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Caligorante

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Accadeva sessant'anni fa. 9 febbraio 1964. I Beatles debuttano nella trasmissione americana The Ed Sullivan Show, segnando un caso mediatico e sociologico. L'audience record, circa 73 milioni di spettatori, un terzo della popolazione statunitense dell'epoca, e al loro interno troviamo una cospicua fetta di 22 milioni di teenager, che valgono da soli almeno 12 miliardi di dollari (del 1964!) annui di consumi. Da emblema “rivoluzionario” del tempo che fu, i Beatles sono diventati l'altarino della conservazione boomer (gelosamente difesa dai guardiani della rivoluzione in tenuta Kukident), gli araldi di un indecente sovversivismo in vagone letto, il feticcio di un suprematismo della memoria davvero insopportabile che puzza di sermoncini veltroniani e servizi ruffiani à la Vincenzo Mollica lontano un miglio. Il 7 febbraio la band inglese sbarcò all'aeroporto JFK di New York, accolti da fan e giornalisti. Leggenda vuole che durante il loro soggiorno americano si assistette a una drastica diminuzioni di reati violenti. Furono organizzati due concerti a New York, al Carnegie Hall, e uno a Washington (dove suonarono su un palco girevole per permettere a tutti di vedere e sentire), ma non bastarono; fu così organizzato un secondo passaggio all’Ed Sullivan Show dalla Florida, che inchiodò davanti il piccolo schermo altri 70 milioni di americani. Dietro ai quattro di Liverpool arrivarono a cascata tutti gli altri, dai Kinks ai Rolling Stones. L’America del 1964 – uscita dalla crisi dei missili di Cuba, in lutto per Kennedy e pronta a partire per il Vietnam – si rimirava in uno specchio britannico, riscopriva e rivalutava le proprie radici musicali, blues e rythm’n’blues. In poco più di un mese, dall’uscita di "I want to hold your hand" al 7 febbraio, la beatlemania era dilagata come un fiume in piena. Ed Sullivan, che aveva avuto modo di vederli in azione in Inghilterra, scottato anni prima dall’aver inizialmente rifiutato Elvis lasciando lo scoop al suo rivale Steve Allen, prenotò un’apparizione della band nel suo show ancor prima che il loro successo esplodesse. «La maggior parte dei gruppi nordamericani della seconda metà degli anni Sessanta – ricorda il critico musicale Ian MacDonald – hanno riconosciuto di essere stati ispirati dai Beatles, sottolineandone il ruolo avuto nello spezzare la morsa delle convenzioni commerciali che teneva bloccata l’industria della musica pop statunitense». I Beatles, che avevano studiato e rielaborato i trucchi, le novità, e gli effetti di produzione utilizzati nei dischi di rock-and-roll e di rhythm and blues, stavano rinnovando la percezione che il mondo pop aveva di sé stesso, e che ciò accadesse nel Nord America era ancora più significativo: da almeno cinquant’anni, dai tempi del jazz, la musica nordamericana furoreggiava nel mondo. Non era prevedibile che dall’Inghilterra arrivasse qualcosa di così dirompente. Normalmente le musiche pop europee erano considerate sottoprodotti di quello che in America già si faceva, e si faceva meglio. Qualcosa di simile era stato operato (proprio quell'anno) dagli italiani in campo cinematografico con il genere americano per eccellenza: il western. Sepolte, come già in Inghilterra, fra annotazioni di costume e varia umanità, le osservazioni tecniche sull’«invasione» beatlesiana, così presto etichettata, sono per lo più negative. Musicalmente, scrivono settimanali di grande diffusione quali Time e Newsweek, il gruppo è «quasi un disastro», i versi dei brani «una catastrofe», le esecuzioni «sorprendentemente ripetitive», «più efficaci da vedere che da sentire». Non in tutti gli Stati Uniti i Beatles ricevettero un’accoglienza ugualmente calorosa. I benpensanti bianchi sudisti, che li reputavano forestieri effeminati e zazzeruti venuti da fuori a traviare l’innocente gioventù americana, non digerirono il rifiuto di suonare dinanzi a un pubblico razzialmente segregato. La stampa colta rimase notevolmente sdegnosa, trovando “barbara” la musica del gruppo e “illetterati” i testi delle canzoni, mentre l’industria della musica pop ovviamente temeva la prospettiva di ritrovarsi antiquata da un giorno all’altro. A tal proposito, molti artisti già affermati cercarono di adeguarsi alla «British invasion» di quei gruppi inglesi meno noti che presto cominciarono a riversarsi negli Stati Uniti a seguito. Alcune di queste reazioni negative erano giustificate. Tommy James, una popstar che si interessava anche alla produzione discografica, riteneva che buona parte del primo repertorio discografico dei Beatles fosse mal registrato; e in effetti, rispetto agli standard americani, lo era. Anche se "I want to hold your hand" (la prima canzone dei Beatles a essere registrata in autentica stereofonia col nuovo banco a quattro piste di Abbey Road) suonava meglio della maggior parte dei precedenti dischi del gruppo, appariva primitiva a confronto con le produzioni discografiche degli studi di registrazione americani: era scarsa nella risposta dei suoni bassi, e il suono della voce era aspro. Originally posted in:
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La colpa è stata addossata ad un 71enne di sinistra che ha compiuto l'atto criminale, ma sicuramente dietro ci sono gli americani, dato che il Primo Ministro è molto amico di Putin.

Il provvedimento del Governo in materia di lavoro ai giovani mi trova molto discorde.
Si incentivano le imprese ad assumere solo giovani del Sud, creando di pari passo disoccupazione dei giovani al Nord. Soprattutto è un provvedimento incostituzionale, dato che crea differenze e disparità tra cittadini.
Semmai dovevano incentivare le assunzioni imponendo pari percentuali di occupazione in tutto il territorio nazionale, isole comprese.
Quando la classe politica è ignorante e incapace, e non mi riferisco solo a quella di Governo, ma a tutto l'arco parlamentare accade questo orrore.
Occorrono nuovi politici, preparati e soprattutto che amino l'Italia e siano disposti a sacrificarsi per essa.
“Quello che sta avvenendo a Gaza è come se noi, per catturare Matteo Messina Denaro, avessimo raso al suolo la provincia di Trapani, anzi è peggio, perché mentre lui non si è mai mosso dalla provincia di Trapani, i capi di Hamas di certo non sono a Gaza.
Eppure, per comprendere la complessità del conflitto senza ridurla a sterili tifoserie, studiare la storia è un elemento essenziale: “È ovvio che se ci fermiamo all’istantanea degli ultimi sei mesi, con il massacro e i crimini di guerra di Netanyahu e del suo esercito ai danni della popolazione di Gaza, tutte le ragioni del mondo sembrano essere solo da una parte, ma le cose sono più complesse di come sembrano.
È difficile immaginare quali possano essere le vie d’uscita da questo conflitto fino a quando non emergeranno figure che sappiano ‘andare oltre se stessi’ come avvenuto in Sudafrica quando si mossero i primi passi per smantellare l’apartheid.
È ovvio che ci siano proteste se pensiamo che a Gaza si contano 35 mila morti in sei mesi, su due milioni e mezzo di abitanti, quasi tutti civili e bambini. Per fare un paragone basti pensare che in due anni e due mesi in Ucraina ci sono state 10.000 vittime civili su 40 milioni di abitanti, eppure a Netanyahu nessuno osa dire nulla e nei confronti di Israele non è scattata ancora nessuna delle sanzioni che hanno colpito i russi a poche ore dall’aggressione.
Quindi la rabbia è perfettamente comprensibile, rimarca il direttore del Fatto, “però oltre alla rabbia bisognerebbe studiare la storia, per capire come siamo arrivati fin qui è come se ne può uscire”.
cit. Marco Travaglio
"I' mi son un che, quando
Amor mi spira, noto, e a quel modo
ch'e' ditta dentro vo significando"

Purgatorio, canto XXIV

Per me, la scrittura è questo e credo che i miei due amori, Dante e San Giovanni apostolo, la rappresentino alla perfezione.

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