Ho letto un'intervista di Saviano che mi ha colpito molto. Essendo un comune plebeo, quando un uomo che vende sfracelli di copie e si arricchisce poi confessa di pensare di aver sbagliato vita e addirittura di pensare al suicidio, immediatamente penso che sia un bluff. Quando poi queste cose le leggo da parte di un personaggio che non ho mai stimato - e a differenza di molti, persino quando, in una prima fase della sua carriera, sembrava quasi propendere a destra - la sensazione di avere a che fare con l'ennesimo tentativo di attirare l'attenzione è forte e non posso nasconderla.
Ma io sono, giustappunto, un plebeo. E se voglio portare un contributo utile al dibattito, devo elevarmi da questa condizione e cercare di capire cosa può provare un signore che comunque, per essere arrivato dov'è, un suo valore deve pur averlo.
Il motivo per cui non ho mai stimato Saviano ha a che fare un po' col personaggio oggettivamente irritante, un po' con una tendenza che ho sempre avuto di scendere dal carro del vincitore - sono una sorta di voltagabbana a rovescio, quando uno diventa importante e famoso, mi viene la tentazione di fargli le pulci per capire se c'è vero arrosto e non solo fumo - e un po' con la diffidenza che io ho sempre avuto nei confronti dell'Antimafia, che ho sempre pensato fosse una lobby di pressione politica mirata ad evitare che i governi prendessero decisioni che potessero *davvero* sconfiggere la mafia.
In questo senso, tutti quei personaggi che hanno fatto carriera come magistrati o intellettuali all'insegna della "lotta al crimine" mi appaiono tanto come quei medici che, anche inconsciamente e in buonafede, non vogliono né uccidere né guarire il paziente ma tenerlo in agonia, affinché possa continuare a sentirsi indispensabile, lucrando sulla sua malattia.
Il vero motivo per cui non si riesce a sconfiggere la mafia è che non si fuoriesce dal concetto di "Bene contro Male" e non si applica una prospettiva sociologica alla questione che vada oltre la dimensione moralistica. La mafia è culturalmente imbattibile perché si nutre dell'illusione socialistica di uno Stato che promette troppe cose - senza, va da sé, riuscire a mantenerle - e che quindi lascia, inevitabilmente, scoperti dei vuoti che a quel punto, il cittadino, abituato all'idea che la tutela di se stesso debba essere affidata ad un terzo, affiderà ad un delinquente. Infatti, le mafie sono particolarmente diffuse in quei paesi che promettono uno stato sociale forte e robusto e che, non potendo mantenerlo, alla fine di fatto scaricano i cittadini delusi tra le braccia del mafioso di turno il quale, anche per la sommarietà con cui applica certi meccanismi, prevarrà sempre sulle farraginosità dello Stato.
Saviano è emerso proprio sul terreno di questa lobby e, quando con la sua Gomorra ha tirato fuori la testa dalle melmose acque dell'anonimato, per varie ragioni qualcuno ha ritenuto che fosse in pericolo, di fatto, costringendolo a vivere blindato e sotto scorta. Ora, se penso a me, straricco e riverito ma impedito della possibilità di poter anche andare al cesso o di scoparmi una donna senza dover chiedere il permesso ad un poliziotto, non ho problemi ad ammettere che certi pensieri suicidi verrebbero anche a me. Il problema è che ad un certo punto, mi farei anche io due domande ossia: ha senso una vita spesa così? Sto facendo davvero bene il mio lavoro?
Se si crede alla bontà di una causa, sacrificarsi può avere un valore, figuriamoci. C'è gente che, senza avere alcun interesse personale, va addirittura a combattere gratis nel Donbass o in Palestina. Ma di una cosa sono certo: non l'avrei mai sacrificata per una causa come quella di Saviano.
Perché quello che non capisce non tanto lo scrittore napoletano ma i tanti fessi che gli sono andati dietro, è che il crimine organizzato non è una cosa di buoni contro cattivi, ma di cultura.
Quando sento e leggo gli inutili sermoni degli "eroi dell'Antimafia" riservati alle questioni mafiose, mi viene sempre in mente ciò che accadde nel paese del centronord dove vivevo da ragazzino. Accadeva che, in quegli anni, ci fosse la pessima abitudine - giuridicamente discutibilissima - di mandare mafiosi e camorristi al confino, nella convinzione, ovviamente fallace, che lontani da casa avrebbero smesso di delinquere. Successe che un gruppo di camorristi si mise ad infastidire i commercianti di quel borgo col risultato che, un bel dì, un commando di migliaia di abitanti del posto (un posto di 15.000 abitanti, quindi potete ben immaginare) andarono nelle abitazioni di questi delinquenti e le devastarono, bruciando le loro auto. Quando le autorità, immancabilmente, intimarono ai rivoltosi di smetterla, minacciandoli di ritorsioni varie, la risposta fu che se ci fosse stato anche solo un provvedimento contro di loro, le prossime vittime di rappresaglie sarebbero state le loro di case. E dato che un commissario di Polizia, di fronte alla prospettiva di vedersi devastata casa perché non si è fatto i fatti propri, tende a preferire il proprio quieto vivere, ecco che il tutto si risolse col fatto che, in quel paese, di boss al confino non ne fu inviato più nessuno.
Naturalmente, quell'episodio, fu tenuto all'oscuro dai giornali, sia mai che qualcuno lo potesse prendere come spunto per qualche rivolta sociale ai soprusi dello Stato.
Ecco, quell'esperienza mi vaccinò *PER SEMPRE* contro ogni tentazione di lasciarmi andare alla retorica antimafiosa che ho, quindi, sempre ascoltato con la sgradevole sensazione tipica di chi si sente preso in giro ma da gente che non può mandare a cagare. Da quel giorno, ho capito che la lotta alla mafia non è tanto nell'arrestare Toto 'u Curtu e nemmeno di indagare su terzi livelli e connivenze - pure esistenti eh? Altroché - tra la criminalità e politica, ma una questione prettamente culturale.
Chi non vuole il crimine o in generale qualsiasi cosa (anche il green-pass) può fare proprio come i cittadini di quel comune: si associ ad altri e vada, casa per casa, dai mafiosi, bruciandogliela e uccidendo qualche loro familiare. E se qualche sbirro reagisce, gli faccia presente che lo stesso trattamento verrebbe riservato pure a lui. Se si ragionasse così, se la gente invece di affidarsi a Mamma Stato che lo imbocca per ogni cosa, puntasse su Fratello Associazione, quindi su legami che nascono dal basso, le mafie scomparirebbero il giorno dopo. Poi però succede che molti si affidano al boss per sbrigare certe pratiche che lo Stato non sblocca, o per trovare posto al figliolo, o altre robe simili. La mafia è esattamente questa roba qui. Non la Dynasty di Don Calogero che spara in bocca a Gennarino Sciatodacs, mentre, prendendola a pecorina, schiaffeggia il sedere di Concetta 'a Purpessa, il tutto parlando in stretto dialetto sicilianoide. La mafia è proprio quel "compromesso morale" il cui puzzo veniva denunciato da Paolo Borsellino in un suo famoso discorso.
Allora due sono le cose: o Saviano ha scoperto che si può diventare anche milionari ma se non si possono dissipare le proprie ricchezze in giro per il mondo senza trovarsi gli sbirri dietro il culo, è fondamentalmente una vita di merda, oppure è davvero sincero nel lottare contro il crimine, dunque nel capire che avrebbe dovuto impiegare le proprie risorse intellettuali e il proprio tempo in modo diverso.
Sia perché una ricchezza da prigionieri è una maledizione, sia perché il crimine non è una questione di buoni contro cattivi, ma di cultura mafiosa, in entrambi i casi quella di Saviano è una vita spesa male. Almeno se crede davvero in ciò che ha detto nella sua intervista.
Ma io sono, giustappunto, un plebeo. E se voglio portare un contributo utile al dibattito, devo elevarmi da questa condizione e cercare di capire cosa può provare un signore che comunque, per essere arrivato dov'è, un suo valore deve pur averlo.
Il motivo per cui non ho mai stimato Saviano ha a che fare un po' col personaggio oggettivamente irritante, un po' con una tendenza che ho sempre avuto di scendere dal carro del vincitore - sono una sorta di voltagabbana a rovescio, quando uno diventa importante e famoso, mi viene la tentazione di fargli le pulci per capire se c'è vero arrosto e non solo fumo - e un po' con la diffidenza che io ho sempre avuto nei confronti dell'Antimafia, che ho sempre pensato fosse una lobby di pressione politica mirata ad evitare che i governi prendessero decisioni che potessero *davvero* sconfiggere la mafia.
In questo senso, tutti quei personaggi che hanno fatto carriera come magistrati o intellettuali all'insegna della "lotta al crimine" mi appaiono tanto come quei medici che, anche inconsciamente e in buonafede, non vogliono né uccidere né guarire il paziente ma tenerlo in agonia, affinché possa continuare a sentirsi indispensabile, lucrando sulla sua malattia.
Il vero motivo per cui non si riesce a sconfiggere la mafia è che non si fuoriesce dal concetto di "Bene contro Male" e non si applica una prospettiva sociologica alla questione che vada oltre la dimensione moralistica. La mafia è culturalmente imbattibile perché si nutre dell'illusione socialistica di uno Stato che promette troppe cose - senza, va da sé, riuscire a mantenerle - e che quindi lascia, inevitabilmente, scoperti dei vuoti che a quel punto, il cittadino, abituato all'idea che la tutela di se stesso debba essere affidata ad un terzo, affiderà ad un delinquente. Infatti, le mafie sono particolarmente diffuse in quei paesi che promettono uno stato sociale forte e robusto e che, non potendo mantenerlo, alla fine di fatto scaricano i cittadini delusi tra le braccia del mafioso di turno il quale, anche per la sommarietà con cui applica certi meccanismi, prevarrà sempre sulle farraginosità dello Stato.
Saviano è emerso proprio sul terreno di questa lobby e, quando con la sua Gomorra ha tirato fuori la testa dalle melmose acque dell'anonimato, per varie ragioni qualcuno ha ritenuto che fosse in pericolo, di fatto, costringendolo a vivere blindato e sotto scorta. Ora, se penso a me, straricco e riverito ma impedito della possibilità di poter anche andare al cesso o di scoparmi una donna senza dover chiedere il permesso ad un poliziotto, non ho problemi ad ammettere che certi pensieri suicidi verrebbero anche a me. Il problema è che ad un certo punto, mi farei anche io due domande ossia: ha senso una vita spesa così? Sto facendo davvero bene il mio lavoro?
Se si crede alla bontà di una causa, sacrificarsi può avere un valore, figuriamoci. C'è gente che, senza avere alcun interesse personale, va addirittura a combattere gratis nel Donbass o in Palestina. Ma di una cosa sono certo: non l'avrei mai sacrificata per una causa come quella di Saviano.
Perché quello che non capisce non tanto lo scrittore napoletano ma i tanti fessi che gli sono andati dietro, è che il crimine organizzato non è una cosa di buoni contro cattivi, ma di cultura.
Quando sento e leggo gli inutili sermoni degli "eroi dell'Antimafia" riservati alle questioni mafiose, mi viene sempre in mente ciò che accadde nel paese del centronord dove vivevo da ragazzino. Accadeva che, in quegli anni, ci fosse la pessima abitudine - giuridicamente discutibilissima - di mandare mafiosi e camorristi al confino, nella convinzione, ovviamente fallace, che lontani da casa avrebbero smesso di delinquere. Successe che un gruppo di camorristi si mise ad infastidire i commercianti di quel borgo col risultato che, un bel dì, un commando di migliaia di abitanti del posto (un posto di 15.000 abitanti, quindi potete ben immaginare) andarono nelle abitazioni di questi delinquenti e le devastarono, bruciando le loro auto. Quando le autorità, immancabilmente, intimarono ai rivoltosi di smetterla, minacciandoli di ritorsioni varie, la risposta fu che se ci fosse stato anche solo un provvedimento contro di loro, le prossime vittime di rappresaglie sarebbero state le loro di case. E dato che un commissario di Polizia, di fronte alla prospettiva di vedersi devastata casa perché non si è fatto i fatti propri, tende a preferire il proprio quieto vivere, ecco che il tutto si risolse col fatto che, in quel paese, di boss al confino non ne fu inviato più nessuno.
Naturalmente, quell'episodio, fu tenuto all'oscuro dai giornali, sia mai che qualcuno lo potesse prendere come spunto per qualche rivolta sociale ai soprusi dello Stato.
Ecco, quell'esperienza mi vaccinò *PER SEMPRE* contro ogni tentazione di lasciarmi andare alla retorica antimafiosa che ho, quindi, sempre ascoltato con la sgradevole sensazione tipica di chi si sente preso in giro ma da gente che non può mandare a cagare. Da quel giorno, ho capito che la lotta alla mafia non è tanto nell'arrestare Toto 'u Curtu e nemmeno di indagare su terzi livelli e connivenze - pure esistenti eh? Altroché - tra la criminalità e politica, ma una questione prettamente culturale.
Chi non vuole il crimine o in generale qualsiasi cosa (anche il green-pass) può fare proprio come i cittadini di quel comune: si associ ad altri e vada, casa per casa, dai mafiosi, bruciandogliela e uccidendo qualche loro familiare. E se qualche sbirro reagisce, gli faccia presente che lo stesso trattamento verrebbe riservato pure a lui. Se si ragionasse così, se la gente invece di affidarsi a Mamma Stato che lo imbocca per ogni cosa, puntasse su Fratello Associazione, quindi su legami che nascono dal basso, le mafie scomparirebbero il giorno dopo. Poi però succede che molti si affidano al boss per sbrigare certe pratiche che lo Stato non sblocca, o per trovare posto al figliolo, o altre robe simili. La mafia è esattamente questa roba qui. Non la Dynasty di Don Calogero che spara in bocca a Gennarino Sciatodacs, mentre, prendendola a pecorina, schiaffeggia il sedere di Concetta 'a Purpessa, il tutto parlando in stretto dialetto sicilianoide. La mafia è proprio quel "compromesso morale" il cui puzzo veniva denunciato da Paolo Borsellino in un suo famoso discorso.
Allora due sono le cose: o Saviano ha scoperto che si può diventare anche milionari ma se non si possono dissipare le proprie ricchezze in giro per il mondo senza trovarsi gli sbirri dietro il culo, è fondamentalmente una vita di merda, oppure è davvero sincero nel lottare contro il crimine, dunque nel capire che avrebbe dovuto impiegare le proprie risorse intellettuali e il proprio tempo in modo diverso.
Sia perché una ricchezza da prigionieri è una maledizione, sia perché il crimine non è una questione di buoni contro cattivi, ma di cultura mafiosa, in entrambi i casi quella di Saviano è una vita spesa male. Almeno se crede davvero in ciò che ha detto nella sua intervista.
Perché se poi lui, a dispetto di ciò che dice, è, invece, felice di ciò che ha fatto, sono contentissimo per lui.
Franco Marino
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