La massima fortuna per un uomo medievale era nascere primogenito e figlio di un nobile possidente. Era quindi un destino per pochi, perché le famiglie avevano una media di dieci figli ognuna e l'eredità - tutta, tutta - era solo per il maggiore. Maschio ovviamente.
Che fine facevano i figli cadetti? Dovevano tentare la carriera di cavaliere e porsi al servizio di un signore. Costituivano la cosiddetta piccola cavalleria e dovevano dimostrare, tramite il servizio, che erano utili alla società.
L'amor cortese nasce proprio in seno a questa necessità, poi trasformata in virtù. Il signore presso cui si prestava servizio aveva certamente una signora e il cavaliere che si innamorava di lei e decideva di prestare il servizio d'amore, non solo dimostrava di essere utile, ma anche nobile d'animo. E la nobiltà d'animo conquistata dal cavaliere assumeva lo stesso valore delle terre ereditate dal primogenito, perché era il servizio stesso alla dama a dargli un riconoscimento sociale, quindi un valore legittimo agli occhi della corte.

Sicuramente abbiamo tutti in testa l'immagine del cavaliere valoroso che sconfigge il drago per liberare la principessa e meritarla come sposa, oppure quella del cavaliere della tavola rotonda che parte alla ricerca del Graal; tutte queste avventure mettono in luce due aspetti della cavalleria: il primo ci dice che il titolo di cavaliere va conquistato. Non basta stare a corte e ricevere il favore della dama, ma bisogna mostrare a tutti il proprio coraggio e la propria capacità di proteggere i più deboli, di difendere il villaggio dai pericoli, di far fronte alle avversità. Il secondo aspetto è simbolico e rimanda ai riti di iniziazione che i giovani dovevano affrontare per essere ammessi alla vita adulta. Se ci fate caso, nei romanzi cortesi, come quelli di Chrétien de Troyes, si parte da una situazione di stasi e di immaturità del cavaliere protagonista, poi accade qualcosa che turba la quiete iniziale ed è a questo punto che il cavaliere inizia il suo viaggio avventuroso per risolvere il problema. Come ogni guerriero che si rispetti, non parte certo sulla spinta di un afflato altruistico, ma per il desiderio di gloria personale. Sarà durante il viaggio e attraverso le peripezie che il nostro eroe si misurerà con se stesso, i suoi vizi, le tentazioni, le difficoltà. La sua tempra verrà passata nel fuoco e solo allora saprà se merita il suo nome. È la conquista del nome, ossia dell'identità, la vera impresa del cavaliere.
È da sottolineare che ciò è subordinato al servizio della dama. È alla dama che il cavaliere deve rendere conto. Perché questo?

Spesso si sottolinea il legame platonico tra dama e cavaliere, forse pensando più al Dante della Commedia che alla materia bretone, un Dante che aveva ampiamente superato l'amore carnale per l'angelo Beatrice.
Ma che amore è quello che il cavaliere prova per la moglie del suo signore? Anche in questo caso, è un sentimento che va letto su più livelli. Abbiamo testimonianze scritte di un amore carnale, in cui il cavaliere amante afferma esplicitamente il suo desiderio, molto poco spirituale, per la donna amata. Quindi non si può parlare di un sentimento puramente platonico. Tuttavia, se si prende in considerazione l'intero rapporto dama - cavaliere, soprattutto in riferimento al valore formativo dello stesso, possiamo fare un'altra riflessione. La dama è generalmente più grande del suo spasimante, oltretutto si trova in una posizione di dominio ed è attraverso lei che il cavaliere conosce l'amore e impara ad amare. Ad amare totalmente, senza alcuna aspettativa di essere riamato. In primis, perché la dama è già coniugata; poi è proprio la tensione di un amore non corrisposto ad alimentare il servizio d'amore.

Stanti le condizioni precedenti, si potrebbe mettere in relazione la figura della dama con quella della madre, senza implicazioni freudiane di sorta. Nei primi anni di vita, infatti, il bambino è in stretta relazione con la madre, che è la prima educatrice dell'individuo in formazione. Analogamente, il cavaliere cresce e matura sotto la supervisione della dama, che lo aiuta ad orientarsi nelle sue scelte e a nobilitarsi tramite il servizio d'amore, facendo sì che conquisti la sua identità e divenga uomo, pronto a entrare nel mondo degli uomini.
Cos'è allora l'amore? Si parla spesso dell'amore materno come dell'amore incondizionato per eccellenza e ognuno di noi può fare esperienza di questo assunto tramite le madri conosciute nella quotidianità. Io stessa potrei portare diversi esempi di madri che danno grandi lezioni d'amore. Ecco, questo donarsi all'altro così come la madre si dona al figlio è ciò che viene trasmesso dalla dama, è l'educazione che la dama impartisce al cavaliere, lo sprona a servire il prossimo, a donare se stesso, il proprio coraggio, le proprie energie, al servizio dell'altro, indipendentemente dalle aspettative e ambizioni personali.
"Compi la tua azione senza badare ai frutti" insegna Krishna ad Arjuna. E questa è tra le lezioni più importanti di tutte, perché ognuno di noi ha un'impresa da compiere, ma spesso la paura, l'incertezza, le proiezioni mentali bloccano l'azione fluida, quella dharmica, che risponde a ciò che dobbiamo fare nella nostra vita. Aggiungerei: "compi la tua azione con amore", perché è questo il sale che ci consente di assaporare la verità della nostra esistenza.

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Mina Vagante
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