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Non venitemi a fare il fervorino sull’Occidente Collettivo, i valori condivisi e roba del genere. Con me non attacca. Geopoliticamente non esiste e non è mai esistito alcun “Occidente Collettivo”: i popoli occidentali si detestano cordialmente e si scannano da secoli. Gli anglosassoni, di conserva con i loro ascari polacchi e baltici, vogliono lasciarci a secco e tenerci a stecchetto. Detto questo, la musica inglese mi entusiasma, la letteratura non finisce di emozionarmi (da adolescente piansi leggendo Oliver Twist) e adoro guardare i film horror della Hammer. La cultura è universale, ed è disdicevole che venga usata come un paravento o, peggio, brandita come una clava. Perciò lasciatemi sprizzare gocce avvelenate di schadenfreude e… a morte la sfacciata Antieuropa! Mi auguro che il Regno Unito assuma il comando del fronte ucraino (gli statunitensi potrebbero concentrarsi su Cina-Taiwan) e sperimenti una sconfitta completa e umiliante che ne acceleri la disgregazione. Del resto, la Scozia – per tacere dell’Irlanda del Nord – punta i piedi e reclama l’indipendenza. È giunta l'ora di mandare al macero questo repellente rottame del secolo decimonono, le sue pretenziose nostalgie vittoriane e l’aneddotica consolatoria sull'intramontabile Impero della Mente che non smette di influenzare gli sventurati popoli europei, specie i corrispondenti della Rai, in genere ex calzacorta comunisti convertitisi al fumo di Londra e al culto di Sua Maestà britannica. L’impero è in bolletta: l’inflazione rosicchia metodicamente la sterlina mentre un quinto della popolazione sguazza nella povertà più torbida. L'establishment inglese somiglia a quei nobili decaduti che si riciclano come maggiordomi; un maggiordomo con la marsina lisa, obbligato a mansioni degradanti. Il padrone d’oltreoceano non se la passa bene, sicché il nostro Jeeves si acconcia ad abitare in soffitta, dove da del tu a topi e scarrafoni. Scalcagnato e con l’alito pesante, se ne sta imbambolato nella sua balordaggine senile, per nulla oltraggiato dal retaggio imperiale, la promiscuità culturale denominata eufemisticamente “multiculturalismo”. Ai suoi tempi portava sulle spalle il kiplinghiano "fardello dell'uomo bianco"; oggi il fardello è quello di una società da Mulino Bianco che macina esecrabili farine woke, green, gender fluid e chissà quali altre diavolerie. Nel mese di giugno risultò particolarmente patetico l'appello guerresco del generale inglese Patrick Sanders, che invitava i giovani britannici a prepararsi a combattere la terza guerra mondiale. Gli inglesi sono grandi strateghi, autentici maestri del divide et impera, ma le ultime due guerre mondiali le hanno “vinte” per una serie di fortunate coincidenze (l’intervento statunitense e la Russia a fare da parafulmine). Qualche gioia e una discreta dose di sberle sul muso. Dopo la Brexit, ultimo sussulto di grandeur, si sono avvicendati leader traballanti come lo scapigliato Johnson e l’avvizzita Truss, studentessa rimandata in geografia. Ora rischiano di tornare al basso medioevo o agli albori dell’età moderna, che pure produssero la Magna Carta e il teatro elisabettiano. Non ci mancheranno il fiato che puzza di gin sul collo, le indebite intrusioni nel mare nostrum, la fasulla compitezza oxfordiana, la pirateria modello panfilo Britannia, l’Economist che assegna le pagelle e ostenta le sue copertine del cazzo. In un certo senso vi compiango: noi latini di imperi perduti ne sappiamo qualcosa. Farewell, John Bull!

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Caligorante
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