Come già ho scritto altrove, questo non è un periodo facile per me e questo ha turbato alcune persone a me vicine, persone che sono abituate a vedermi come un punto di riferimento, ma soprattutto con un atteggiamento positivo e mite verso la vita.
E questo mi ha riportato a un brano evangelico, uno dei miei preferiti: la cacciata dei mercanti dal tempio.
"Andarono intanto a Gerusalemme. Ed entrato nel tempio, si mise a scacciare quelli che vendevano e comperavano nel tempio; rovesciò i tavoli dei cambiavalute e le sedie dei venditori di colombe 16 e non permetteva che si portassero cose attraverso il tempio. 17 Ed insegnava loro dicendo: «Non sta forse scritto:
La mia casa sarà chiamata
casa di preghiera per tutte le genti?
Voi invece ne avete fatto una spelonca di ladri!».
18 L'udirono i sommi sacerdoti e gli scribi e cercavano il modo di farlo morire. Avevano infatti paura di lui, perché tutto il popolo era ammirato del suo insegnamento."
Nella percezione comune, Gesù è un tipo pacifico, pacato, foriero di un messaggio d'amore e di fratellanza. Poi tiri fuori il passo in cui butta all'aria i banchetti dei mercanti e urla loro contro, oppure quello in cui dice "Io sono venuto a portare la spada" e questa figura "peace and love", avvolta di un'aura di misticismo new age, crolla miseramente.
È inevitabile che sia così, perché il monaco buddhista, il santone indiano o lo stesso figlio di Dio non possono rientrare nello stereotipo dell'asceta che ha anestetizzato la sua vitalità per subire, con un sorriso, le percosse della vita o porgere non una, ma entrambe le guance ai pugni del nemico.
Esiste un furor sacro, una rabbia benedetta che deve essere rilasciata. Mi pare fosse Aristotele a dire che arrabbiarsi è facile a chiunque, ma farlo nel momento e nel modo giusto è arte di pochissimi.
Questo è perché la rabbia può avere due origini: o è rabbia che viene dall'ego o è di quella che viene dal sé. La prima è generalmente distruttiva, mossa da rancore, paura, frustrazione. La seconda trascende la dimensione personale per manifestarsi quale strumento che permette l'azione giusta nel momento opportuno. Immaginate se Falcone non si fosse mai arrabbiato, come avrebbe potuto perseguire la strada della giustizia? Perfino Gandhi, ideatore del concetto di azione non violenta, deve aver provato quella rabbia necessaria a porre le fondamenta per il movimento non-violento indiano contro la dominazione inglese.
Perché Gesù si è arrabbiato, all'ingresso del tempio? Gesù è entrato nella casa del padre e, come Ulisse che trova il banchetto senza fine dei proci nel suo palazzo, vi ha visto i mercanti che ne facevano una "spelonca di ladri". I mercanti vendevano colombe, simbolo dello spirito. Gesù ha attinto al furor sacro per cacciare quei mercanti dello spirito, oggi tornati in auge con la new age, i cartomanti alla Wanna Marchi e i corsi che ti fanno raggiungere l'illuminazione in cinque giorni per un misero contributo di 500 euro.
Di per sé, non è un male provare rabbia, dipende da dove e come la si indirizza. Al di là di questo, è anche indice di autostima.
Per molti anni, ho sempre avuto problemi a manifestare la rabbia e ho ancora degli strascichi di questo. Soprattutto la reprimevo con le persone alle quali volevo bene, nel timore che vedere quella parte di me potesse allontanarle. Tutti hanno sempre associato a me aggettivi come: tranquilla, pacata, buona... Mostrare insofferenza, rabbia, delusione, stanchezza era, per me, estremamente difficoltoso, perché tutte quelle emozioni legittime scalfivano l'immagine di "brava bambina" o di "figlia ideale" o semplicemente di "persona buona" che ero sempre stata per tutti. Venir meno a questa reputazione appiopatami dagli altri, li avrebbe allontanati, almeno così credevo. Poi ho avuto la fortuna di incontrare persone che mi hanno permesso di essere sempre più me stessa, di non essere sempre la versione più gradevole e accomodante di me e, pian piano, ho capito che non erano gli altri a voler limitare il mio comportamento, ma che ero io stessa a voler compiacere quella presunzione.
Ora chi mi vuole bene, pur se si preoccupa di come possa sentirmi, capisce che sono umana, che posso risultare antipatica ad alcuni, ma che ciò non toglie niente all'affetto e all'amore che provo per loro. E l'ho capito soprattutto io, che è ciò che più conta.
E questo mi ha riportato a un brano evangelico, uno dei miei preferiti: la cacciata dei mercanti dal tempio.
"Andarono intanto a Gerusalemme. Ed entrato nel tempio, si mise a scacciare quelli che vendevano e comperavano nel tempio; rovesciò i tavoli dei cambiavalute e le sedie dei venditori di colombe 16 e non permetteva che si portassero cose attraverso il tempio. 17 Ed insegnava loro dicendo: «Non sta forse scritto:
La mia casa sarà chiamata
casa di preghiera per tutte le genti?
Voi invece ne avete fatto una spelonca di ladri!».
18 L'udirono i sommi sacerdoti e gli scribi e cercavano il modo di farlo morire. Avevano infatti paura di lui, perché tutto il popolo era ammirato del suo insegnamento."
Nella percezione comune, Gesù è un tipo pacifico, pacato, foriero di un messaggio d'amore e di fratellanza. Poi tiri fuori il passo in cui butta all'aria i banchetti dei mercanti e urla loro contro, oppure quello in cui dice "Io sono venuto a portare la spada" e questa figura "peace and love", avvolta di un'aura di misticismo new age, crolla miseramente.
È inevitabile che sia così, perché il monaco buddhista, il santone indiano o lo stesso figlio di Dio non possono rientrare nello stereotipo dell'asceta che ha anestetizzato la sua vitalità per subire, con un sorriso, le percosse della vita o porgere non una, ma entrambe le guance ai pugni del nemico.
Esiste un furor sacro, una rabbia benedetta che deve essere rilasciata. Mi pare fosse Aristotele a dire che arrabbiarsi è facile a chiunque, ma farlo nel momento e nel modo giusto è arte di pochissimi.
Questo è perché la rabbia può avere due origini: o è rabbia che viene dall'ego o è di quella che viene dal sé. La prima è generalmente distruttiva, mossa da rancore, paura, frustrazione. La seconda trascende la dimensione personale per manifestarsi quale strumento che permette l'azione giusta nel momento opportuno. Immaginate se Falcone non si fosse mai arrabbiato, come avrebbe potuto perseguire la strada della giustizia? Perfino Gandhi, ideatore del concetto di azione non violenta, deve aver provato quella rabbia necessaria a porre le fondamenta per il movimento non-violento indiano contro la dominazione inglese.
Perché Gesù si è arrabbiato, all'ingresso del tempio? Gesù è entrato nella casa del padre e, come Ulisse che trova il banchetto senza fine dei proci nel suo palazzo, vi ha visto i mercanti che ne facevano una "spelonca di ladri". I mercanti vendevano colombe, simbolo dello spirito. Gesù ha attinto al furor sacro per cacciare quei mercanti dello spirito, oggi tornati in auge con la new age, i cartomanti alla Wanna Marchi e i corsi che ti fanno raggiungere l'illuminazione in cinque giorni per un misero contributo di 500 euro.
Di per sé, non è un male provare rabbia, dipende da dove e come la si indirizza. Al di là di questo, è anche indice di autostima.
Per molti anni, ho sempre avuto problemi a manifestare la rabbia e ho ancora degli strascichi di questo. Soprattutto la reprimevo con le persone alle quali volevo bene, nel timore che vedere quella parte di me potesse allontanarle. Tutti hanno sempre associato a me aggettivi come: tranquilla, pacata, buona... Mostrare insofferenza, rabbia, delusione, stanchezza era, per me, estremamente difficoltoso, perché tutte quelle emozioni legittime scalfivano l'immagine di "brava bambina" o di "figlia ideale" o semplicemente di "persona buona" che ero sempre stata per tutti. Venir meno a questa reputazione appiopatami dagli altri, li avrebbe allontanati, almeno così credevo. Poi ho avuto la fortuna di incontrare persone che mi hanno permesso di essere sempre più me stessa, di non essere sempre la versione più gradevole e accomodante di me e, pian piano, ho capito che non erano gli altri a voler limitare il mio comportamento, ma che ero io stessa a voler compiacere quella presunzione.
Ora chi mi vuole bene, pur se si preoccupa di come possa sentirmi, capisce che sono umana, che posso risultare antipatica ad alcuni, ma che ciò non toglie niente all'affetto e all'amore che provo per loro. E l'ho capito soprattutto io, che è ciò che più conta.