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Tra i protagonisti del '900 di cui penso di non avervi ancora parlato, mi è caro John Layard, antropologo e psicologo junghiano.
Dopo un interesse iniziale per la linguistica e l'antropologia, partì per l'Oceania e scrisse un testo sull'isola Malakula e le isole minori attorno ad essa.
In particolare, si interessò del rito del maki che gli uomini svolgevano più volte nel corso della vita.
Consisteva nell'uccisione di maiali maschi per ricavarne forza con cui essere accettati dopo la morte dagli antenati.
L'uomo che sacrificava il maiale ne prendeva la forza, si assisteva ad una sorta di proiezione psicoanalitica del sacrificante nel sacrificato, che in quella circostanza cambiava anche il nome.
Prima del sacrificio era previsto l'innalzamento di una pietra in verticale, assimilabile ai menhir della Preistoria euroasiatica (rappresentazione simbolica del fallo); il sacrificio dei suini (maschi) era presso questa struttura megalitica.
Richiamandosi alla sua formazione junghiana, Layard trova in questi riti (che se ripetuti, alla fine avrebbero permesso al singolo di diventare degno di raggiungere gli antenati dopo la morte) una traccia del processo di individuazione junghiano.
Questo processo è caratteristico di ognuno di noi, costituisce il nostro singolo percorso, la nostra promessa individuale di cui ognuno di noi come singolo è unico portatore. L'individuazione avviene integrando le varie parti che compongono il sé, trovando il proprio posto di serenità e completezza nel mondo, integrando vari aspetti simbolici che incontriamo nel corso della nostra vita.
La capacità del singolo di dare priorità alle proprie manifestazioni interiori, ai propri desideri, riconoscerne di vitali e distruttivi, la capacità di costruire il proprio percorso autonomamente e in equilibrio col mondo circostante.
Il rituale maki diventa, quindi, occasione simbolica per l'uomo di affermarsi come singolo, per distanziarsi (nel corso dell'età adulta) dal mondo familiare e al contempo per diventare degno (in tarda età) di tornare a far parte del gruppo degli antenati. In un processo di differenziazione e ricostruzione continua del proprio Io.
Dopo la morte tutti, nella mitologia locale, andavano a vivere in un vulcano (una sorta di Oltretomba). Il vulcano era al contempo simbolo della Terra, del ritorno alla forze ctonie (cosa non da poco, per gente che vive nel mezzo dell'Oceano Pacifico) e ricongiungimento con una madre simbolica.
Layard va oltre e dice che il ritorno al vulcano diventa un ricongiungimento al ventre materno (vulcano come utero e quindi rapporto madre-bambino).
In una catena di significati e significanti l'uomo innalzava per tutta la vita menhir (simboli fallici) nel disperato tentativo di tornare degno di ricongiungersi come individuo al ventre materno.
Non discuto il valore della tesi che nasce in un certo clima culturale con pregi e difetti del caso, ma mi faceva piacere parlarne.
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