Un'aurea regola del giornalismo è che quando i media ufficiali sponsorizzano un tema insignificante per le masse, in controluce ci sono interessi occulti molto più grandi. Quando anni fa Burioni iniziò la sua crociata contro i novax, mi chiedevo perché tanta violenza contro quella che, all'epoca, era una minoranza. Il covid chiarì il perché: era necessario coagulare masse di fanatici provax che potessero sostenere la narrazione a supporto dei deliri pandemici. Allo stesso modo, un'attenzione così fanatica per i temi delle unioni civili nasconde anch'essa ragioni ben più importanti, di tipo patrimoniale: ma a questo magari dedicheremo un articolo in altre circostanze.
Proprio in questi giorni che impazza la tragedia degli youtuber a Casal Palocco, mi pongo la stessa domanda: perché trasformare una vicenda in fondo isolata - perlomeno rispetto al massiccio uso che si fa dei social media - in un caso nazionale, tale da oscurare tutto il resto? Per quale motivo non limitarsi a chiedere la giusta pena che quei ragazzi meritano, oltre alla sospensione del canale?

Non si può rispondere a questa domanda evitando il rischio di apparire complottisti, senza chiarire che giornali, radio e televisioni si chiamano media per una ragione: mediano. Creano in sostanza un ponte tra la produzione e la consumazione della notizia, che inevitabilmente trasforma il fatto fino a deformarlo. Fin quando parliamo di giornali che prosperano nell'Ottocento quando non ci sono materialmente le possibilità per il lettore di sapere i fatti, allora il media diventa fondamentale. Ma nell'era in cui i politici litigano su Twitter e Trump si fa un social tutto suo, la notizia non è più esclusiva dei giornali e diventa un affare diretto tra il produttore e il consumatore. Certo, osserva qualcuno, Twitter e Truth possono censurare, come anche Facebook. E del resto, si chiamano social network, come Youtube si chiama social media. Ma è un filtro molto ridotto rispetto ad un giornale dove un editore e un direttore possono semplicemente non far conoscere al lettore un fatto, se questi non ha altri mezzi per venirne a conoscenza. E soprattutto, Internet promuove una bilateralità tra produttore e consumatore che i media tradizionali non hanno. Era inevitabile che tutto questo provocasse un terremoto. Oggi i comunicatori non hanno più l'esclusiva dell'informazione e questo ha costretto i media a diventare giornali per tifoserie dei loro editori, col risultato che venendo meno la notizia nella sua asetticità, proliferano gli opinionisti che, di fatto, diventano capi ultrà, con tutto ciò che questo comporta. Oggi un giornalista non è più distinguibile da un blogger e, dunque, non si capisce il valore aggiunto di comprare un giornale.
Ma questo non si vede soltanto nell'informazione. Internet in generale ha in sé la cultura dell'abbattimento del concetto di mediazione. Se prima di Internet una persona senza l'auto aveva intenzione di andare da qualche parte, doveva prendere il taxi, il pullman, il treno. Si passava cioè per forza da un vettore che naturalmente avrebbe costretto il consumatore a pagare di più una cosa che, viceversa, oggi può pagare molto di meno, saltando la mediazione di radiotaxi. C'è il cosiddetto car sharing, c'è Blablacar, e ognuno di questi vettori viene periodicamente infestato dall'assalto di personaggi che sembrano messi lì appositamente per creare rogne: ai miei tempi questi si chiamavano "agenti provocatori". Immaginate cosa accadrebbe se nascesse una Uber del latte (magari già c'è e non lo so) che permettesse quindi al consumatore di comprarlo direttamente dal fattore. Parmalat, Granarolo e la Centrale del Latte sarebbero contente?
Per non dire di come Internet abbia cambiato anche la vita affettiva delle persone. Ai miei tempi, ci si vergognava di aver conosciuto qualcuna in chat, perché la gente faceva l'associazione con le chatline erotiche dei numeri 144. Oggi conoscere persone su Internet è diventato normalissimo e questo naturalmente fa inselvaggire intere schiere di partner che sanno di poter essere rimpiazzati con una certa facilità perché il digitale consente un "mercato" di partner potenzialmente illimitato.

Abbiamo così chiaro il punto. La cultura dell'interazione diretta tipica di Internet, ha fatto nascere nuove professioni: influencer, youtuber, onlyfanser, e tant'altro, mestieri più o meno commendevoli che tuttavia stanno ottenendo come risultato quello di abbattere un'intera schiera di mediatori che, avendo sempre meno clienti, sono costretti ad essere protetti dalle banche o direttamente dallo Stato, i quali, specialmente in anni di austerity, non possono sobbarcarsi spese aggiuntive. Internet, in sostanza, è scomoda per troppe persone. E' scomoda per le vecchie televisioni, per i vecchi giornali, per cantautori senza più idee, per mogli e mariti che temono come la peste di doversi confrontare con un ampio mercato di partner molto più appetibili. Troppa gente ha interesse a limitare la libertà degli altri. E il mio timore è che dietro la strumentalizzazione della vicenda di Casal Palocco si nasconda il tentativo di indurre nell'opinione pubblica che quanto accaduto sia figlio di troppa libertà e che quindi Internet vada regolata, non bastasse l'involuzione in tal senso già da anni è in atto.

Non fatevi prendere in giro: a quelli che in questi giorni moralizzano sugli youtuber non frega niente di quel povero bambino morto, di una famiglia distrutta. Vogliono solo creare nuove emergenze per controllarci in maniera ancor più capillare.
Teniamoci Internet così com'è. E' difettosa perché difettoso è l'animo umano. Ma non facciamoci illusioni reazionarie: i cretini c'erano anche trent'anni fa.
Internet ci dà solo i loro nomi e cognomi e ce li mostra nella banalità del loro male.

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Franco Marino
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