Nel silenzio dei tiggì di regime, e con l'interessamento peloso del coro di voci bianche della stampa igienica (sempre meno cartacea e sempre più virtuale, e almeno questa è una buona notizia), il Senato ha appena approvato, oggi 26 luglio 2023, una legge che riconosce l'Holodomor come un genocidio.


Intanto va spiegato che cosa sia l'Holodomor. Esso sintetizza la morte per fame di un numero imprecisato, ma che dovrebbe superare i cinque, e secondo alcune stime sfiorare i nove milioni di morti, in Unione Sovietica, fra il 1930 e il 1934. Le cause furono numerose, ma l'innesco fu dato dalla collettivizzazione forzata delle terre che, inizialmente, Lenin aveva concesso alla piccola e media proprietà privata dopo che, negli anni successivi alla Rivoluzione d'Ottobre, lo Stato si era rivelato totalmente incapace di assicurarne una gestione collettiva efficace. Dopo una decina d'anni Stalin riprese la politica di soppressione della proprietà privata, e l'accoppiata fra sottrazione violenta di mezzi di lavoro, terra e prodotti agricoli agli ex-proprietari recalcitranti, insieme alla gestione catastrofica delle terre da parte dei dirigenti nominati dal Partito, scatenarono anni di carestia che, nelle campagne, furono la condanna a morte per gran parte della popolazione.


Sin qui, tutto abbastanza limpido, e, a parte quattro dementi nostalgici del regime staliniano e iscritti al Partito Marxista-Leninista Italiano, nessuno si è mai sognato di negare che ciò sia avvenuto. La ricerca storica ovviamente è varia, e se c'è chi punta di più il dito sulla volontà omicida di Stalin, c'è chi invece lo ritiene più un disastro frutto di incompetenza che un piano di sterminio preordinato. Naturalmente c'è differenza fra le due prospettive, ma questo accade praticamente su ogni evento negli studi storici dai Sumeri in poi, e la cosa più logica sarebbe lasciar dibattere (e ricercare) gli storici e poi leggerne i risultati. La parola “fine”, esattamente come nella scienza, non si raggiungerà mai.


Il problema sorge però proprio qui. Da qualche decennio, in ambienti che con la libera ricerca intellettuale non hanno nulla a che fare, sta sorgendo l'idea che la parola “FINE” vada messa, su determinati argomenti, e in modo drastico, incluso quello penale. La legge che trasforma in un delitto, bollandolo col nome surreale di “negazionismo”, ogni dubbio sulla consistenza dell'Olocausto, ne è stata l'apripista. In realtà la legge del 2016 non configura il “negazionismo” come reato a sé, ma come aggravante di altri crimini, in specie legati a discorsi di superiorità razziale (altra definizione piuttosto fumosa e a senso unico: avete mai sentito di qualcuno processato e condannato per aver affermato la superiorità del ceppo negroide o di quello mongolico?), in specie "in tutto o in parte sulla negazione della Shoah o dei crimini di genocidio, dei crimini contro l'umanità e dei crimini di guerra".


Quando un'élite decide che qualcosa è la Verità, e ad essa bisogna aderire senza discutere, come ai dogmi di una religione di Stato, generalmente ci prende gusto, e usa questo metodo per imporre ogni suo progetto e volontà, e soprattutto per schiacciare quelle sacche di dissenso che potrebbero “infettare” anche la popolazione “sana”, ovvero la massa che segue bovinamente, per abitudine e quieto vivere, ogni cosa che appaia aver forza di legge.

Io non ho dubbi sul fatto che durante la Seconda Guerra Mondiale vi sia stato uno sterminio generale degli ebrei d'Europa. Conosco abbastanza testimonianze e testi documentati per poter prestar fede alla tesi bislacca che si tratti di una macchinazione messa su in fretta e furia nelle poche settimane successive alla caduta della Germania. Chi lo sostiene va lasciato alle sue convinzioni: alla fine, c'è chi crede che la Terra sia piatta, o cava, che Hitler sia vivo (e anche piuttosto vecchio) in Argentina, insieme ad Elvis e a tante altre tesi senza capo né coda: non danneggia nessuno, non pregiudica i diritti di nessuno, e se qualcuno se ne sente offeso, non è un buon motivo per invocare censure.

E invece pare che si stiano imponendo argomenti e tesi che bisogni accettare per Verità Rivelata, molto peggio che nel Medioevo, in cui, alla faccia degli ignoranti che lo prendono come il peggio del peggio in fatto di oscurantismo, esisteva un fiorente dibattito persino sulle verità di fede, ma più simile ai regimi totalitari novecenteschi in cui la parola del Capo era legge, il Duce aveva sempre ragione, il Führerprinzip, il Partito incarnava le Forze Storiche e il singolo aveva solo da obbedire. O sparire in qualche gulag. Tali argomenti tabù sono, non a caso, quelli funzionali all'ideologia dominante imposta dall'alto: l'Olocausto è uno, ma abbiamo sentito negli ultimi anni lo stesso concetto applicato al Covid, e negli ultimi giorni si parla sfacciatamente di “negazionismo climatico”, proprio come se sul clima ci sia una sola versione vera e accettata, e chi se ne allontani sia, appunto, uno di quei “negazionisti” che la legge 115 del 2016 “punisce con la reclusione da 2 a 6 anni”. Ora, l'approvazione di una versione ufficiale anche sull'Holodomor costituisce un segnale interessante, per quanto inquietante. Intanto, chi ha mai sentito le istituzioni italiane tanto sollecite per eventi storici dell'Europa Orientale che, sino a due anni fa, pur noti in ambito accademico, nessuno dei nostri parlamentari avrebbe saputo neppure pronunciare correttamente? Io leggevo della carestia degli anni '30 già nei primi anni '90, esistevano libri e studi specifici, ma la legge italiana se ne fregava bellamente. Se decide di occuparsene ora, nel bel mezzo del conflitto russo-ucraino, non è per un'improvviso amore verso gli studi storici, ma è un semplice gesto di allineamento servile con la propaganda globale che domina il mondo Occidentale, in pieno ossequio a chi dà il tono, ossia i padroni d'oltreatlantico. Lo dimostra la falsificazione con cui si oscura la parte non-ucraina della catastrofe: le vittime caddero equamente al di là e al di qua dei confini della Repubblica Socialista Sovietica di Ucraina. Eguale mistificazione tende a voler addossare alla Federazione Russa e al suo popolo un genocidio, quando i responsabili, se c'erano, erano cittadini dell'Unione Sovietica, la cui dirigenza era composta in buona parte proprio da ucraini e da tutte le etnie del vasto Stato (Stalin era georgiano, vogliamo far finta di dimenticarlo?), per non parlare degli ebrei, che nel Comitato Centrale avevano una rappresentanza di tutto rispetto. Aggiungiamo che una legge simile ha il suo calco nella pronuncia dell'Eurociarlamento, che lo precede di otto mesi, e che fa capire meglio da dove venga l'ennesimo diktat allo Stato-fantoccio italiano. E che, nonostante si tratti di eventi separati solo da qualche decennio, un simile interesse non sarà mai manifestato verso lo sterminio statunitense dei nativi.

Certo, se cambiassimo i termini e immaginassimo una legge che punisce chi neghi che Napoleone ha perso contro le coalizioni antifrancesi e non sia morto a Sant'Elena, verrebbe da ridere. Tutto però diviene meno divertente se si considera che sta passando l'idea che esistano temi di interesse generale che è vietato discutere, la cui versione unica è imposta per legge, e che meritano sanzione penale in caso di dissenso. Un quadro per evocare il quale non occorrerebbe scomodare Orwell, ma basterebbero e avanzerebbero esempi storici ben documentati. Almeno sino a che non si decida che è vietato ricordarli. Come ad esempio quando il coro di voci bianche di politici e giornalisti si levava indignato ad ogni paragone fra la repressione sotto la cosiddetta pandemia e quella sotto regimi autoritari.

Aggiungo solo che questi interventi legali sulla discussione, o meglio sulla limitazione della discussione storica, sono la negazione massima del senso stesso della ricerca intellettuale. Come ricordavo all'inizio, la ricerca storica non finisce mai. Si discute da secoli non solo sulle motivazioni di decisioni prese in epoca, che so, napoleonica, ma persino sulla reale entità (ossia su fatti materiali che parrebbero non modificabili) di eventi come battaglie, repressioni, campagne. E lo stesso accade in tutte le altre discipline, come se il principio di tutte sia quello scientifico (non si parla tranquillamente di scienze storiche e sociali?). Ecco, alla base di tutta la ricerca c'è il dubbio. E che un Parlamento decida di minacciarmi col carcere nel caso possano venirmi dubbi, espressi, sull'entità di qualsiasi evento, anche l'Olocausto, è una delle massime vergogne del nostro tempo. Tant'è che proprio la citata legge 516 sul “negazionismo” va a punire anche discorsi che neghino “in tutto o in parte”. Conoscendo la giustizia italiana, dipende solo dalla discrezionalità del magistrato venir condannati non tanto per aver detto che non c'è mai stato alcuno sterminio degli ebrei, ma che, pur essendoci stato, esso ha avuto come risultato non sei, ma “solo” cinque milioni di vittime, magari con tanto di calcoli. Oppure che in alcune occasioni si sono diffuse esagerazioni sugli eccessi compiuti sulla popolazione israelita. Condivisibili o meno, sono argomenti che, sino a ieri, potevano essere discussi, smontati e confutati (ma anche dimostrati) da storici e ricercatori competenti. Oggi no, sono solo dei reati.

E fra breve potranno esserlo anche i dubbi sulla santità di Zelensky, sul genio di Burioni, e sull'onestà della Von Der Leyen.

Ancora dubbi sul fatto di vivere sotto ad un regime, che sostituisce la propaganda all'osservazione della realtà?

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Friedrich von Tannenberg
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