Giorgia Meloni ha aggiunto alla dicitura "Ministero dell'Istruzione", il "Merito", facendolo così divenire "Ministero dell'Istruzione e del Merito". E subito la mente mi ha riportato all'avvilimento provato, qualche tempo fa, osservando un dibattito tra Nilde Jotti e Francesco Cossiga risalente ai primi anni Ottanta.
A parte notare il divario tra lo stile del tempo - un confronto civilissimo tra persone ideologicamente agli antipodi - con i pollai di moda oggi, sobbalzai nel sentir parlare di cose come monocameralismo, riforme istituzionali, salari, trasparenza della pubblica amministrazione, di cui si parla ancora oggi perché sostanzialmente in quarant'anni non è cambiato nulla. Tra i temi in discussione c'era anche il merito, che è uno di quei tanti campi di battaglia che di tanto in tanto tornano di moda, provocando le consuete barricate, senza sostanzialmente cambiare nulla. Perché?

Quando si parla di merito, ci si riferisce all'idea che chi è più bravo deve emergere a scapito di chi lo è di meno. Chi potrebbe essere contrario? Il problema è quando chi sostiene questo principio scopre, nel suo campo di azione, di essere meno bravo degli altri, di aver raggiunto una situazione di privilegio, di essere entrato in un mercato protetto e che se quelle protezioni venissero meno, verrebbe scavalcato. In quel momento, molti meritocratici buttano a mare le proprie idee, fanno fronte comune contro ogni riforma, e si riparte daccapo.
Se qualcuno pensa che il problema sia solo della sinistra e della cultura del Sessantotto, sbaglia. Purtroppo questo meccanismo è penetrato anche a destra. Amici di destra mi hanno tolto il saluto perché sono contrario agli ordini professionali ai quali, di volta in volta, appartengono. Giornalisti di destra, persino berlusconiani mi hanno fatto la faccia feroce perché penso che l'Ordine dei Giornalisti vada abolito, stessa cosa gli avvocati di destra.
E allora vuol dire che il problema sta nella mentalità e che il compito della Meloni è semplicemente impossibile. Per varie ragioni.

L'Italia non ha mai avuto una sana e compiuta cultura liberale. E' stata dominata per tanti anni da due culture, quella cattolica e quella comunista, agli antipodi su tutto, tranne che nel ritenere in generale imprenditori e liberi professionisti da una parte evasori tout court, dall'altra vacche da mungere, col risultato di creare un regime statalistico che ha appiattito completamente qualsiasi spirito di iniziativa, trasformando il lavoro in un diritto prematurato. Questo si vede in ogni ambito. Lo studente oggi non si impegna per essere più colto e competente ma per ottenere l'agognato titolo che gli consenta di poter accedere al posto fisso, qualunque esso sia. Quando Checco Zalone ironizza nel suo Quo Vado su questa mentalità ("Che vuoi fare da grande?" "Il posto fisso!") dice purtroppo una sacrosanta verità.
Questa mentalità è stata sapientemente coltivata anche nelle scuole. Quando andavo alle medie (inizio anni Novanta) andavano di moda le demenziali lettere, dalla A alla E, secondo le quali il somaro che partiva come somaro e che aveva l'obiettivo di diventare ciucciariello (La "A" significava "obiettivo pienamente raggiunto") poteva avere un voto più alto del genio che aveva l'obiettivo di diventare Premio Nobel e invece rimaneva genio (La "E" significava "Obiettivo non raggiunto"). Per non parlare della progressiva abolizione di materie ritenute inutili e invece fondamentali, di come gli esami di fine corso siano diventati semplicissimi, fino quasi ad abolire la bocciatura, al punto che non di rado le famiglie dei somari si rivolgono al TAR, qualche volta persino vincendo il ricorso. D'altra parte, che bisogno c'è del merito e della qualità, se alla fine il giovane virgulto l'unica cosa che vuole è finire a fare il burocrate nella pubblica Amministrazione, obbedendo a precisi protocolli? Che bisogno c'è dell'eccellenza, se basta il "6" per ottenere un titolo?

In questo scenario, è razionale pensare che un governo di centrodestra, per giunta minoritario in questo paese (la Meloni è stata votata dal 16% degli aventi diritti di voto) possa andare nella direzione di una maggiore meritocrazia, affrontando le resistenze di intere corporazioni? Ovviamente no. Non basta un governo, anche benintenzionato. Occorrerebbe un radicale cambio di mentalità, a partire dalla Costituzione che inserendo il diritto al lavoro, dall'altro lato, di fatto, introduce il dovere di chi produce ricchezza di farsi carico anche di nullafacenti desiderosi soltanto di portarsi a casa una pagnotta. Chissenefrega se poi i servizi sociali sono lenti, se le imprese delocalizzano in paesi dalla mentalità meno demenziale?
Il merito è l'ennesimo fumo negli occhi gettato da una classe politica che non ha ancora ben presente che la situazione è diventata cancerosa e che non può essere affrontata più col brodino dell'indignazione morale o dell'ennesima riformina, ma con un radicale cambio di mentalità a partire da una costituzione obsoleta, non più al passo con i tempi.
Il principio di cui si dovrebbe tener conto è che chi riceve un pasto che non ha meritato, lo toglie a chi lo ha meritato. Quando la Meloni scoprirà che ad averla votata sono tantissimi che al proprio immeritato pasto sono attaccati come patelle allo scoglio, si vedrà il bluff.
Per poi fare per altri quarant'anni chiacchiere inutili sul merito che non c'è.

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Non so se te ne intendi di pubblicità, propaganda, marketing! Ho fatto parecchi corsi di marketing. Alcune lezioni, tenute da psicologi e neuropsichiatri, proprio sull'importanza dell'uso di certi lemmi che sollecitano le sinapsi più di altri. Esempio?
"Meritocrazia" ..ti ha fatto scrivere un articolo🤣🤣🤣
 
Il valore del merito l'ho imparato dalla mia famiglia.
Non si può delegare l'educazione ne alla scuola, ne alle istituzioni.
Per esempio, tu stesso riconosci il valore del merito, pur avendo frequentato la scuola. Vuol dire che l'hai imparato in famiglia.
Siamo noi genitori che dobbiamo fare la differenza 😉
 

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Franco Marino
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