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Chi oggi ne canta gli elogi per il gesto rivoluzionario della rinuncia al Ministero Petrino (non chiamatele "dimissioni". Non era un amministratore delegato) lo ha odiato quando era sul Trono di Pietro. Era il "cardinale Rottweiler". Era stato calunniato tramite presunte foto "naziste" rivelatesi poi grossolani fake. Benedetto XVI è stato odiato perché rappresentava un'anomalia, un'alterità insopportabile al totalitarismo della modernità, con il quale non aveva mai cercato compromessi. A differenza di Wojtyła, conservatore che però, per attrarre i giovani, aveva ceduto su alcuni punti (le messe rock e similia) Benedetto aveva cercato di riportare tutto sui giusti binari.
È stato l'ultimo filosofo medievale. E questo va inteso come un complimento. Dite alla signora Murgia che parla di "semplicismo cattolico", che la filosofia cattolica medievale è estremamente complessa: basta trovarsi davanti un tomo della Summa Theologiae di San Tommaso d'Aquino. Ma basterebbe pure aver letto qualche canto della Divina Commedia: sarebbe programma scolastico.
A quella tradizione si rifaceva Benedetto XVI. Che già dal nome pontificale si discostava dai Giovanni, dai Paoli e dai Franceschi richiamandosi al fondatore della cultura europea, il trait d'union tra classicità e medioevo.
E chi ignora, come noi moderni, la grandezza del Medioevo definisce "rivoluzionari" gesti come la rinuncia al Pontificato, cosa non inedita e avvenuta più volte nel Medioevo (il caso più noto, quello di San Celestino V).
Benedetto XVI ha anche sottolineato come "Chi si inginocchia davanti al Crocifisso non si inginocchia davanti ad alcun potere terreno, per forte che sia". Anche questo si richiama alla grande tradizione di San Tommaso d'Aquino che ritiene sacrosanta la disobbedienza al governante ingiusto senza escludere il tirannicidio.
Se ne è andato l'ultimo grande pensatore, in un'era di declino culturale non solo occidentale, ma mondiale.
E la sua grandezza stava proprio nel fatto che non era "moderno"

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Andrea Sartori
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