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La rielezione di Ursula von der Leyen a presidente della Commissione Europea è un'altra tessera di un mosaico che incomincia a prendere forma. Manca l'ultima tessera, la vittoria di Trump alle presidenziali di novembre. Il copione prevede una polarizzazione politica esacerbante: da un lato le lacrimose vedove di Biden, i diafani e dogmatici stregoni del Green Deal, dall'altro il rude magnate che se ne infischia altamente dell'impatto ambientale e vuole darci dentro con i combustibili fossili. Saranno anni di muro contro muro. Il governo americano, animato dal proposito di tornare grande, e la marmellata burocratica europea, prodiga di premure verso l'unico pianeta a nostra disposizione – da preservare a qualsiasi prezzo, anche a costo di diventare piccini fino a scomparire – sembrano programmati per urtarsi a vicenda. A Est, Ursula lascerà cronicizzare le ferite e si rifiuterà di placare le tensioni con la Russia di Putin. Non a caso la sua rielezione è stata anticipata dalla scelta, eloquente e scriteriata, di affidare le chiavi della diplomazia all'estone Kaja Kallas, figlia di un finto dissidente antisovietico. In Medio Oriente, in teoria il fianco sud-orientale dell'Unione Europea, i rapporti con Israele potrebbero rimanere freddi a causa dell'ipocrita sostegno pro forma concesso da alcuni soci UE alla Palestina. Tuttavia questo non prelude a una possibile ricucitura degli strappi con l'Iran. I burocrati di Bruxelles, si sa, antepongono i “diritti umani”, questi odiosi sassolini nell'ingranaggio delle relazioni internazionali, al sano realismo. Con la Cina sprazzi di distensione si alterneranno ai prodromi di una devastante guerra commerciale e forse diplomatica.
Non sarà unicamente il culto superstizioso dei diritti umani a regolare l'operato degli eurofessi con l'Estremo Oriente bensì un protezionismo blando e in forte ritardo. Quello che abbiamo descritto è il cordone sanitario che le demenziali élite europee hanno innalzato attorno a noi e attorno a loro stessi. Arriveremo al 2029 emarginati e segregati, estraniati dai nascenti poli alternativi, chiusi in uno splendido e salatissimo isolamento.
A Trump l'andazzo conviene, e a quanti sperano che possa favorire la destra dura e pura ricordo che il suo uomo di fiducia in Italia era, e probabilmente resta, Giuseppe Conte.
Il trumpismo prossimo venturo regalerà magre consolazione, come la Microsoft che dà l'ostracismo alle squallide consuetudini woke. Nel frattempo, i gran visir del biglietto verde spazzoleranno senza misericordia i nostri risparmi attraverso tasse, vampate inflazionistiche e dissennatezze ideologiche propugnate da un branco di garzoni allevati nelle accademie anglosassoni (LSE, MIT) a pane e teorie malthusiane. Si profila un disastroso Europa vs Resto del Mondo, l'atteso remake dell'intramontabile classico realizzato negli anni Quaranta del secolo scorso. Al momento, siamo tornati al 1942.

LE DUE MANINE. Il brillante stratagemma anglo-ebraico delle “due manine” funzionò a meraviglia nel periodo tra le due guerre, e sta funzionando discretamente anche stavolta. I custodi del salvadanaio di Wall Street, con la manina sinistra aiutarono la Russia bolscevica a industrializzarsi intensivamente, mentre con la manina destra finanziarono l'ascesa dei fascismi, principalmente il riarmo della Germania nazionalsocialista. Esattamente come allora, al giorno d'oggi la manina sinistra regge la baracca “globalista”, la manina destra aiuta i “sovranisti” a tentare di buttarla giù. In mezzo, una parata di intellettuali, celebrità, opinion leader, nani e ballerine intenti a strizzare l'occhio ai due schieramenti. Ieri erano Lindbergh, Pound, Henry Ford, il “camerata Roosevelt” tratteggiato da Pennacchi in Canale Mussolini e lo stesso Churchill (sì, lo smascheratore dei 40 milioni di fascisti riscopertisi antifascisti: il primo a ritrattare fu proprio lui) a tifare per i regimi autoritari di destra, mentre Hemingway (noto cantore dell'Armata Rossa) e il tycoon Armand Hammer parteggiavano per i rossi. Nel tempo presente, se Musk, Peter Thiel e Steven Seagal se la tirano da sovranisti e civettano coi filorussi, il brizzolato George Clooney, Soros padre e figlio, il farsesco Klaus Schwab che tiene in bella mostra la statuetta di Lenin e l'instancabile untore planetario Bill Gates spiccano nel pantheon dell'internazionale progressista. Che si tratti di schiette passioni politiche o meno, di tendenze ideali forse inderogabili in un determinato periodo storico, ci cale poco. L'importante è che Atlantide, attraverso l'abile lavorio delle manine e un mirabolante campionario di trucchi e trucchetti (saltafossi, trattati usa e getta, promesse suadenti raramente mantenute, alleanze di comodo) conservi il salvadanaio, la grande cupola finanziaria che muove i fili dei vari pupi che si agitano sulla scena. Leggete le dichiarazioni di Tajani ("abbiamo confermato Ursula per timore dello spread e del caos") e poi chiedetevi: perché la cupola punta su Ursula mentre oltreoceano si sta rassegnando a un secondo mandato di Trump? Oltretutto, se nel 2020 hanno falsificato le elezioni, potrebbero falsificarle anche quest'anno. Vedremo. In ogni caso, gli atlantidei sono veramente a un passo dal riesumare la Gloriosa Alleanza Antifascista del 1941-45, coi verdi, i popolari e i socialisti al posto delle camicie nere e brune. Una volta sciolta l'ormai anacronistica NATO, Washington, Londra, Mosca e Parigi avrebbero il destro di sferzare a suon di bombe e missili la Germania, l'Italia e i relativi satelliti, nazioni ormai pressoché disarmate, mal condotte da cleptocrazie alla deriva e abitate in maggioranza da persone totalmente disinteressate e inconsapevoli. Solo il buonsenso e la memoria storica dei governanti russi e le residue teste pensanti come Fico e Orban possono scongiurare un simile scenario. Ma per quale motivo Atlantide dovrebbe annientarci? Perché: N.1 deve assolutamente cancellare una parte dei suoi creditori e N.2 deve privare i cinesi di un mercato sostanzioso e di una notevole fonte di profitti. La vecchia e decadente Europa, una volta soppressa, tornerà il “Continente selvaggio” (titolo di un bel saggio di Keith Lowe) del 1945-46, una distesa di macerie brulicante di profughi smunti e cenciosi. Questo è il vero Grande Reset ideato dai signori del denaro e dai padroni universali, l'ultima spiaggia per provare a ridimensionare lo sfidante con gli occhi a mandorla.
E ci stanno riuscendo; mancano pochi passi al traguardo. Chapeau, vaccari e nasoni. Capite perché respingo al mittente l'etichetta di “sovranista”? Capite perché ripongo zero fiducia e zero speranze nelle destre talmudiche che sdoganano la sodomia, che secondo Jordan Bardella fa parte dello spirito del tempo? Capite perché mi definisco un patriota italiano ed europeo forsennatamente conservatore, ma di un conservatorismo di tipo prussiano-mediterraneo e non anglosassone. Il mio conservatorismo, badate bene, non è liberale, poiché il liberalismo è una prassi che si adatta alle epoche fortunate, pacifiche, poco o punto interessanti. Ragion per cui, da ora in avanti il mio motto sarà: né “globalismo”, né “sovranismo”.

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Caligorante
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