Se Ursula von der Leyen fosse una donna politica di razza e non una squallida lobbista al soldo delle multinazionali statunitensi, ci avrebbe risparmiato questo confiteor melenso e tardivo. Quella che lei definisce “dipendenza da Pechino” è stato un tentativo goffo, sicuramente involontario e in definitiva abortito di svincolarsi dalla ben più soffocante e perniciosa dipendenza da Washington. Dipendenza, quest'ultima, che non ha mai impensierito il carrozzone sovranista, gentaglia che ha qualche difficoltà a inquadrare i reali rapporti di forza. Anzi, i cosiddetti patrioti vorrebbero aggravare la dipendenza da Washington e dai suoi avatar globalisti, consegnarla all'eternità trasformando l'intero continente in una sorta di grande Argentina che va avanti a default e salvataggi che non salvano. Perché i sovranisti, dal più rosso al più nero, non vogliono un'Europa che lavori per gli europei, bensì un'Europa che lavori per gli americani e la chimera chiamata Occidente. I sovranisti mirano a cedere tutta l'industria residua, i risparmi e il surplus (Bessent dixit) ai potentati d'oltreoceano. Essi sognano l'Europa pollaio “conservatrice”, governato da galline use a obbedir starnazzando come la lesbica di AfD, la Marine pollastra di Francia e Giorgia, la bionda della Garbatella che recita la commedia della Grande Statista.