"Sappia qualunque il mio nome domanda

ch'i' mi son Lia, e vo movendo intorno

le belle mani a farmi una ghirlanda.

Per piacermi a lo specchio, qui m'addorno;

ma mia suora Rachel mai non si smaga

dal suo miraglio, e siede tutto il giorno.

Ell'è d'i suoi belli occhi veder vaga

com'io de l'addornarmi con le mani;

lei lo vedere, e me l'ovrare appaga."




Guidato da Virgilio e, per un tratto, anche da Stazio, Dante è in procinto di entrare nel Paradiso Terrestre. Ha superato tutte le cornici e manca poco all'incontro con Beatrice.
I tre poeti decidono di sostare, per la notte, sugli scalini che conducono in cima al monte. Dante si perde a guardare le stelle e, dopo poco, avvinto dal sonno, sogna.
Come molti altri sogni fatti in precedenza, anche questo anticipa ciò che incontrerà più avanti.


Il Sommo si ritrova in una landa colma di fiori e, qui, vede una donna "giovane e bella".
È Lia, una delle mogli di Giacobbe.
Giacobbe aveva due mogli, Lia e Rachele e lavorò presso il loro padre per diversi anni per ottenere la mano di entrambe.

Tradizionalmente, Lia non era molto bella, ma era feconda; Rachele invece era bellissima, ma sterile.
Entrambe le donne rappresentano i due modi della vita spirituale ed è la stessa Lia a dirci, nei versi che ho scelto di riportare, quale tipo di vita rappresenti.

Non è un caso che sia Lia a parlare, a spiegare, a descrivere ciò che lei sta facendo. Il fare è proprio della sua figura, perché è lei a rappresentare la vita attiva.
Di Rachele sappiamo per mezzo di Lia, perché la vita contemplativa è invisibile al mondo, benché stimata "migliore" nella tradizione cristiana.

È interessante la figura della specchio e quanto entrambi i modi di vivere la Fede - nel mondo o nel silenzio del proprio cuore - vengano rivendicati nella loro peculiarità e nel loro valore.
Lia sente di non poter - e di non dover! - essere come la sorella Rachele e afferma:
"per piacermi allo specchio, qui m'addorno".
Rachele, ugualmente, "non si smaga dal suo miraglio", cioè non si distoglie dal suo riflesso.
E ancora:
"Ell'è d'i suoi belli occhi veder vaga

com'io de l'addornarmi con le mani;
lei lo vedere, e me l'ovrare appaga."


Lo specchio altro non è che lo specchio dell'anima. Sappiamo che, nel Medioevo, esisteva la tradizione dello "speculum", ovvero il trattato di mistica attraverso cui il mistico comunicava l'esperienza di Dio. A tal proposito, vi raccomando la lettura dello Specchio delle anime semplici di Margherita Porete, che ho recensito in un precedente articolo.

In Rachele, questa esperienza è vissuta nella pura contemplazione dei suoi "belli occhi" nello specchio dell'anima.
Gli occhi dell'essere umano, infatti, sono un potente veicolo per la realtà divina, perché in essi risplende la stessa luce di Dio. Quando Rachele si guarda allo specchio, non vede altro che Dio.
Ma, anche per Lia, lo specchio è importante, perché è nell'operare, nel farsi strumento di Dio nel mondo, che lei può piacersi allo specchio. È in quella dimensione che può, realmente, fare la volontà di Dio.

Spesso pensiamo di non andar bene nel nostro modo di essere, magari siamo convinti di fare una professione che mal si accorda con l'ideale di una vita spirituale, di dover necessariamente cambiare qualcosa nella nostra vita.
Ma procedere con sincera intenzione nel percorso, porta a includere il nostro modo di essere nel percorso stesso. Se scriviamo, la nostra attività si orienta in direzione del percorso spirituale, così se dipingiamo, se studiamo matematica, se siamo medici.
La figura di Lia, più vicina a noi esseri umani del ventunesimo secolo, ci aiuta a capire che, nel nostro stare al mondo, possiamo comunque specchiarci negli occhi di Dio.

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Mina Vagante
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