In questi giorni, ho letto una serie di notizie e commenti a queste che mi hanno portato a riflettere su ciò che noi donne dovremmo avere chiaro: cosa sia la femminilità.
Il coro di neofemministe e fauna woke varia griderebbe che la femminilità è un costrutto sociale composto di stereotipi di stampo patriarcale che ci dicono come dovrebbe essere una donna. E che non vanno bene per definire una donna, ma sono ottimi per spingere un ragazzino a cambiare sesso, aggiungo io.
Io penso che si abbia un'idea superficiale della femminilità, legata essenzialmente all'estetica: a come una donna si comporta socialmente, come una donna presenta il suo corpo, se più o meno curato, se si trucca etc.
Ma c'è una femminilità essenziale che è stata posta ai margini, perché non ci rende performanti e moderne. Anche quando ci si apre verso i suoi aspetti fondamentali, lo si fa con una concessione alle esigenze del nostro tempo.

La vicenda della piccola Diana e della madre degenere, che l'ha deliberatamente lasciata sola a morire di fame e sete per sei giorni, ha scatenato una comprensibile reazione di biasimo in chi ha appreso la notizia, ma anche dei post che tentavano di analizzare il gesto, fin quasi a fare passare la donna per una povera depressa che, in quanto tale, non aveva piena consapevolezza della propria azione.

È accaduto lo stesso dopo la sentenza americana che sancisce che ogni stato può attuare una sua politica sull'aborto, di fatto aprendo la strada al divieto. Ricordo che mi imbattei nel commento di una ragazza che diceva che quella sentenza era il tentativo di gestire la sessualità femminile, che dovrebbe essere vissuta in piena libertà (che pare coincidere, in questa visione, con la de-responsabilizzazione totale).

Ecco, da fatti simili emerge un dato: le donne non si battono per far valere la propria femminilità, ma per confinarla là dove non può nuocere allo spirito del tempo.
Noi viviamo in un Occidente estremamente individualista, egoista, libertino e schiavo di un'idea di libertà e felicità che coincidono con una vita fatta di una rincorsa ai piaceri fugaci, relazioni e lavori precari e l'illusione di poter vivere bene solo se si è ricchi, affermati e facenti parte di un gruppo "che conta".
In un contesto del genere, alle donne viene detto che bastano a sé stesse, che sono libere di fare ciò che vogliono senza la minima considerazione per le conseguenze delle loro azioni, che i figli sono un problema arginabile e gli uomini il male assoluto. Vuoi essere libera? Investi in una carriera, sii cool come quelle di "Sex & The city" saltando da un uomo all'altro, cura la tua immagine solo se è richiesto dal tuo lavoro, altrimenti grida "Girl Power" e lamentati del bodyshaming se vuoi fare l'influencer.

Cosa c'è della femmina in tutto questo?
La donna è essenzialmente relazione. Lo è perché è madre, compagna, sorella. Se l'uomo è un animale sociale, la donna lo è ancor di più nel momento in cui condivide il suo corpo con quello del bambino, così da essere due in una.
Sì, sono esistite donne assassine, madri assassine, dominate dal "lato ombra" della femminilità, ma oggi questa ombra non viene mostrata nel suo aspetto terribile e, quindi, negativo, ma come un'opzione necessaria nella vita della donna occidentale.
Colei che ha partorito la piccola Diana voleva continuare a condurre una vita da vergine o da sterile, ha rifiutato ciò che il fato le ha dato in dono: un nuovo essere umano di cui prendersi cura, una scintilla divina da amare. Aveva una meraviglia in casa e l'ha scartata per continuare ad andare a letto con l'ennesimo uomo.
Badate, non me la prendo con la libertà sessuale di questa non-madre, ma con l'incapacità di distinguere il vano dal fondamentale, la bellezza dallo squallore.
Una madre formata, ossia una donna che ha accolto la maternità e, di conseguenza, la potenzialità più profonda della femminilità, avrebbe protetto sua figlia, l'avrebbe posta al primo posto, anche prima di se stessa, e non perché è "schiava dei figli", ma perché si pone al servizio del più debole e indifeso.

Scommetto che non l'avevate mai vista in questo modo! Fa figo quando, nei film, è un cavaliere a porsi al servizio dei più deboli, perché questi deboli rappresentano un "altro" generico che non ha alcun rapporto con lui, rappresentano l'umanità verso la quale si deve essere solidali e politicamente corretti. Ma quando è una madre a servire, o lo si dà per scontato oppure è una donna schiava del patriarcato interiorizzato.
Perché? Perché la donna occidentale non deve più porsi nella condizione di creare una famiglia, un nucleo intimo in cui lo stato, il mercato, i filantropi non possono entrare. Uomini e donne occidentali devono essere individui smarriti tra la necessità di creare un nido sicuro e in cui essere pienamente amati per ciò che si è e le sirene del mondo, che li spingono a considerare la libertà come diretta conseguenza dell'egoismo più sfrenato e totale, in cui l'Io - il Mio Io, non quello degli altri - deve essere costantemente appagato.

Perché la femminilità va contro tutto questo? Perché essa è Due, accoglie il prossimo, non si chiude in sé stessa. Sa fare un passo indietro, sacrificarsi, sopportare, lottare e "cum patire" per Amore. Non la favola a lieto fine con l'uomo o la donna perfetti che corrispondono al nostro ideale malato, ma l'amore che abbraccia tutto, anche le parti più sgradevoli e distruttive dell'altro, perché è solo attraverso il perdono - prima di sé e poi dell'altro - che si può operare una vera trasformazione.

Per integrare la femminilità, bisogna aprirsi all'ascolto, all'accoglienza, alla comprensione, alla gentilezza, alla fede.
Che c'entra la fede? Chiederà qualcuno. La fede è fiducia piena, apertura completa di sé senza il timore di ferirsi, pur sapendo che le ferite e le delusioni ci saranno.
La fede è la madre che partorisce nel dolore e nella sofferenza, perché sa che poi vedrà gli occhi e il sorriso di suo figlio.
Oggi abbiamo donne che non vogliono partorire, che temono le doglie del parto, il dolore fisico dell'apertura totale del proprio corpo. Preferiscono un dolore che possono controllare, come quello dell'aborto, alla paura di un ignoto che potrebbe cambiare loro la vita, all'esperienza trasgressiva della fede in qualcosa di più grande.
La paura è normale, è umana, ma nell'essere umano si è sempre rivelato anche lo straordinario, per esempio nel coraggio.
Una leonessa partorisce secondo natura, perché è calata perfettamente nella natura, la sua relazione con l'esterno non è filtrata dalla mente. Noi donne abbiamo l'opportunità di vivere consapevolmente quel momento, ma non c'è più neanche una curiosità vitalistica verso quello. Crediamo di sapere già come andranno le cose, spesso in senso pessimistico, e in base a questa presunzione preferiamo adeguarci alle verità del nostro tempo che ricercare l'essenza della verità stessa.

Ringrazio chi ha letto fino a qui e mi auguro, per le prossime generazioni, donne fiere di esser tali e realmente consapevoli del dono della femminilità.

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Mina Vagante
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