiduciose aspettative, così come è normale, poi, l'incontro brutale con una realtà per nulla romantica, la disillusione, il dolore e – se tutto va bene – l'accettazione della vita per quello che può dare di buono e di piacevole. Una morale che varrebbe da sola la diffusione, la lettura ragionata e l'introduzione di questo libro in ogni scuola superiore a fini pedagogici.

Purtroppo, nella settimana di delirio appena passata, non lo si è sentito nominare in questo ragionevole senso. Pare che invece, nella testa disturbata di chi ha cavalcato le surreali “proteste” e manifestazioni “anti-patriarcato”, esista come una nuova disciplina da introdurre nelle classi italiane. Già, perché nella strana concezione di questi nuovi esperti della natura umana, la soluzione che portano in tasca è semplice: assumere un'infornata di insegnanti, tutte donne e tutte con alle spalle un corso di Studi di Genere (una delle lauree più inutili del creato, forse persino più di quella in Semiotica Generale) e magari tessera del PD all'occhiello, che spieghino ai nostri ragazzi e ragazze (più ai primi che alle seconde, ché abbiamo imparato come “maschio” significa “colpevole” a livello genetico) come indirizzare, manifestare e gestire i comportamenti verso l'altro sesso (ops, dimenticavo che ormai di sessi ce n'è una caterva) in maniera inclusiva e senza l'ombra di maschilismo tossico. Maschilismo tossico che ormai, a sentir loro, è poi tutto quello che permetteva di distinguere un uomo da una donna. Un concetto, quello di “educazione sentimentale” così inteso, che non ha alcun senso: i sentimenti si provano, si reprimono, si mascherano, ci si fa travolgere, ma non li si può educare o addestrare. Nonostante stia passando la versione delirante secondo cui Filippo Turetta avrebbe ucciso la ex in un eccesso di machismo, lui che, poveraccio, è l'immagine del secchione sfigato, sarebbe salutare invece riportare l'attenzione sull'unica, originale ed efficace “Educazione sentimentale” che sia mai sorta, e che è anche più antica di Flaubert: quella della vita, dell'esperienza e delle cicatrici che bruciano ma anche insegnano a stare al mondo. Perché se Turetta, al momento giusto, avesse avuto un padre che gli raccontasse qualche episodio di vita vissuta, o degli amici che lo avessero portato a donne, avrebbe imparato di che pasta son fatti tutti, maschi e femmine, che non sono né angeli disincarnati né demoni da esorcizzare, ma strane creature per niente ideali, tutte diverse ma tutte più o meno simili, nessuna delle quali è insostituibile e ciascuna delle quali ha da trovare il suo posto su questa terra. Come aveva imparato Frédéric Moreau, non sui banchi di scuola ma sulla propria pelle, e come impariamo quasi tutti, volenti o nolenti, e non certo da personaggi improbabili come professori delle superiori annoiati e frustrati, intenti ad ammannire tesi surreali come quelle che non ci siano differenze fra maschi e femmine e che si può cambiare sesso a seconda di come ci si senta al mattino, magari promuovendo la gonna e le unghie laccate fra ragazzi (cose già viste nei nostri istituti superiori) e sdoganando la prostituzione come modello di promozione sociale fra le ragazzine (ma a questo sta già pensando la stampa).

Ma per far ciò i nostri tempi avrebbero avuto bisogno di un Flaubert, mentre invece hanno al massimo un Saviano.

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Friedrich von Tannenberg
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