La celebre frase di Julius Evola viene oggi sventolata come simbolo di un'idea ben precisa e di aderenza a certi valori.
In questi giorni, ho avuto modo di rendermi conto dello sfacelo che ci circonda.
Apprendo, tramite la conoscenza di una mia lettrice, che ci sono donne che vorrebbero delegare la maternità a un'incubatrice artificiale per non dover affrontare i dolori del parto.
Il matrimonio viene trattato come un reperto obsoleto e abnorme da una Natalia Aspesi che gioisce della "normalità" del divorzio Totti-Blasi.
Tornare sulle scempiaggini LGBT (ne escono a iosa ogni giorno) sarebbe ridondante, per cui sorvolo.

Badate che non giudico dalla posizione di chi si è sposata e ha avuto presto dei figli. Attualmente la mia situazione sentimentale mi avrebbe indicato come "concubina" in altre epoche e sono giunta ai trent'anni senza aver mai partorito. Non posso quindi rimproverare una condizione simile ad altre donne, benché questa non rientri propriamente nei miei desideri.
Tuttavia ho chiari i tratti del Kali Yuga e a quali rovine si alluda nella massima evoliana.

Credo sia fondamentale mettere in chiaro un punto: la confusione emerge dall'egoismo. È faticosa la gravidanza? Sì, lo è.
È faticoso tenere in piedi un matrimonio? Sì, lo è.
Queste cose sono faticose perché implicano un sacrificio, quello di noi stessi. Dobbiamo votarci totalmente a un figlio, a un compagno di vita, fidanzato o marito che sia. Non è facile, perché un impegno, di qualsiasi genere, implica mettere da parte qualche nostra aspirazione personale, qualche desiderio, qualche trasgressione. Implica non essere più al centro del mondo, dopo che magari abbiamo vissuto nell'illusione di esserlo.
È ancora più difficile nel nostro tempo perché le spinte esterne sono indirizzate in senso egoico. Guardate le pubblicità, i messaggi che lanciano: "tu vali", "tu sei il meglio che ci possa essere e hai diritto al meglio che esista e noi ti offriamo una parte di questo meglio", "tu puoi fare quello che vuoi quando vuoi e nessuno può placare questo tuo desiderio infinito".
Messaggi che generano frustrazione e insofferenza verso i problemi della vita, anche quelli facilmente risolvibili e che non richiedono uno sforzo particolare.
La società ci dice che c'è un solo modello di felicità, che coincide col lusso e con l'assenza di responsabilità e di fatica, e tutti si convincono che è solo a quelle condizioni che si può stare bene al mondo.

Ma la vita è esattamente quella che ritroviamo nella nostra quotidianità, anche se è faticosa e la vorremmo diversa. L'uomo moderno è insoddisfatto perché è consumista nell'animo: si rompe un rapporto e lo butta via. Si imbatte in una difficoltà e molla tutto, non tenta più la via eroica nelle sue molteplici espressioni.

Io ho provato molto sconforto in questi giorni, perché talvolta ci si sente sopraffatti dall'assurdità di questo mondo in questi tempi bui.
Ma è questo stare in piedi tra le rovine: resistere allo tsunami dello spirito del tempo e difendere gli ultimi scampoli di tradizione, nonostante il caos apparente.
Parafrasando Guénon: il disordine apparente concorre a un ordine più grande. Ed è questo che non dobbiamo mai dimenticare, nonostante lo sconforto che può attanagliarci.
Scrivendolo a voi, lo ricordo anche a me.

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Amo molto la profondità di queste riflessioni, che scoprono la tragicità di fondo del vivere. Ma ho scoperto da tempo che la vita o è tragica, o è insulsa. Ho apprezzato i riferimenti, non casuali, a Evola e Guénon. E ancor più sono rimasto piacevolmente sorpreso nel trovare che l'autore di queste righe è una donna. Pochi sono gli uomini ancora capaci di tanto spessore, comunque.
Se avesse citato anche Spengler mi ci sarei rispecchiato interamente. Ma attendo con alte aspettative le prossime riflessioni.
 

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Mina Vagante
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