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Caligorante

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"La caduta del blocco socialista e la "fine della storia". La disgragazione della Jugoslavia e le guerre del Golfo, la caduta di Gheddafi e l'inizio della fine in Libia. La crisi del dialogo Est Ovest. Eventi concatenati che hanno una costante comune: la estrema marginalità della politica estera italiana della cosidetta seconda repubblica".
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Subito dopo la II Guerra Mondiale, gli ex paesi coloniali furono sommersi da una ventata di ottimismo e valori democratici dati dalla sconfitta del fascismo. La vittoria alleata creava un mondo nuovo, i vincitori rivendicavano questo ruolo o come paese delle opportunità (USA) o della rivoluzione (URSS).
Il Guatemala fu uno degli stati che colse questo magico momento. Nel 1944, il paese si emancipò da un periodo reazionario tramite una giunta militare. Abbiamo già alluso al ruolo progressista dell'esercito nei vari paesi ex coloniali, qui spesso i militari costituivano l'unico settore in grado di svolgere il compito storicamente svolto in Europa dalla borghesia.
Il paese si avviò alla chiusura di una fase storica feudale caratterizzata da latifondo, rigida divisione e segregazione razziale, violenza privata. Furono realizzate importanti riforme in ambito sindacale e lavorativo, fino ad arrivare alla prima metà degli anni '50, in cui fu varata una riforma agraria.
La redistribuzione delle terre colpì i grandi proprietari terrieri (tra cui alcuni membri del governo) e le compagnie bananiere statunitensi. Buona parte del confronto tra queste ultime e le istituzioni ruotò attorno all'indennizzo per l'esproprio, calcolato sul valore fiscale dichiarato dai proprietari stessi. La United Fruit disse che non le era stato possibile aggiornare i registri (aumentando drasticamente il valore e quindi auto-dichiarandosi evasori); da tenere presente che buona parte di quelle terre erano tenute incolte solo per evitare che fossero acquistate da competitori.
La storia è nota: la CIA si attivò, martellando l'opinione pubblica USA con una presunta minaccia comunista, fino al colpo di stato.
Il paese cadde in un buco violenza fino alla metà degli anni '90, momento degli accordi di pace tra governo e guerriglia. Il Guatemala subì una repressione atroce e impossibile da spiegare. Diventò cavia del capitalismo mondiale (prostitute e malati di mente furono persino usati come cavie per farmaci dalle multinazionali farmaceutiche USA).
Nonostante la pace, gli elementi che portarono alla guerriglia non sono risolti: la disparità di reddito e di accesso all'istruzione, la stratificazione socio-economica su base razziale, la discriminazione delle culture e delle etnie native, la dipendenza economica dall'estero, lo strapotere dei militari e la violenza privata dilagante.

Per restituire giustizia a questo popolo, ai suoi poveri, alle sue popolazioni perseguitate ho sentito di scrivere un libro su questo piccolo e dimenticato Vietnam centroamericano. La loro lotta per un mondo più giusto merita ancora di essere raccontata e tramandata da orecchio a orecchio, la storia del popolo che nella foresta continuò a lottare contro l'oppressione e l'ingiustizia che arrivava da lontano.
Dedico "La terra di Itzmanà" a tutti loro, ai poveri e agli sconfitti, perché il sacrificio non sia dimenticato.

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Dei fatti africani degli ultimi mesi abbiamo guardato solo la vicenda anti-coloniale riconducibile alla Russia (o di seconda mano alla Cina). In particolare, i fatti del Niger sono stati ricondotti a una presunta presenza della Wagner nell'area.
Pochi giorni fa, il Marocco è stato scosso da un terribile terremoto e ha accettato aiuti solo da quattro paesi: Spagna, Emirati Arabi, Regno Unito e Qatar.
Schiaffo per la Francia rifiutata da una ex colonia, questa volta non in mano russa o cinese, non infiltrata da integralisti di qualsiasi natura o tipo, ma fedele alleato occidentale. Il Marocco -dopo Trump- ha aperto alla collaborazione con Israele, è fedele rappresentante degli interessi occidentali nella regione (a discapito dei Saharawi) e acerrimo nemico dell'Algeria (alleata storica sin dai tempi del socialismo di Mosca), ha un filo diretto con gli USA.
Avevamo già detto di come Turchia e Marocco con la periferizzazione dell'Europa avessero assunto peso politico a discapito degli europei (Italia in primis, essendo un paese mediterraneo).
Il conflitto ucraino ha velocizzato la tendenza intra-occidentale a far convergere i capitali verso il centro (USA) a discapito dell'Europa e in questo progetto Italia, Francia e Germania sono ostacoli di primo piano.
Germania e Italia sono fatte fuori dalla politica ucraina imposta dalla classe dirigente (a loro volta imposte dalla sconfitta militare: di fatto siamo satelliti); la Francia forte di una posizione di vincitore del conflitto va ricondotta all'ovile con altre misure. Il punto è evitare la coagulazione del complesso industriale europeo continentale.
Le nuove potenze (Usa, Cina, Russia, India, Golfo) si spartiscono la periferia a discapito degli europei.
Non è il primo atto ostile contro Parigi della Casa Bianca: vedi vicenda sottomarini australiani in cui gli USA si sono imposti.
Persino le sparate anti-francesi di Amato (dopo l'alzata di testa contro il defunto Berlusconi di Parigi) delle settimane passate sembrano un codice a questo punto: guardate che il grande Alleato oltreoceano vi guarda e noi (Uk, Italia, forse Germania) stiamo con loro.
La Francia nei mesi passati ne ha provate di alzate di testa: visite in Cina, facciamo la pace con i russi, teniamoci buoni gli algerini e muoviamoci per il Sahara Occidentale (ricordo barattato da Trump per Israele e accettato dalla ben più attiva Spagna). Tutte hanno avuto esito penoso, Parigi non è più quella di Napoleone o di De Gaulle e le guerre se le vinci solo grazie agli alleati è un po' come averle perse (anche se l'opinione pubblica forte di una storia millenaria può pagare le tasse felice e cantare l'inno con orgoglio).

Se questa ipotesi fosse corretta, ripeto SE (son pur sempre solo chiacchiere non prendetele troppo sul serio), l'Italia starebbe giocando il ruolo del fedelissimo USA (ruolo che sappiamo di avere), peccato non problematizzare un po' di più e non cercare un margine di dialogo (forti di questa tradizione di quasi vassallaggio) con la Russia o (udite, udite) la Cina... Che poi fu la politica estera del defunto Berlusconi per questo osteggiato da Francia, Germania, UE, giornali e banche italiani legati ai capitali europei, ecc.
Le battaglie politiche quando assumono toni morali nascondono sempre interessi ben meno nobili, non che questo riabiliti Berlusconi, ma ci chiarisce qualcosa sulla lotta politica intra-europea.
La dinamica del capitalismo non è solo interna alla lotta di classe, ma anche una lotta tra capitalisti (aziende in competizione), tra gruppi di capitalisti come cordate di interesse e tra Stati (che rappresentano interessi più vasto con dinamiche ed equilibri interni).

In questo momento di crisi del vecchio centro e di affermazione di nuovi attori, la competizione tende ad assumere toni più accesi, le alleanze ad essere mobili.
In finale, il sistema-mondo si struttura attorno a un centro (o più centri in competizione) che drenano risorse dalla periferia (a sua volta caratterizzata da una maggiore povertà, da esportazioni semplici, ecc).

Tempi confusi e interessanti.
Oggi a #LagrandeImboscata Alexandro Sabetti ci parlerà del suo libro "Il soffione boracifero", qui link

Vi ricordo il mio libro di storia e antropologia guatemalteca, link all'editore: https://www.kulturjam.it/kulturjam-edizioni/la-terra-di-itzamna/

Qui link al canale #Telegram: https://t.me/gabgerm

Sono a 5000 amici e ho una piccola coda; ogni tanto qualcuno mi cancella, quindi non avrò problemi a far scalare la lista 😃
Grazie a tutti!
L'uomo è una specie simbolica, che comunica attraverso linguaggio astratto.
Basta già analizzare la frase precedente per trovare almeno tre parole senza corrispondenza nel reale. Il nostro schema comunicativo è immerso nella realtà sociale e si fonda su convenzioni.
Quando parlo di "anima" o "derivati" sto parlando di cose astratte senza piano fisico, ma che riuscite a capire perché siamo nello stesso contesto.
Il linguaggio prima e la scrittura dopo hanno esteso il piano astratto. Attraverso uno scritto ci siamo appassionati delle avventure di Rama e Ulisse. Questi non sono passaggi irrilevanti, la creazione di storie obbedisce alla struttura della nostra mente, alla nostra auto-percezione. Creiamo ogni giorno la nostra identità in base a una storia, a un processo di ricostruzione e mediazione tra passato, presente e futuro (progettualità). Il narrare sarebbe quindi una delle attività più tipiche della nostra specie.
Ieri, mentre tornavo dalla presentazione del libro (La terra di Itzamnà, edito da Kulturjam.it) e pensavo alla presentazione di sabato dell'altro (Italia eterna Cenerentola. La politica estera della seconda repubblica, edito da Area Pascale - Mario Pascale editore), mi son chiesto: cosa ci spinge a condividere idee?
Nel mio caso, il bisogno di condividere riflessioni che mi sorgono spontanee, quando leggi e studi senti il bisogno di condividere con gli altri questo percorso mentale. La scrittura, la lettura e lo studio sono tra le poche consolazioni in questa valle di lacrime; in finale, anche quando tutto sembra perso continuare queste tre attività, è l'unico modo per impiegare il proprio tempo.
Anche oggi che la nostra civiltà sembra a fine ciclo (economico, demografico, politico), l'Europa sembra messa ancora peggio in questo ciclo, continuare a studiare, leggere, scrivere (e quindi in qualche modo tramandare, rielaborando) è l'unico modo per dare un senso al proprio passaggio. Il Mediterraneo passò già una grande fase di declino, col finire dell'Impero Romano d'Occidente e il caos in quello d'Oriente e fu proprio nello studio e nella trasmissione dello stesso che si ebbe il rifiorire dei due diversi poli (in modi e momenti diversi).
Gli Arabi rielaborarono e diffusero (a nostro favore) il sapere greco, quello persiano e indiano; il monachesimo si fece cinghia di trasmissione del sapere antico e della complessa teologia medievale con il mondo moderno.
Oggi stiamo assistendo a un rimontare incredibile della comunicazione colta e non, tutti scrivono e condividono, tutti riflettono e organizzano un loro messaggio (audio, video, scritto). L'effetto spiacevole di questo (in partenza positivo) è il senso di estraneità e di alienazione che si ha dalla comunicazione; il singolo si trova davanti a una valanga di informazioni e messaggi che non è più nemmeno in grado di elaborare, decostruire. Il comunicatore diventa ricevitore passivo e buona parte della produzione viene in realtà dispersa, se oggi qualcuno di noi fosse il nuovo Dante lo ignoreremmo sommersi invece da immagini di gattini (o nel mio caso da reel di cuccioli di volpe e coniglietti).
Perché continuare a scrivere allora? Un po' per continuare a formare la propria identità e quella narrazione interiore, per non trasformare il proprio pensiero in uno sterile soliloquio continuo; un po' per continuare a mandare avanti (con il proprio piccolissimo fiammifero) una auto-riflessione sul reale, quel processo di lettura critica che ha caratterizzato tutte le comunità umane e che in Occidente vanta una lunga tradizione.

Vi ricordo perciò la presentazione di domani (16 settembre), alle 17:00, presso viale Giotto 17 (Roma) del libro "Italia eterna Cenerentola", in cui io, Franco Bartolomei, Mario Michele Pascale, Alexandro Sabetti e Ferdinando Pastore parleremo del testo e di politica estera italiana, proprio per tenere in piedi quella fiamma di pensiero critico di cui tanto abbiamo bisogno.

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