La morte di Benedetto XVI ha fatto emergere due fazioni contrapposte: da una parte, chi lo considerava un freno importante, un katéchon, alle derive moderniste; dall'altra, chi non gli perdona certi atti che hanno ulteriormente indebolito l'autorità della Chiesa.
Vorrei discostarmi da questi giudizi di parte per guardare a ciò che ha rappresentato Benedetto XVI e a ciò che rappresenta la sua morte. Vorrei ricordare due avvenimenti in particolare, che un tempo sarebbero stati interpretati da sapienti auguri.
Il primo è il celebre fulmine che ha colpito San Pietro il giorno in cui Benedetto ha dato le dimissioni.
Il secondo è un parallelismo tra due gesti identici: Benedetto libera una colomba, tradizionale simbolo cristiano, che viene attaccata da un gabbiano. In quell'occasione, la colomba riesce a svincolarsi dall'attacco.
Francesco I, durante il suo pontificato, libera ugualmente una colomba, la quale viene attaccata contemporaneamente da un gabbiano e da un corvo. La colomba viene uccisa in volo, sotto gli occhi di tutta la folla presente.
Corvo e gabbiano sono simboli oscuri per la tradizione cristiana, in quanto legati al male e alla morte.
Non sbaglia chi riconosce in Benedetto un katéchon, ossia un argine al "fumo di Satana" penetrato all'interno della Chiesa, ma si potrebbe dire nel cuore della spiritualità europea. Più in piccolo, in questi anni sono morti diversi maestri spirituali, tutti piccoli kathekonta che hanno operato per costruire i cosiddetti "piccoli resti", dai quali, secondo la tradizione e secondo anche le parole dello stesso Benedetto, si ripartirà per istituire una nuova Chiesa. Non più istituzionale, più piccola e povera, probabilmente più simile a quella delle origini.
Per interpretare il simbolo, bisogna andare al di là della dimensione umana di chi lo incarna, per questo non credo sia saggio essere ipercritici sulla figura di un uomo come Benedetto. Basterebbe ascoltare una qualsiasi delle sue interviste per riconoscere la pasta di cui era fatto, per capire quale ruolo abbia avuto su questa terra.
È questo ciò che dobbiamo fare tutti noi, domandarci: che ruolo abbiamo in questa battaglia? E qualunque esso sia, anche se in apparenza poco incisivo, portarlo avanti e rispettarlo fino alla fine. Non è un compito puramente personale, ma che andrà ad incidere sulla comunità. Dal piccolo al grande, in un'interconnessione a cui non si può sfuggire.
Benedetto ha fatto ciò che era chiamato a fare e nessuno può dire che il suo compito sia terminato. La sua morte ci ha lasciato un'importante indicazione, ma non è la fine del mondo.
Finché ci sarà anche un solo piccolo hobbit nella Terra di Mezzo (per dirla con Tolkien), niente è perduto.
Vorrei discostarmi da questi giudizi di parte per guardare a ciò che ha rappresentato Benedetto XVI e a ciò che rappresenta la sua morte. Vorrei ricordare due avvenimenti in particolare, che un tempo sarebbero stati interpretati da sapienti auguri.
Il primo è il celebre fulmine che ha colpito San Pietro il giorno in cui Benedetto ha dato le dimissioni.
Il secondo è un parallelismo tra due gesti identici: Benedetto libera una colomba, tradizionale simbolo cristiano, che viene attaccata da un gabbiano. In quell'occasione, la colomba riesce a svincolarsi dall'attacco.
Francesco I, durante il suo pontificato, libera ugualmente una colomba, la quale viene attaccata contemporaneamente da un gabbiano e da un corvo. La colomba viene uccisa in volo, sotto gli occhi di tutta la folla presente.
Corvo e gabbiano sono simboli oscuri per la tradizione cristiana, in quanto legati al male e alla morte.
Non sbaglia chi riconosce in Benedetto un katéchon, ossia un argine al "fumo di Satana" penetrato all'interno della Chiesa, ma si potrebbe dire nel cuore della spiritualità europea. Più in piccolo, in questi anni sono morti diversi maestri spirituali, tutti piccoli kathekonta che hanno operato per costruire i cosiddetti "piccoli resti", dai quali, secondo la tradizione e secondo anche le parole dello stesso Benedetto, si ripartirà per istituire una nuova Chiesa. Non più istituzionale, più piccola e povera, probabilmente più simile a quella delle origini.
Per interpretare il simbolo, bisogna andare al di là della dimensione umana di chi lo incarna, per questo non credo sia saggio essere ipercritici sulla figura di un uomo come Benedetto. Basterebbe ascoltare una qualsiasi delle sue interviste per riconoscere la pasta di cui era fatto, per capire quale ruolo abbia avuto su questa terra.
È questo ciò che dobbiamo fare tutti noi, domandarci: che ruolo abbiamo in questa battaglia? E qualunque esso sia, anche se in apparenza poco incisivo, portarlo avanti e rispettarlo fino alla fine. Non è un compito puramente personale, ma che andrà ad incidere sulla comunità. Dal piccolo al grande, in un'interconnessione a cui non si può sfuggire.
Benedetto ha fatto ciò che era chiamato a fare e nessuno può dire che il suo compito sia terminato. La sua morte ci ha lasciato un'importante indicazione, ma non è la fine del mondo.
Finché ci sarà anche un solo piccolo hobbit nella Terra di Mezzo (per dirla con Tolkien), niente è perduto.