Ad ogni grosso fermento - e la situazione in Francia sembra davvero grave - mi trovo nella scomoda posizione dello "schiattapalloncini", di quelli che, alla maniera di Jep Gambardella, non vogliono partecipare ad una festa ma solo divertirsi a farla fallire. Sono cosciente che questo provoca periodicamente un'emorragia di lettori e di estimatori, ma l'unico mio modo di interfacciarmi col lettore è di seguire la mia coscienza, che mi impone di dire - se le penso - cose che non giovano alla mia "popolarità" e che, dunque, queste rivolte non hanno alcuno sbocco. O peggio, se uno sbocco ci sarà, sarà in direzioni che non saranno affatto gradite. Ma andiamo per ordine.

Nel corso della storia, le rivolte sono cicliche, perché essenzialmente nascono dal presupposto - a volte fondato, a volte no - che "niente" sia peggio della condizione esistenziale che si sta vivendo. Di conseguenza, non di rado, attorno all'identificazione di un malessere si coagulano gruppi di persone che hanno assai poca consapevolezza di quanto il sistema in cui vivono in realtà sia adattato perfettamente alle loro caratteristiche. Questo è il caso delle rivolte francesi di questi giorni, fu il caso delle manifestazioni di Trieste e di Napoli, fu il caso delle rivolte schiavistiche dei tempi dell'Impero Romano. Rivolte che il più delle volte non ottengono nulla se non rendere famosi emeriti signori nessuno ma che alla fine si concludono con un nulla di fatto.
La rivoluzione è invece qualcosa di molto più profondo. Consiste nella profondissima conoscenza del sistema in cui si vive, nella consapevolezza che per poter riuscire bisogna sostituirlo con una società che sia migliore di ciò che si vuole sostituire. E' in questi momenti che ci si accorge che una rivoluzione può riuscire soltanto se ha l'appoggio di una classe di borghesi illuminati, che conoscono le storture del sistema da rovesciare e sanno come sostituirlo, e soprattutto se si è in grado di dare da mangiare a chi dovrebbe lottare col rivoluzionario. E il problema di fondo è che l'Europa non vive ancora in quella fase della miseria tale da comprendere la necessità di una rivoluzione.

Questo aspetto, di fondamentale importanza, spiega il mio scetticismo. Quando molti rinfacciano la mia incoerenza in merito al fatto che da una parte io sono convinto che non se ne esca con le buone e dall'altro io dubiti delle rivolte, non si rendono conto che io non sto teorizzando la possibilità di un'uscita istituzionale della situazione né tantomeno che non occorra l'uso della forza. La differenza sta in come la si usa e soprattutto quando. Se immaginiamo un tumore al primo stadio ma sintomatico e un tumore letale ma asintomatico fin quando non arriva ad uno stadio tale che ormai non si può più far nulla, la differenza è chiara: nel primo caso, il tumore non ha saputo invadere il corpo umano senza mostrare dei segni della sua presenza. Nel secondo caso, il tumore si è diffuso silenziosamente senza essere rilevato.
Le rivolte assomigliano ad un tumore al primo stadio ma sintomatico: il governo può reprimerle con estrema facilità. Una rivoluzione, viceversa, i sintomi li dà eccome, soltanto che li dà quando ormai il "cancro" rivoluzionario ha preso possesso di tutte le istituzioni senza che ci si possa far nulla. Viceversa, una rivoluzione non assalta la borghesia come sta avvenendo in Francia, distruggendo macchine, case, facendo casini e consentendo alle classi dirigenti di poterla soffocare nel sangue, ma infiltra silenziosamente i centri del potere, i giornali, le banche, per poi muovere l'assalto finale quando ormai tutto il sistema è contaminato e le difese immunitarie (polizia, esercito) non possono far più nulla per resistere. Se pensiamo, per esempio, alla rivoluzione francese, quella russa, quella americana, ci renderemo conto furono condotte da gente colta e che conosceva il sistema da rovesciare e come sostituirlo. La stessa ascesa del nazismo fu condotta da gente che sapeva benissimo che il vero nerbo del nazionalsocialismo erano imprenditori e proprietari di casa che sapevano che da lì a breve avrebbero perso tutto perché i bolscevichi gliele avrebbero requisite, quindi prima infiltrarono gli spartachisti, i quali si misero ad occupare case e aziende, fin quando proprietari e imprenditori si ritrovarono dal nulla le camicie brune pronte a ridar loro quello che gli era stato tolto, col risultato di tributare loro eterna fedeltà. Quando sostanzialmente Von Hindeburg cercò di far fuori Hitler, si rese conto che quest'ultimo aveva già contagiato tutto il sistema e che quindi la partita era persa.

Per sintetizzare, le rivolte sono un tumore al primo stadio, rumoroso, doloroso ma facilmente estirpabili. Le rivoluzioni sono un cancro che rivela i suoi sintomi solo alla fine, quando ormai tutto il sistema è infettato e non può più reagire. O, meglio ancora, un tumore di cui ci si accorge solo con l'autopsia dopo un malore improvviso, come non di rado avviene.

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Stranamente le ambasciate anglosassoni non le sfiora mai nessuno, in Europa. In compenso devastano i beni dei cittadini e dello Stato francese.
 
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Franco Marino
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