Vi sarete tutti imbattuti in quei meme in cui una ragazza coi tatuaggi e i capelli colorati si contrappone alla ragazza bionda con la faccia pulita e il vestito romantico.

Oppure quelli in cui dei ragazzi palestrati si contrappongono ad altri o troppo magri o obesi.

Queste rappresentazioni caricaturali comunicano due mondi diversi, che portano avanti visioni opposte della società. Da una parte, i woke paranoici; dall'altra, i tradizionalisti conservatori.

Posto che mi ritrovo nel versante tradizionale, mi perplime l'ossessione che certe frange del tradizionalismo abbiano nei confronti dell'estetica del corpo.

Per queste persone, le immagini dei meme non sono pure semplificazioni, ma la realtà dovrebbe corrispondere esattamente a quelle immagini.

Conosco una donna, che potrebbero tranquillamente beatificare per quanto risplende di luce divina, che, secondo questa visione superficiale, non potrebbe rappresentare il fronte tradizionale semplicemente perché ha tanti tatuaggi e - orrore! - fa la tatuatrice.

Io stessa non sono una taglia 40 e non ho un profilo greco, ho già superato i trent'anni e non ho ancora figli. Secondo questi tradizionalisti, per cui non conta il vissuto personale, ma solo l'immagine visibile della vita di una persona, avrei tutte le carte in regola per stare dall'altra parte della barricata. Nella quale, probabilmente, ci sono altrettante sfumature non prese in considerazione.

Il punto è che lo sguardo della persona che afferma di seguire la Tradizione, che io chiamo Dio, non può irrigidirsi in un atteggiamento conservatore. La Tradizione è dinamica, "lo spirito soffia dove vuole" e, a fronte di tutti gli ideali di esistenza che possiamo creare nella nostra mente, il contatto più importante resta quello con la realtà nella quale Dio si manifesta. E questa realtà possiamo toccarla pienamente alla radice della nostra sofferenza, che è la stessa che possiamo trovare nel prossimo.

Chi segue la Tradizione non può essere un fariseo, non può fermarsi a tanta superficialità. Deve andare a fondo, deve cercare il cuore dell'altro, di suo fratello e di sua sorella, e rispecchiarsi in esso. Il volto del nostro prossimo è quello di Cristo, perché anche il nostro volto è quello di Cristo. E in questo gioco di specchi, ci si ricongiunge all'umano, attraverso cui si può arrivare al divino.

Ma bisogna andare oltre il velo dell'apparenza, che è poi quella che alimenta la distanza e il pregiudizio.

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Mina Vagante
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