Sarà una coincidenza, ma mentre le cronache erano piene di uomini travestiti che vincevano concorsi di bellezza femminili e “opere d'arte” fatte di stracci, vivevo un periodo in cui avevo ripreso ad approcciare la civiltà greca. E dall'incontro fra le due impressioni sono giunto alla conclusione che siamo arrivati ad un punto molto singolare nelle storia delle civiltà umane. Le civiltà (quelle propriamente intese, non certo quelle secondo il verbo progressista, per il quale qualsiasi gruppo umanoide che metta su due capanne di fango ed emetta suoni gutturali è una civiltà buona quanto quella che ha prodotto la Firenze del Rinascimento) hanno avuto tutte un proprio concetto del bello. Generalmente era un concetto che serviva ad altri scopi, vuoi religioso, pedagogico, morale, mistico. I greci, non so se unici, ma i primi di cui abbiamo notizia, ne hanno fatto il centro della propria concezione del mondo, tanto che sono stati anche quelli capaci di concepire il concetto che chi è bello fuori dev'essere bello (=buono) anche dentro. I nobili, gli aristocratici, su questo giocavano più o meno sinceramente presentandosi come i kaloi kai agathoi, ossia i belli e buoni. Roma, che era una civiltà profondamente e radicalmente diversa da quella ellenica, ciononostante ne rimase affascinata, e vuoi per posa, vuoi per sincero omaggio alle forme di una civiltà percepita come superiore, ne adottò la cultura, producendo una sintesi originale, tanto che dopo due millenni ancora ci appare insuperata. Il cristianesimo respinse la bellezza fisica in favore di quella morale, e di rimando Nietzsche voleva rovesciare la morale cristiana per tornare a qualcosa di simile a quella greca, esaltando i valori vitalistici contro quelli moralistici: Bellezza invece di Bontà, Audacia invece di Prudenza, Orgoglio invece di Umiltà, Luce invece di Crepuscolo. e Vita invece di Aldilà. Il “Rovesciamento di tutti i valori”, appunto.

Noi, che non viviamo una civiltà, ma la decomposizione della Civiltà occidentale, differiamo da Nietzsche nel fatto che, invece del rovesciamento, abbiamo adottato l'inversione. Invece di ogni valore abbiamo preso il contrario negativo e gli abbiamo dato il nome del valore positivo. Oggi abbiamo il Brutto che ci viene spacciato per Bello, il deforme per sano, il perverso per normale, il vergognoso per ammirevole. L'arte, a partire dal Basso Medioevo aveva lentamente e pazientemente recuperato il concetto di Bello classico, trionfando degli intenti pedagogici della Chiesa medievale, e per qualche secolo era tornata ad esistere esclusivamente per la ricerca del Bello. Un romantico di cui ora non ricordo il nome aveva affermato che oggetto dell'Arte era il Bello, e non la novità fine a sé stessa, concetto che forse all'epoca appariva banale ma oggi appare quasi incomprensibile visto il panorama di cià che è divenuto il senso estetico dopo un secolo di obbrobri. Il Dadaismo ha aperto le porte, ed oggi i musei espongono tranquillamente (ed impunemente) sanitari, dipinti fatti con peli pubici o escrementi umani (e non parlo di isolati ma di “artisti” ben noti), quando non di semplici servizi fotografici aventi ad oggetto escrementi o pornografia. Sino al nulla assoluto chiamato Cattelan, che sbatte in faccia a un pubblico che secondo me disprezza pure una banana attaccata al muro con un pezzo di nastro adesivo, che siccome marcisce va sostituita ad opera del proprietario ogni pochi giorni, caso unico di opera d'arte che della mano dell'artista non conserva nulla, se non, forse, una firma svolazzante. Naturalmente esistono dei cosiddetti critici e storici dell'arte pronti a tirar fuori dal cappello una qualche opera che, in tempi non sospetti, era stata accolta da scandalo. Ma sbagliando del tutto la mira: lo scandalo o l'assenza di scandalo non provano nulla della bontà di un'opera d'arte, di cui si deve giudicare la bellezza, non la capacità di “provocare” (ma chi, poi?). Né vale tirar fuori il gusto del tempo e il fatto che nessuno commissioni più ritratti o scene di storia sacra. Ché se nel Cinquecento nessuno avrebbe commissionato una banana o un buco nel muro, limitandosi ad una Pietà o ad un Giudizio Universale, anche questo la dice lunga sulla qualità e sulla maturità anche mentale del pubblico che si esalta di fronte a quelle e a queste opere d'arte. Ma l'inversione è andata ben oltre i confini dei musei o delle gallerie d'arte. Uomini deformati e mutilati per ridurli a forma femminile, e quindi deformi perché è evidente che non sono e non saranno mai donne, ci vengono sbattuti in faccia in ruoli e posizioni femminili come se questo potesse modificare la natura o la verità. Donne private di ogni femminilità e rese brutte caricature degli uomini sono spacciate per "donne pienamente emancipate" con un concetto che non vuol dire niente ma che vorrebbe convincerci che concetti come Uomo e Donna, esattamente come Caldo e Freddo, Chiaro e Scuro, Umido e Secco, possano essere ridotti ad uguaglianza. Sino alla tutela giuridica della Morte come diritto da infliggere a sé stessi con l'eutanasia o ad un nascituro con l'aborto, mentre lo stesso codice tutela l'incolumità fisica di un gatto o di un canarino. Un procedimento da patologia psichiatrica, ma rientra nella follia che ci governa. Oggi l'unica critica contro a questo regime di patologia mentale e violenza alla Natura, al Bello e al Bene è la violenza. Ripeto e sottoscrivo quanto detto da Franco Marino. Probabilmente l'unico esempio valido è quello di Ted Kaczynski, che infatti era arrivato a questa forma estrema di lotta riconoscendo nella società industriale e consumistica un mostro con cui non dialogare, ma da combattere. Il barbone che ha dato fuoco a quella porcheria della "venere degli stracci" (minuscola d'obbligo) ha solo fatto il minimo sindacale. Siamo circondati da un sistema che, ad onta del “liberalismo” e del “pluralismo” di cui si ammanta, reagisce con una rabbia da jihadista a chiunque non riconosca leciti i suoi procedimenti più innaturali e disumani. E tutto è iniziato dall'Arte. Perché a far vivere le persone nel Brutto, si finisce anche per farle vivere nel Male.

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Friedrich von Tannenberg
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